CABRINI, Angiolo
Nacque a Codogno (Milano) il 9 marzo 1869 da Emilio e da Rosa Pedrazzini. Giovanissimo aderì al partito operaio e nel 1892 fu tra i fondatori del Partito socialista, nel 1902 del Segretariato della resistenza, nel 1906 della Confederazione generale del lavoro. Per circa un cinquantennio contribuì all'organizzazione economica dei lavoratori e partecipò alla sua rappresentanza politica (dal 1900 al 1919 fu deputato al Parlamento) o tecnica (dal 1920 al 1937 fu corrispondente per l'Italia dell'Ufficio internazionaie del lavoro), senza soluzioni di continuità nemmeno in seguito all'avvento del regime fascista. Nel movimento socialista fu uno degli esponenti riformisti più autorevoli e qualificati, ma gradualmente si venne isolando dal sentimento e dall'esperienza delle masse e di fronte allo Stato corporativo e al governo di Mussolini tenne un atteggiamento di collaborazione analogo a quello di Rinaldo Rigola e di altri ex dirigenti confederali.
Nel 1887 - dopo un libriccino di versi stampato a Codogno con una lettera-prefazione di Filippo Turati - pubblicò un opuscolo (Due civiltà, s.l. né d.), dedicato ai martiri di Chicago, ricollegandosi così alle origini del movimento internazionale per le "otto ore di lavoro". Pur avendo aderito alla Lega socialista di Milano, la sua resistenza ad abbandonare la tradizione e la piattaforma operaistica e ad accogliere un programma e uno statuto di partito strettamente socialisti si prolungò per alcuni anni, fin verso il 1894 (fino all'articolo Perriorganizzare il partito, apparso sulla Critica sociale, IV [1894], pp. 355 s.). Ma nello stesso tempo veniva operando per la fusione delle due forze, per dare vita alle organizzazioni di base dei lavoratori, concepite come strumenti atti a influire sul mercato della mano d'opera, e nel 1890 fondò la Borsa del lavoro di Piacenza, la prima in Italia. Il 25 giugno del 1892, alla vigilia del congresso di Genova, mentre si veniva allontanando dall'ala più intransigente dell'operaismo rappresentata dal Casati, fondò un foglio locale, Il Ribelle, che si definiva "pubblicazione del Partito operaio socialista piacentino", al quale rinunciò già il 9 luglio per far posto a un ventilato organo centrale. A Genova rappresentò, con i Figli del lavoro, i fornai, i sarti, i tipografi di Piacenza e una cooperativa di braccianti della provincia, e assolse a una parte di rilievo: sua fu la proposta di costituire in congresso gli elementi che si erano separati dagli anarchici, e suoi furono una relazione e un ordine del giorno che richiamarono il nascente partito all'organizzazione e mobilitazione dei "lavoratori della campagna". Tuttavia il C. si oppose, schierandosi con C. Lazzari e con A., a una precisa configurazione socialista del nuovo partito, concependolo piuttosto come un fascio di forze coordinate, socialiste e operaie: era l'"illusione del partito grande" - come disse Turati - che lo spinse a dare un voto contrario al programma di Genova, già indirizzato in senso marxista.
