TRICCA, Angiolo
Nacque a Borgo San Sepolcro il 7 febbraio 1817 da Francesco e da Annunziata Cerignani. Giovinetto, cominciò a studiare sotto la guida di Vincenzo Chialli, abile disegnatore e stimato pittore d’interni monastici semplici e austeri alla maniera di François-Marius Granet. Tale discepolato, concluso nel 1836, gli permise di acquisire un’eleganza e una delicatezza del tratto mai venute meno nel corso della sua attività.
Nel 1837 s’iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze, dove seguì le lezioni di disegno di Tommaso Gazzarrini, ottenendo premi fin dal primo anno, quando vinse il concorso per la copia di un busto di Lorenzo il Magnifico (AABAFi, filza 26 (1837), fasc. 70); lasciò l’Accademia nel 1839, anno in cui ottenne il premio per il ‘nudo in disegno’ al concorso di emulazione di I classe (AABAFi, filza 28 (1839), fasc. 78). Se il profitto fu di buon livello, assai meno lo fu la condotta: la sua indole scherzosa, accentuata dall’esuberanza giovanile, lo indusse a far burle che talvolta comportarono la sospensione, come avvenne nel luglio 1837 (AABAFi, filza 26 (1837), fasc. 107).
Tra i pochi lavori noti eseguiti in quegli anni da Tricca, si ricordano il ritratto a matita del biturgense Giovanni Mangoni, e un Ritratto di giovane uomo, datato 1839 (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi).
A Firenze, cominciò a frequentare gli ambienti di artisti e di intellettuali che gravitavano attorno alle librerie e ai negozi di stampe, soprattutto la bottega di Vincenzo Batelli e la calcografia di Luigi Bardi, e fu in quel milieu che egli, ancora studente, ottenne le prime commissioni per copie in disegno dagli antichi maestri: al 1838 risale l’incarico per una copia dal Ritratto di Caterina de’ Medici di Jean Guignard, richiesta da Giovanni Rosini, il quale, soddisfatto delle doti di disegnatore sicuro e accurato del giovane, nel 1841 gli ordinò quattordici tavole – gli originali sono conservati al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi – per la sua Storia della pittura italiana esposta ne’ monumenti, fra cui alcune figure di santi dal polittico della Misericordia di Piero della Francesca, motivo di un prolungato soggiorno di Tricca a Sansepolcro. Là era spesso ospite del marchese Giovagnoli, suo amico e protettore. Nel frattempo iniziò a lavorare per la Società editrice la Galleria, diretta da Vincenzo Batelli, e fra il 1841 e il 1846 eseguì trentatré tavole da opere del Quattrocento fiorentino e di scuola olandese destinate alla Galleria dell’I. e Reale Accademia delle belle arti di Firenze, pubblicazione curata da Lorenzo Bartolini, Giuseppe Bezzuoli e Samuele Jesi. Strinse allora duraturi rapporti d’amicizia con alcuni dei collaboratori – Emilio Lapi, Gaetano Bianchi, William Blundell Spence, fra gli altri – tutti, nel tempo, da lui ritratti in caricatura.
Nel 1844 concorse al posto di aiuto maestro di disegno all’Accademia fiorentina, ma gli venne preferito Filippo Calendi (AABAFi, filza 33 (1844), fasc. 26).
Dall’anno seguente divenne membro della Società promotrice di belle arti, fondata allora; vi avrebbe esposto però solo nel 1860, quando presentò una copia in disegno della Baccante di Carracci, e una copia acquerellata dell’affresco del Cenacolo di Fuligno con L’ultima cena, eseguito da Perugino ma allora ritenuto di Raffaello, destinata a essere riprodotta in cromolitografia. L’affresco, che in antico decorava il refettorio del convento di S. Onofrio, era stato ritrovato nel 1846 e Tricca ne aveva allora eseguito un disegno ricco di particolari, andati perduti durante il restauro, per conto di Samuele Jesi, intenzionato a trarne un’incisione ma morto prima di aver portato a termine il lavoro.
