Angilberto II
Arcivescovo di Milano dall'824 all'859, A. è da considerarsi uno dei protagonisti della vita politica e religiosa milanese in età carolingia. Probabilmente di origine franca, condivise con convinzione il programma di riforma carolingia e sostenne l'ascesa della propria diocesi nel momento in cui essa andava riacquistando il ruolo di supremazia - perduto in parte durante il regno longobardo - nell'ambito dell'Italia settentrionale. La preoccupazione di difendere l'autonomia del regno, nonché l'intenzione di procurare autorità e prestigio alla città di Milano, indussero A. a sostenere Lotario e suo figlio Ludovico II e ciò gli permise di ottenere anche un ruolo non secondario nella politica imperiale. Primo arcivescovo milanese a essere nominato missus (844) e divenuto il maggiore dei proceres ecclesiastici vicini al sovrano, si recò a Roma nel giugno dell'844 per l'incoronazione a rex Langobardorum di Ludovico II e nuovamente per quella imperiale nell'850; con tale gesto, se fu implicita la sua sottomissione al pontefice romano, egli ribadì il proprio legame di fedeltà con il potere franco.
Di non minore importanza fu il suo programma di rinnovamento ecclesiastico, condotto con l'aiuto di monaci transalpini e irlandesi: una rilevanza particolare assunse il potenziamento del clero e la sua riorganizzazione, così come la revisione del rito ambrosiano, che comportò l'introduzione di caratteri propriamente franchi. Inoltre A. si propose di favorire la fondazione o lo sviluppo di monasteri e ospedali, in questo seguendo un intento già perseguito dai suoi predecessori; volle la costruzione del monastero maschile di S. Vincenzo in Prato, al quale avrebbe unito quello di S. Pietro in Mandello nell'833, e la ristrutturazione dei venerati sepolcri di Vittore e Satiro in S. Vittore in Ciel d'Oro (Reggiori, 1966); inoltre portò a compimento la chiesa iemale di S. Maria, già iniziata durante il breve episcopato di Angilberto I (822-823). Per suo desiderio avvennero pure importanti traslazioni di reliquie, in relazione a interventi in chiese e monasteri: il corpo di s. Calogero, prima dell'843, fu portato da Albenga al monastero di S. Pietro di Civate; le reliquie dei ss. Primo e Feliciano, inviate dal papa per interessamento di un alto funzionario pavese, vennero collocate nell'846 nella chiesa di S. Primo a Leggiuno, sul lago Maggiore, mentre quelle dei ss. Quirino e Nicomede forse furono custodite nel monastero di S. Vincenzo.
Di maggiore interesse gli interventi di A. nella basilica di S. Ambrogio: assidue furono le cure che prestò al monastero ambrosiano, fondato dal presule Pietro nel 785 ca., e di grande importanza i lavori che intraprese all'interno della basilica e che comportarono anche il rifacimento dell'abside e la sua nuova decorazione (Peroni, 1974), oggi solo in minima parte conservata. I frammenti che a essa dovrebbero essere pertinenti, forse relativi a due fasi molto ravvicinate nel tempo (Bertelli, 1986), consistono, oltre che nelle due scene alle estremità della calotta absidale - con S. Ambrogio che assiste alle esequie di s. Martino a Tours, a sinistra, e lo stesso Ambrogio che contemporaneamente officia in una chiesa milanese, a destra -, in tre lacerti musivi conservati a Brescia (Civ. Mus. Cristiano) e a Milano (coll. privata; Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica). È in occasione di tali interventi che nella basilica ambrosiana venne messo in opera anche il celebre altare d'oro di Vuolvinio (835-840), la cui committenza da parte di A. è indiscussa, non solo per la rappresentazione - nella parte posteriore, in un tondo - di S. Ambrogio nell'atto di porre una corona sul capo del dominus Angilbertus, ma anche per l'iscrizione niellata che corre intorno all'altare: "Ambrosi templo recubantis in isto optulit Angilbertus ovans dominoque dicavit tempore quo nitidae serbavat culmina sedis".
A. fu pure artefice del rilancio di uno scriptorium episcopale che arricchì anche culturalmente il prestigio della diocesi: miniatori fatti giungere d'Oltralpe ne garantirono il livello artistico, mentre numerose opere importate ne accrebbero il prestigio (Ferrari, 1986).
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