Sempre nel '92, con una conferenza tenuta il 28 settembre nell'aula magna dell'università, il C. fu tra i promotori della Camera del lavoro di Parma, di cui fu il primo segretario. Da allora si mantenne fedele al programma enunciato in quella occasione: "Anche i conservatori devono preferire ad una plebe incosciente, armata solo d'ira e di fame, un esercito calmo, deciso, disciplinato". In queste concezioni, del resto comuni ad altri organizzatori dello stesso periodo, entravano alla pari un elemento di derivazione corporativo e uno di attesa messianica; idee e atteggiamenti cui diede forma soprattutto nella conferenza Il socialismo religioso e le rivendicazioni del proletariato (Piacenza 1891). Ancora a Parma, nel '93, con il contributo determinante del C. si tenne il congresso costitutivo della Federazione italiana delle camere del lavoro, cui parteciparono dodici organizzazioni, organismo che per alcuni anni ebbe una vita piuttosto grama e difficile. Soprattutto fra Emilia e Lombardia si raccoglievano i frutti dell'associazionismo operaio e contadino e della predicazione socialista, appoggiandosi alle istituzioni locali e specialmente ai comuni: l'opera di promozione di Osvaldo Gnocchi Viani e l'intensa attività pionieristica del C. erano riusciti a gettare la basi di una abbastanza fitta rete di istituti camerali originali che quasi senza soluzione di continuità impegnavano le province di Milano, Pavia, Brescia, Cremona, Parma, Piacenza e Bologna.Nonostante un primo impegno a elaborare e dirozzare temi e problemi relativi alla questione contadina, il socialismo del C. - anche se allora non escludeva il concetto della lotta di classe né il pericolo della reazione, cui vedrà riparo soprattutto in una forte organizzazione operaia - si presentava in una forma e in una prospettiva piuttosto moderate, e comunque anche in seguito fu nell'insieme estraneo ad ogni autentico approfondimento teorico.
Dopo aver partecipato al congresso costitutivo della Federazione socialista ligure all'inizio del 1894 e dopo una visita clandestina in Sicilia, sempre in quell'anno, il C. si rifugiò in Svizzera fin dal 1895, per sfuggire alla reazione crispina. Qui il giovane organizzatore sprovincializzò la sua esperienza, e mentre contribuì allo sviluppo e al rinnovamento delle prime organizzazioni socialiste e operaie del Canton Ticino, ne trasse un permanente interesse per il problema dell'emigrazione dei lavoratori italiani all'estero. Rientrato in Italia, tornò a occuparsi, dal 1900, della Federazione delle camere del lavoro; al congresso socialista di Roma, che approvò il programma minimo del partito, propugnò l'istituzione di un segretariato economico da collocare in un centro industriale del Nord "per promuovere l'organizzazione operaia e darle incremento", e come relatore sui problemi dell'emigrazione propose un ordine del giorno molto particolareggiato, che fu approvato all'unanimità. Poco dopo fu eletto nel VI collegio di Milano, in sostituzione di E. Ciccotti, che aveva optato per Napoli.
Dei quattro deputati (il C., Rigola, Chiesa, Nofri) che dal 1900 si impegnarono negli organismi centrali del movimento sindacale, egli fu per alcuni anni il più attivo, e a lui si deve il tentativo, in gran parte riuscito, di riorganizzare le forze lavoratrici e di coordinarle nelle Federazioni di categoria, prendendo a modello le analoghe esperienze europee. Ma, mentre nel periodo di transizione dal partito operaio al partito socialista aveva puntato parallelamente sull'organizzazione operaia e sulla lotta di classe, dopo la svolta giolittiana, una volta ristabilite le libertà politiche e riconosciuto il diritto di associazione e di sciopero, il C. tese ad inquadrare e selezionare in rigidi schemi le energie spontanee che affioravano dal movimento e dalle lotte sindacali (nel 1901 condanna gli scioperi del Sempione come "uno sforzo di epilettici" e pronunzia alla Camera il discorso su Leggi sociali e lotta di classe pubblicato a Roma nel 1901), perseguendo un disegno politico che si rivelerà sempre più finalizzato a una strategia di tipo riformistico. I limiti segnati dalla precedente presa della propaganda socialista nell'espansione del movimento operaio organizzato non saranno infatti varcati, né dal punto di vista territoriale né dal punto di vista sociologico: così la questione dell'emigrazione è vista dal C. in rapporto al collocamento del lavoro e molto precaria sarà, d'altra parte, la saldatura fra le categorie operaie e la Federazione dei lavoratori della terra, costituitasi a Bologna nel 1901. All'inizio del 1902 il C. tentò tuttavia, sia pure debolmente, di estendere l'organizzazione delle Federazioni anche nel Mezzogiorno, ma il movimento non cessò di gravitare fra l'Emilia e la Lombardia.
