ANGLOSASSONI
. Nome. - Il termine "Anglo-sassoni" in realtà non trova giustificazione né nella vera situazione etnica dell'Inghilterra, né nella tradizione indigena, essendo di origine prettamente letteraria. Al principio, gli scrittori latini, come sempre hanno fatto i Celti anche nel loro volgare, chiamavano tutti gl'invasori germanici della Britannia indistintamente Saxones; a partire però da una lettera di Gregorio Magno a Æthelberht del Kent, troviamo anche, con sempre maggiore frequenza, il nome Angli, che, col sec. X, doveva finire col predominare. E quest'uso era più corretto, poiché nella stessa Inghilterra riscontriamo sempre negli scritti in volgare di autori anche sassoni, i termini Angelcyn per tutta la parte germanica del paese, e Englisc per la lingua. Il primo esempio della forma composta l'abbiamo in Paolo Diacono, il quale creò il termine Angli Saxones (o Saxones Angli) per distinguere gli "Inglesi" dai Sassoni rimasti sul continente. In Inghilterra, il primo a seguirlo fu Asser, il quale chiamò Alfredo rex Angulsaxorum, alludendo probabilmente all'unione delle varie stirpi inglesi sotto quel re. Nella prima metà del sec. X, infine, l'espressione venne usata tavolta pel titolo reale in documenti legali; ma fin dal tempo di Eadgar fu sostituita da quella di rex Anglorum. Da allora la forma composta non si ritrova più fino al 1386, allorché la riesumò il Camden.
Origini. - Già Beda, nostra principale fonte sull'origine degli Anglosassoni, ci informa che gl'invasori della Britannia appartenevano a "tre delle più potenti tribù della Germania", e cioè agli Angli, ai Sassoni e agli Iuti; i primi colonizzarono l'East Anglia, la Mercia e la Northumbria; i Sassoni, l'Essex, il Sussex ed il Wessex; gli Iuti, il Kent, l'isola di Wight e la zona del Hampshire ad essa prospiciente. Egli aggiunge pure come gli Angli provenissero da "Angulus" (Angeln, corrispondente press'a poco all'odierno Schleswig), i Sassoni dalla regione che ai tempi di Beda stesso era abitata dai "Sassoni antichi", e gli Iuti dalle terre a nord degli Angli (l'odierno Jutland). Nonostante qualche recentissima voce dissenziente (v. E. Wadstein, On the Origin off the English, Upsala 1927, e P. Descamps, La question des origines Anglo-Saxonnes, in Revue Angl.-Am., V, 1927), la critica moderna ha per lo più confermato quanto Beda asserisce circa gli Angli, i quali, nominati per la prima volta da Tacito (Germ., 40), hanno lasciato il loro nome nell'antica patria (Angeln). Quanto ai Sassoni, essi vengono ricordati per primo da Tolomeo (II, 11, 7), il quale li pone a NE. dei Chauci Maggiori, nella parte occidentale del collo della penisola cimbrica; ma sappiamo che in tempi posteriori essi si spostarono, o estesero la loro occupazione, fino a tutta la zona già dei Chauci Maggiori (coi quali forse si fusero), zona che dal mare giungeva fino alla regione del Hannover compresa. Invero, il Chadwick (Origins, cap. III e IV) ritiene che, prima che avvenissero le invasioni della Britannia, quei Sassoni che non si erano spostati a SO. si fossero amalgamati con gli Angli, onde non si dovrebbe fare distinzione tra i due popoli in Inghilterra; ma la sua teoria è stata combattuta specialmente dagli archeologi (p. es. dal Leeds, Settlements, cap. III), i quali sostengono che, nonostante notevofi affinità, si riscontrano chiare differenze tra Angli e Sassoni. Sono però gli Iuti che presentano il più grave problema, poiché la maggior parte degl'indizî che abbiamo sembra contrastare con le parole di Beda. Non soltanto, infatti, per l'organizzazione sociale (p. es. il guidrigildo altissimo del ceorl del Kent) gli Iuti si differenziano notevolmente dagli altri, ma gli archeologi hanno dimostrato, senza possibilità di dubbio, come la suppellettile funeraria degli Iuti ricolleghi questi con la Germania occidentale, e specialmente col Basso Reno. Come però conciliare questo fatto con l'altro, egualmente sicuro, che gli Iuti, cioè, provenivano originariamente dallo Jutland, dove sopravvive il loro nome? Evidentemente soltanto supponendo che essi, già assai prima delle invasioni della Britannia, si fossero mossi dallo Jutland e avessero conquistato qualche popolo del Basso Reno, amalgamandosi con esso. E ciò sembrerebbe confermato dal fatto che, a partire dal sec. II, diminuisce assai il numero dei cimiteri nello Jutland. Quanto al popolo con cui gli Iuti si sarebbero amalgamati, si è soprattutto pensato ai Franchi Ripuarî, con i quali, secondo gli archeologi, essi presentano maggiori affinità. Inoltre, alcuni indizî potrebbero far pensare che, forse soltanto in occasione delle invasioni, gli Iuti si fossero uniti a bande di Frisî.