Dal 1847, concessa a Firenze la libertà di stampa, egli iniziò a disegnare vignette per riviste e giornali umoristici fiorentini, in particolare per lo Charivari del popolano: a lui sono riferibili, sulla base di confronti stilistici, le vignette firmate «Crac» e «GRCG», ove talvolta appaiono personaggi in tutto simili a quelli tratteggiati in schizzi e appunti dell’artista conservati dagli eredi. Sono disegni e vignette che riflettono il suo interesse per gli esempi di autorevoli artisti francesi del tempo quali Benjamin Roubaud, accreditato disegnatore del Panthéon Charivarique, e Honoré Daumier dal cui repertorio riprese il personaggio di Robert Macaire, adattandolo alla situazione sociale ed economica fiorentina.
A quella data risale il suo legame con il pittore Giuseppe Moricci, uno dei primi e più raffigurati pittori fra quanti messi in caricatura da Tricca, con il quale lavorò talvolta alle medesime illustrazioni.
All’epoca i rapporti di Tricca con gli antichi compagni d’Accademia si erano fatti ancora più intrinseci: entrato a far parte della guardia accademica istituita nel 1847, l’anno seguente partì volontario insieme a molti di loro per la prima guerra d’indipendenza e combatté a Curtatone.
Il ritorno dai campi di battaglia, compiuto insieme a Luigi Norfini e allo scultore Luigi Gatteschi, si trasformò in un lungo viaggio di studio ricco d’incontri e di esperienze, con tappe in più città, fra le quali Bologna e Ferrara (Arrighi, 1950, p. 82).
Una volta a Firenze, Tricca prese a frequentare assiduamente il caffè Michelangiolo, di cui divenne, come ricordava Telemaco Signorini, una delle presenze più influenti, almeno relativamente al tenore goliardico del locale, perché, sebbene taciturno, egli riusciva a prendere «il possesso sull’animo degli amici», così «da renderli complici o vittime di ogni suo genere di burla» (Signorini, 1893, p. 58). Certo è che, «da disegnatore esperto e acuto osservatore d’ogni lato caratteristico delle movenze abituali di un individuo», fu l’autore di eccellenti caricature degli habitués di quel ritrovo (ibid., p. 66). All’inizio gli furono di principale riferimento i modelli di Giuseppe Vero Veraci, con cui condivideva l’interesse per la fotografia; l’esempio di Veraci si rivelò decisivo per l’elaborazione di immagini di eleganza grafica, sottilmente pungenti. Con tutto ciò la caricatura rimase per Tricca – a parte la sporadica attività di vignettista – un’espressione privata, una maniera scherzosa per mettere in ridicolo i parenti, gli amici, le persone di casa, e, prima di tutti, sé stesso; e fu solo nel 1882 che egli presentò le sue caricature a un pubblico più vasto, in occasione della mostra organizzata dal Circolo artistico per il carnevale di quell’anno.
Nel frattempo era avvenuto il suo matrimonio con Elisa Manzuoli, da lui spesso ritratta nel corso degli anni, sia in immagini di garbata liricità romantica, sia in modi di risentito realismo quando non caricaturali. La coppia ebbe un unico figlio, Fosco, nato il 2 marzo 1856.
Con l’avvento degli anni Cinquanta, egli allargò la propria attività di disegnatore dalle opere dei maestri del Rinascimento ai dipinti contemporanei: nel 1856 disegnò Gli esuli di Siena di Enrico Pollastrini per conto della casa litografica genovese Armanino, nel 1857 Il Sacco di Roma di Saverio Altamura per la Società artistico-litografica Toscana (Rivista di Firenze, I (1857), 9, pp. 53 s.), nel 1860 I novellieri fiorentini del secolo XIV di Vincenzo Cabianca, per conto della Società promotrice di Firenze, che ne trasse l’incisione da donare ai soci, e l’anno seguente La cacciata del Duca d’Atene di Stefano Ussi.