Sul terreno organizzativo e dell'impianto sindacale il culmine dell'indirizzo rinnovatore del C., che nel 1901 aveva assunto la segreteria della Federazione delle camere del lavoro, consisterà nell'autunno dell'anno successivo nella proposta di dare vita a un Consiglio nazionale fra le federazioni di mestiere. L'accento si spostava così dagli organismi territoriali, fino allora scarsamente coordinati, alle organizzazioni di categoria, e da questo più avanzato orientamento, rispondente al nuovo livello di industrializzazione del paese e in parte ricavato dall'esperienza soprattutto tedesca, nascerà più tardi la Confederazione del lavoro.
Le difficoltà oggettive, soltanto in parte avvertite dallo stesso C., consistettero in questa fase di "concentrazione della resistenza", nell'esiguità dell'apparato centrale e degli strumenti finanziari a disposizione, ma derivarono anche dal peso di una non superata tradizione e realtà corporativa di vecchio tipo, insieme localistica e settoriale. Per di più l'intera opera di ristrutturazione sindacale fu in gran parte attuata - non senza lacerazioni e contrasti anche gravi - in aperta rottura con i "rivoluzionari" arroccati nelle Camere del lavoro, e secondo un disegno egemonico della frazione riformista del partito socialista. Al congresso di Imola del 1902 Turati si riferirà ai "fatti" portati dal C. (nella relazione C.-Canepa su La legislazione sociale,le organizzazioni proletarie e il Partito socialista pubblicata a Imola nel 1902) appunto per difendere, nel contrasto fra riformisti e rivoluzionari, una linea politica che tendeva ormai, dopo le lotte del 1900-1901, a difendere i livelli politici e salariali già toccati dalle principali categorie nel Centro Nord.
Un particolare interesse il C. porterà, lungo tutta l'età giolittiana, oltre che ai problemi di inquadramento e di riforma organizzativa della resistenza (che ben presto abbandona) ai temi del sindacato agricolo, delle lavoratrici impegnate nella monda del riso, dell'assistenza agli emigranti, delle assicurazioni sociali. La sua inclinazione - sempre piuttosto empirica - per lo studio e la risoluzione dei vari problemi sotto un profilo prevalentemente tecnico lo conduce a sopravvalutare l'aspetto della rappresentanza organica del movimento sindacale all'interno delle istituzioni statuali e principalmente nel Consiglio superiore del lavoro. Partecipa alle varie assise internazionali in cui si discutono le questioni dell'emigrazione e della legislazione sociale e ben presto si rivela come il principale esperto italiano in tutto il vasto e complesso campo di iniziativa e di dibattito che andava allora delineandosi, fra l'azione sindacale dal basso e i nuovi strumenti amministrativi e legislativi approntati dallo Stato. La sua fiducia quasi illimitata nelle leggi e nelle istituzioni come mezzo principale per la trasformazione della società fa di lui "il più riformista dei riformisti italiani" (F. Manzotti, Il socialismo riformista, p. 99), e fra questi il massimo specialista nelle questioni normative (mentre era invece abbastanza sprovveduto nell'economia politica), il più aperto ed esposto alle illusioni di una immediata traduzione istituzionale delle istanze sindacalistico-corporative di cui era stato portatore fin dalla giovinezza. Nel 1905 pubblica a Imola il volume La resistenza nell'Europa giovane: viaggi e congressi, con prefazione di Karl Legien, capo dei sindacalisti tedeschi, in cui raccoglie saggi e osservazioni che discendono dai viaggi compiuti in Germania, Svezia, Inghilterra, Olanda ecc. Si tratta forse della prima pubblicazione che affronti le questioni sindacali italiane in uno spirito moderno, secondo un metodo di comparazione con l'esperienza di altri paesi; ma in questo processo di "intellettualizzazione", come disse egli stesso, della prassi sindacale e legislativa fanno difetto non solo gli aspetti ideali e di strategia, ma una sufficiente analisi della situazione nazionale.
