ANGIOTRIPSIA (dal gr. ἀγγεῖον, "vaso" τρῖψις "frizione")
Procedimento per ottenere l'emostasi definitiva dei vasi sanguigni, mercé lo schiacciamento di tutte le tuniche del vaso, sì da ridurle dello spessore di un foglio di carta. Lo si può ottenere, per i piccoli vasi, con le ordinarie pinze da forcipressura; infatti, dopo la temporanea applicazione di una comune pinza emostatica, il vaso rimane obliterato, senza che sia stata posta alcuna legatura, perché lo schiacciamento ha determinato l'emostasi. Per i grossi vasi sono stati costruiti degli strumenti (angiotribi) che sono delle pinze speciali capaci di esercitare una potente pressione (sino a 400 e 1000 kg. di forza) e che differiscono dalle comuni pinze a forcipressura perché hanno dei morsi molto corti e tozzi e branche molto robuste. Ne sono esempî la pinza emostatica di Greig Smith, di Phelps, di Segond, l'angiotribo di Thumin, di Doyen, di Bottini (v. fig. a pagina precedente).
Il principio sul quale si fonda l'angiotripsia è quello di produrre, mediante la forte pressione, una lacerazione delle tuniche interna e media, le quali per la loro elasticità si accartocciano, si retraggono a un diverso livello ed occludono il lume vasale, mentre l'avventizia, la quale resiste alla pressione, si schiaccia come una sottile lamina e completa la chiusura del vaso.
Il metodo è poco usato in chirurgia e solo per i piccoli vasi; in genere si preferisce, anche per questi ultimi, la forcipressura seguita da legatura. Per i vasi più grandi, specie quelli contenuti in peduncoli, ove spesso lo strumento oltre alla parete vasale comprende nei suoi morsi anche una parte di tessuti perivascolari, lo schiacciamento non garantisce in modo assolutamente sicuro l'emostasi definitiva. Perciò è sempre preferibile l'allacciatura, che si consigiia di praticare sul punto compresso dall'angiotribo.