Contemporaneamente Tricca cominciò a occuparsi di restauro, affermandosi presto come abile e colto artigiano grazie alla conoscenza di materie e tecniche acquisite nell’assidua frequentazione di musei e di botteghe antiquarie, come attesta il restauro dell’Educazione di Pan di Luca Signorelli ritrovata in una soffitta di palazzo Corsi, e in seguito acquistata da Wilhelm Bode per la Gemäldegalerie di Berlino (Ad Angiolo Tricca, 1885, pp. 7 s.), e quelli dell’Assunzione del Perugino, e della Vergine in trono col Bambino e sei angeli, di Mariotto di Nardo affidatagli dal conte Alfredo Serristori. Ne è un’ulteriore conferma l’appassionato articolo di Diego Martelli relativo al restauro del Ritratto di Giuliano duca di Nemours, di Raffaello, acquistato dalla granduchessa Maria di Russia, e oggi a New York, al Metropolitan Museum of Art (Martelli, 1867). Maria di Russia fu la protagonista di un altro aneddoto riguardante l’artista in quanto autore di dipinti alla maniera antica tanto perfetti da sembrare autentici (Ad Angiolo Tricca, 1885, pp. 8 s.). Non sappiamo se una simile abilità fosse sfruttata da Tricca per la realizzazione di ‘falsi’: certo è che egli fu l’autore di garbati dipinti in costume nei quali compaiono accuratissime copie di opere d’arte del passato, siano pitture, sculture o terrecotte, quali ad esempio Verrocchio che osserva l’angelo del Battesimo di Cristo, di fronte al giovane Leonardo e una Madonna col Bambino, del 1870, quest’ultima eseguita sulla falsariga di una tavola ascrivibile alla cerchia di Lorenzo di Credi, restaurata da Tricca stesso, oggi al Museo civico di Coldirodi a Sanremo (De Marchi, 1995, pp. 92-94). A lui si devono anche alcuni ritratti femminili d’ispirazione pollaiolesca, uno dei quali venne pubblicato dal giovane Bernard Berenson come opera di Leonardo (De Marchi, 2001, p. 167). Tale ritratto, presentato come ‘falso’, divenne il soggetto di un racconto di Paul Bourget del 1910, La dame qui a perdu son portrait.
Amico fin dalla giovinezza di pittori connoisseurs e di antiquari – primi fra tutti William Blundell Spence, di cui eseguì la caricatura, e Stefano Bardini –, a lui si rivolse Raffaello Foresi per illustrare gli articoli sull’ambiente antiquariale fiorentino apparsi nel Piovano Arlotto fra il 1857 e il 1859; in una delle vignette, allusiva alla vendita al conservatore del South Kensington Museum del Battesimo di Cristo di Piero della Francesca, fin allora conservato a Sansepolcro, Tricca raffigurò anche sé stesso mentre con fare disincantato assiste a una disputa tra mercanti, immagine che sembra non lasciare dubbi sul suo coinvolgimento nel commercio dell’arte (Il Piovano Arlotto, II (1859) 12, p. 742).
Del resto, dal 1875 negli stati d’anime della sua parrocchia, S. Lucia de’ Magnoli, egli venne dichiarato antiquario e non più pittore, come invece era stato negli anni precedenti. A quell’epoca risale un suo dipinto a olio raffigurante lo studio ormai trasformato in bottega antiquaria, dove egli ironicamente ritrasse sé stesso intento a dipingere una tavola cuspidata, quasi certamente una di quelle realizzate per il mercato artistico, soprattutto straniero, mai sazio di opere ‘in stile’. È questa una delle rare caricature a olio di Tricca, la più famosa delle quali raffigura Collodi, ormai anziano, sullo sfondo di una serie di manifesti pubblicitari in qualche modo evocativi della brillante attività di giornalista e commediografo dell’inventore di Pinocchio.
Dal 1876 la sua attività di mercante andò intensificandosi, come attestano le richieste alla Soprintendenza per poter esportare opere antiche, richieste divenute sempre più frequenti negli anni estremi della vita (Alessio, 1993, p. 29 nota 21). Al contempo egli non trascurò la pittura, continuando a eseguire quadri di gusto quattrocentesco e di genere storico come il Piero della Francesca ormai cieco in atto di dettare le regole di geometria al suo scolare Luca Pacioli, un tema già svolto dal suo maestro Chialli, dipinto nel 1881 per la Società di mutuo soccorso di Borgo San Sepolcro. Si dedicò anche all’insegnamento, e oltre al figlio Fosco – divenuto pittore e scultore – ebbe come allievi Arturo Faldi, Enrico Lusini, Federico Andreotti, tutti e quattro da lui ritratti in una tempera su tela insieme ad altre persone che si erano prestate a far da modelli all’artista, fra cui la moglie e la ‘servetta di casa’, quasi un commosso omaggio a chi gli aveva rasserenato gli anni tardi dell’esistenza (Sansepolcro, palazzo delle Laudi).