Nel 1906 il C. pubblica a Roma un reportage giornalistico (In Sardegna) più tardi rielaborato, in cui affronta i problemi di una prima organizzazione operaia suscitati nell'isola dai moti di quell'anno; partecipa al congresso costitutivo della Confederazione del lavoro e diviene condirettore del suo organo centrale, appunto LaConfederazione del lavoro, che succede alla Cronaca dellavoro da lui fondata nel 1902.
Al C. sfuggivano, nella sua "operosità inquieta" (Gramsci) e al limite persino eclettica, i dati peculiari e meno appariscenti del problema meridionale e della questione agraria. Entro questi limiti, comuni a tutta una epoca e a una corrente, quella appunto della socialdemocrazia europea e dello stesso socialismo italiano, ma in lui più accentuati ed evidenti, il C. riuscì tuttavia a dare un notevole contributo all'opera collettiva di organizzazione, portando a un livello di serio impegno associativo e legislativo un movimento in tanta parte condizionato da origini e caratteri spontaneistici, propri di un paese di recente e parziale industrializzazione.
Specialmente dopo il congresso di Imola (1902) il superficiale dogmatismo con cui aveva accolto negli anni novanta l'insegnamento più della socialdemocrazia che del marxismo ("La Germania è lì ad ammaestrarci", cfr. Per riorganizzare il partito, cit.), innestandolo sulla sua vocazione di modesto intellettuale convertito all'operaismo (da cui l'articolo La piccola proprietà e il partito socialista, scritto nel '95 per la Critica sociale) aveva col tempo lasciato il posto a una maggiore elasticità pratica; ma nell'un caso e nell'altro il suo sfondo ideologico e il suo presupposto strategico - basati sull'inevitabilità del socialismo nell'alveo del progresso economico - non subirono mutamenti di rilievo. Di qui un'opera pubblicistica intensa e tenace applicata a problemi quasi sempre settoriali, analizzati col metodo positivo, al livello delle sovrastrutture e non nelle forze sociali profonde.
Questo indirizzo, ormai definitivamente impegnato sul terreno esclusivo della rappresentanza tecnica e dell'elaborazione legislativa, costituiva una nuova versione del principio già esposto dal C. nel 1890, che il partito operaio e socialista dovesse "mantenere intatto, ovunque e sempre, il proprio carattere di partito sociale, che pone la questione economica al di sopra di tutte le questioni che travagliano la vita dell'umanità".
Il C. divenne quindi, più che un "deputato operaio", un "magistrato del lavoro", separato dagli interessi generali della classe rappresentata. La premessa di questa involuzione anche personale consisteva nel convincimento che il capitalismo dovesse aprire la strada alla riscossa e alla partecipazione dei lavoratori e che perciò al movimento operaio spettasse in primo luogo il compito di appoggiarne l'ala marciante. Nel 1909 - nell'anno in cui meglio si delinea una tendenza apertamente ministerialista - il C. espone la tesi del passaggio dalla "penetrazione socialista nel potere legislativo" a una "graduale penetrazione nel potere esecutivo", adducendo la esperienza compiuta negli "istituti sociali" dello Stato e la possibilità della loro utilizzazione a favore dei lavoratori.
Nel 1911, per non turbare questa tattica di approccio, ma anche perché influenzato dal crescente clima nazionalistico del paese, il C. aderisce alla guerra libica che segnerà il distacco suo e del suo gruppo (principalmente Bissolati e Bonomi) dallo stesso riformismo turatiano e dal grosso dell'opinione socialista. Segue, nel 1912, al congresso di Reggio Emilia, l'espulsione dal partito. Il C. entra quindi nel Partito socialista riformista, che intende però più come un raggruppamento di organizzazioni economiche e di clientele democratico-sociali che come una forza partitica centralizzata: l'illusione del "partito grande" si stemperava nel progetto di un indefinito "partito del lavoro". Nel 1910 aveva pubblicato il volume Penetrazione. Linee e frammenti di legislazione sociale, apparso a Milano per l'Editrice operaia con prefazione di Ivanoe Bonomi, e nel 1914, quasi a sigillare tutta la sua esperienza di - riformista - era entrato nel Consiglio superiore del lavoro, nel Consiglio per l'emigrazione, nella Commissione per le assicurazioni sociali -, darà alle stampe a Roma lo studio La legislazione sociale, poi ripubblicato, sempre a Roma, nel '28.
Con Bissolati, anche il C. optò per l'intervento e fu volontario al fronte, per un breve periodo. Nel 1916 è chiamato da Giuseppe Canepa nella Commissione per la mobilitazione industriale presieduta dal generale Dallolio. Nello stesso anno si stacca però dal partito riformista, vota contro il governo Salandra e partecipa al congresso operaio dei paesi dell'Intesa (conferenza di Leeds). Nel 1917 alla Conferenza del lavoro di Ginevra assume l'incarico di organizzare per l'Italia la sezione di corrispondenza dell'Ufficio internazionale del lavoro. Nel 1918 riprende il suo posto nella Confederazione del lavoro e l'esecutivo gli affida il compito di studiare i provvedimenti per il dopoguerra. Nel maggio del 1919 al convegno indetto dalla C.G.d.L. sul Consiglio del lavoro, ne sostiene una riforma che prefigura l'abbozzo di un potere autonomo dal Parlamento e direttamente collegato al "corpo sindacale", ma il primo a contrastarlo su questo terreno è proprio il Turati: all'interno dello schieramento riformista venivano così nuovamente a confronto la linea di ispirazione corporativa e la linea della tradizione marxista moderata. Sempre nel '19 - mentre partecipa alla conferenza della pace, dove avanza la proposta di una "Carta del lavoro" - il C. postula una "classe lavoratrice al potere" (discorso parlamentare del 24 luglio) sulla base della pressione e promozione dei sindacati e delle cooperative. Nel febbraio del '20, in un sintomatico intreccio di motivi riformisti e di motivi radicali, impone al Consiglio generale della Lega delle cooperative una delibera di accordo politico col partito socialista, che giunge persino a prospettare, in nome della classe lavoratrice, la "soppressione" di "ogni ceto intermediario". Nel 1922, infine, fonda il bollettino Informazioni sociali (15 luglio), pubblicazione italiana dell'Ufficio internazionale del lavoro che dirigerà fino al 1937. Passata la crisi rivoluzionaria il C. aderisce di nuovo all'organizzazione riformista, che risorge nell'ottobre del '22 sotto il segno del Partito socialista unitario di Turati e Matteotti. Fra il '22 e il '23 partecipa a quel movimento di idee che cerca un'alternativa all'avvento fascista nella formula di un imprecisato "Stato sindacale" e a quel movimento di interessi della burocrazia confederale che cerca di salvare il salvabile dell'organizzazione operaia, trattando col nuovo governo. Il 24 luglio 1921, insieme con D'Aragona, Buozzi, Azimonti e Colombino, si incontra con Mussolini: all'ordine del giorno il problema della riorganizzazione sindacale, della legislazione del lavoro, della collaborazione. Viene ancora prospettata l'ipotesi di un'andata dei sindacati al governo. Successivamente il C. avvalla anche i lavori della Commissione per lo studio delle riforme costituzionali, istituita nel gennaio del '25, rilasciando come corrispondente dell'Ufficio italiano del lavoro una dichiarazione su I problemi del lavoro e la corporazione nazionale (cfr. Relazioni e proposte della commissione per lo studio delle riforme costituzionali, Firenze 1932).