Nel 1882 Fosco, insieme ai compagni di studio Faldi e Lusini, avrebbe messo a frutto la lezione del padre, e la sua profonda conoscenza dello stile e delle tecniche della pittura ‘primitiva’, decorando, con trittici dalle eleganti cornici cuspidate e dorate, la chiesa fiorentina di S. Maria degli Angeli Nuova (o Nostra Signora degli Angeli), realizzata in stile neogotico per i padri camaldolesi cenobiti, e inaugurata nell’ottobre 1887 (Alessio, 2010).
Tricca morì a Firenze il 23 marzo 1884; nel primo anniversario della morte, nel cimitero di Sansepolcro venne eretto in sua memoria un monumento eseguito dal figlio, all’epoca presidente del Circolo artistico fiorentino.
Nel 1893 Telemaco Signorini illustrò con i disegni di Tricca Caricaturisti e caricaturati al caffè Michelangiolo, determinando in tal modo un’immagine dell’artista esclusivamente quale sardonico autore di caricature.
Firenze, Archivio Accademia di belle arti [AABAFi], filza 26 (1837), fascc. 70 e 107; filza 28 (1839), fasc. 78; filza 33 (1844), fasc. 26. Bullettino delle arti del disegno, I (1854), 50, p. 397; Catalogo delle opere ammesse alla esposizione della Società promotrice delle belle arti in Firenze, Firenze 1860, p. 11, n. 172; D. Martelli, Dello scoprimento di un dipinto acquistato da S. A. la granduchessa Maria di Russia e restaurato dal sig. Angiolo Tricca, in Gazzettino delle arti del disegno, I (1867), 12, pp. 89-91; Ad A. T. nel giorno anniversario della sua morte. Elogio letto dal cav. Gio. Felice Pichi il 23 marzo 1885 nel cimitero di Sansepolcro, Sansepolcro 1885; T. Signorini, Caricaturisti e caricaturati al caffè Michelangiolo, Firenze 1893, passim; A. Franchi, Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi, Firenze 1902, pp. 37 s.; I. Ricci, Uomini illustri di Sansepolcro, Sansepolcro 1946, pp. 91 s.; G. Arrighi, Un pittore alle guerre del Risorgimento: Luigi Norfini da Pescia, in Bullettino Storico Pistoiese, LII (1950), pp. 80-85; C.A. Petrucci, La caricatura italiana dell’Ottocento, Roma 1954, pp. 14-15; Tricca caricaturista (catal.), Arezzo 1966; M. Giardelli, Via dei Malcontenti. Figure e caricature fiorentine dell’Ottocento, Firenze 1971, pp. 6, 15-19, 25 s., 36, 59, 73-76, 96, 108, 110, 124, 130; M.P. Gonnelli Manetti, in Il ritratto nell’Ottocento (catal., 1978-1979), a cura di M.P. Gonnelli Manetti, Firenze 1978, pp. 132 s., schede 73, 73 bis; M. Alessio, Una collezione di caricature di A. T. (1817-1884), tesi di laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Firenze, a.a. 1991-1992 (rel. prof. C. Del Bravo); M. Alessio, A. T., in A. T. e la caricatura toscana dell’Ottocento (catal., Sansepolcro), a cura di M. Alessio et al., Firenze 1993, pp. 11-29; A.G. De Marchi, Sulle tracce dei falsari: il caso Tricca, in Florilegium: scritti di storia dell’arte in onore di Carlo Bertelli, Milano 1995, pp. 92-97; Id., Falsi primitivi: prospettive critiche e metodi di esecuzione, Torino 2001, pp. 165-168; L. Bassignana, Mercanti e “falsari” tra la Valtiberina e Firenze, in Arte in terra d’Arezzo: l’Ottocento, a cura di L. Fornasari - A. Giannotti, Firenze 2006, pp. 195-212 (in partic. pp. 197-201); S. Bietoletti, A. T. caricaturista, ibid., pp. 183-194; M. Alessio, Ricordo della nuova chiesa abbaziale di Santa Maria degli Angeli in Firenze, in Artista, 2010, pp. 198- 201.