Dopo l'approvazione della legge Rocco sui sindacati, piegata e sciolta la Confederazione (per deliberato del suo stesso vertice sindacale) quando il regime avvia la formulazione della "Carta del lavoro", il C. da un lato e il gruppo Azimonti-Calda-Colombino-D'Aragona-Maglione-Reina-Rigola dall'altro scesero distintamente su posizioni neocorporative e parafasciste. Il primo continuò a pubblicare Informazioni sociali, che appunto nel gennaio del '27 assunse il più generico sottotitolo di "Rivista internazionale del lavoro", mentre il secondo si costituiva nell'Associazione nazionale studi (A.N.S.) "Problemi del lavoro", attorno alla quale si raccoglievano gli ex sindacalisti della destra socialista.
Per tutto il periodo fascista il C. collabora quindi alla Rassegna di previdenza sociale, con scritti dedicati alle conferenze del lavoro di Ginevra, alla legislazione sociale internazionale, alla disoccupazione (specialmente negli anni della crisi mondiale), ai tempi di lavoro e al problema delle quaranta ore. Nel 1931 partecipa al Iº Congresso di studi coloniali, e pubblica, con Gennaro Mondaini, L'evoluzione del lavoro nelle colonie e la Società delle Nazioni (Padova 1931). In uno spazio ridotto al minimo continuava a sottolineare il momento legislativo e internazionale nelle questioni "sociali e del lavoro". L'ambiguità del suo ufficio (sostenuto a Ginevra dal socialdemocratico Albert Thomas) e il vantaggio che ne traeva il regime combaciavano. Quando nel '34 - nel momento in cui le corporazioni sembrano concretizzarsi sul terreno legislativo - si verifica un ulteriore ralliement della destra riformista nei confronti di Mussolini, la dislocazione del C. sarà fissata da un rapporto del Centro interno socialista: "A Rigola e a Calda aderiva caldamente Cabrini, sia per il suo temperamento conciliante, sia per il suo ufficio di rappresentante a Roma del UIL e BIT, e pei suoi contatti con Bottai, ministro fino a poco tempo fa delle Corporazioni" (Documenti inediti dell'archivio A. Tasca..., p. 97).
Il C. morì a Roma il 7 maggio 1937. Alla sua scomparsa Informazioni sociali ricordò rultimo C. come "uno studioso di rara perizia, un osservatore di rara obiettività nel riferire e illustrare ai dirigenti di Ginevra quanto la politica e la pratica corporativa recavano di nuovi frutti e di acquisti preziosi alla causa della giustizia".
Nell'evoluzione complessiva del C. avevano avuto un grande peso il motivo, in fondo ingenuo e opportunistico anche se sincero, della "penetrazione" nel meccanismo dello Stato, il riconoscimento del fatto compiuto del fascismo, l'illusione che il movimento operaio una volta incanalato sulle vie della legislazione e della previdenza sociale potesse quasi automaticamente permeare la compagine e i congegni del diritto pubblico, senza scuotere alla base i rapporti di produzione. Atteggiamento in sostanza economicistico, influenzato prima della guerra da suggestioni di tipo laburista, dopo dal revisionismo e dal "planismo" del De Man, che si erano venuti a innestare su un più antico fondo corporativo e neocorporativo di tradizione italiana. Gran parte della sua produzione pubblicistica rimane dispersa, nel Fascio operaio, nell'Avanti!, nel Lavoro, nell'Epoca, in Problemi del lavoro,Battaglie sindacali,L'Azione cooperativa,La Rivista della cooperazione,L'Azione mutualistica e in un centinaio di opuscoli, relazioni, studi e saggi che costituiscono una fonte preziosa, e pressoché inesplorata, per la comprensione dell'iniziativa riformista e della storia sociale dell'Italia contemporanea.
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