Organizzazione politica e sociale. - Contrariamente alle antiche idee, ispirate a concezioni romantico-democratiche, sull'organizzazione politica delle tribù angle e sassoni primitive, il Chadwick ha dimostrato che i popoli germanici invasori della Britannia non solo possedevano già nel sec. V il principio monarchico, ma che questo risaliva a qualche secolo addietro. In secondo luogo, nonostante le apparenze contrarie, è egualmente certo che le loro invasioni della Britannia differirono assai da quelle, p. es., della Gallia da parte dei Franchi. I regni anglosassoni, infatti, non presentano il carattere di monarchie militari con un re potentissimo, circondato da una nobiltà di servizio, bensì manifestano chiaramente caratteristiche tali (e in primo luogo quelle dell'esistenza di una nobiltà di sangue, distinta da quella di servizio del comitatus reale, e una forte organizzazione della mægð "famiglia"), da farci concludere che la colonizzazione avvenne per opera non di bande di avventurieri militari, bensì di intere tribù o parti organiche di tribù, così che la costituzione politica e sociale dei varî regni in epoca storica si dimostra evidentemente il risultato dell'evoluzione di condizioni normali precedenti alle invasioni stesse. Mentre quindi, da una parte, non mancavano notevoli limitazioni al potere del re, dall'altra la base sociale era ancora costituita dalle famiglie dei ceorlas, o uomini liberi, raggruppate per lo più in villaggi le cui terre venivano assegnate ad esse sotto forma di un congruo numero di strisce del comune campo coltivato, insieme coi diritti di pascolo e di falciatura nel prato comunale. L'organizzazione sociale su base famigliare, come pure una delle limitazioni del potere della corona, si rispecchiano chiaramente appunto nel concetto che si aveva della proprietà della terra. Questa non era infatti oggetto di proprietà personale, bensì era detenuta (dalla corona, dal nobile o dal ceorl) in un certo senso a solo titolo di usufrutto, in base al diritto popolare (folcriht), per cui essa veniva denominata folcland (v. Vinogradoff, Folcland): essa era, cioè, inalienabile, e, alla morte del detentore, passava ad eredi determinati dal folcriht e non da volontà testamentaria; perciò il re stesso poteva bensì compensare i suoi seguaci con tratti del folcland di sua pertinenza, ma tale concessione terminava di per sé alla morte di una delle due parti, allorché la terra stessa tornava alla corona. Altre limitazioni del potere reale esistevano in origine nel campo politico e in quello giuridico. Così, il diritto era propriamente consuetudinario e popolare (folcriht), nel senso che era l'espressione della coscienza giuridica del popolo e non della volontà del re; e mentre nelle assemblee locali la giustizia veniva amministrata dal popolo per bocca di un suo rappresentante, anche in quelle presiedute dal re (dette, come le altre, folcgemot) era sempre il . folcriht, suffragato dalla opinione popolare, e non l'arbitrio regio, che regolava i giudizî. Infine, originariamente, allorché le unità nazionali erano ancora piccole, l'assemblea di tutti gli uomini liberi di una tribù poteva riunirsi, costituendo un vero e proprio consiglio della corona: qualche traccia di questo si trova nel preambolo del più antico codice di leggi che abbiamo, quello di Æthelberht del Kent (circa 603). Presto però due fattori apportarono notevoli modificazioni all'organizzazione sinora prospettata, e cioè il sempre crescente potere della corona e l'influenza della Chiesa. Così, mentre probabilmente la funzione dell'assemblea popolare di Æthelberht era già diventata soltanto formale, troviamo il re coadiuvato dal witenagemot o "assemblea dei saggi". Questa, come vediamo da numerosi esempî storici, aveva il potere riconosciuto di deporre e di eleggere il re; ma mentre quest'ultima funzione si ridusse sempre più ad una formalità, specialmente quando il re defunto aveva eredi diretti, i witan furono sempre, almeno in epoca storica, nominati dal re e scelti tra gli alti ecclesiastici e tra i nobili di servizio (governatori di province, ed altri pegenas o ministri, tutti appartenenti al comitatus regio), onde dall'assemblea veniva ad esulare ogni concetto di rappresentanza popolare. Inoltre, l'uso introdotto, a partire dal sec. VII, di concedere terre alla Chiesa, portò al sorgere del bocland (boc "carta, documento"), o terra sottratta al folcland e concessa alla Chiesa in assoluta proprietà, talvolta perfino con esenzione dai doveri gravanti sul folcland (la trinoda necessitas, o tasse a favore della corona, i doveri militari e quelli di mantenimento di forti, di strade, di ponti, ecc.); il possesso di bocland si estese presto ai laici e divenne fattore importantissimo nella preparazione del feudalismo, deprimendo il ceorl e diminuendo l'estensione del folcland. A questo contribuì pure notevolmente il principio dell'esercizio della volontà testamentaria, introdotto in seguito ad influenza ecclesiastica, e contrariamente ai principî sanciti dal folcriht; il quale ultimo subì altri forti colpi allorché la corona, sempre più rafforzandosi, cominciò, coadiuvata dal witenagemot, e a partire specialmente dal regno di Alfredo (871-900), a legiferare anche in opposizione ad esso. In pari tempo, s'innestava sull'antico concetto della giustizia popolare quello nuovo della giustizia come prerogativa regale. In tal modo i folcgemot vennero ad essere presieduti da impiegati regi (ealdormen, gerefas, ecc.), anche se il principio della giustizia popolare non scomparve del tutto, poiché a base del diritto restava sempre il folcriht (sia pure modificato), dal quale doveva nascere la futura common law, e il popolo era rappresentato in una maniera che doveva poi per lenta evoluzione portare al jury system. E di pari passo con l'aumentato potere legislativo della corona cresceva quello amministrativo, con la costituzione nel sec. X delle shires, con a capo funzionari regi (ealdormen, a poco a poco sostituiti dai gerefas), e suddivise in hundred, formati di teothinga.
Diritto. - Nell'ambito del diritto germanico, quello anglosassone offre, in comune con quello scandinavo, uno speciale interesse. Non soltanto, infatti, Inghilterra e Scandinavia ebbero, sin da quando fu introdotto presso di esse l'uso di mettere le leggi per iscritto, codici compilati in lingua volgare, mentre gli altri popoli germanici li ebbero soltanto in latino; ma, per un complesso di ragioni, anche geografiche e politiche, il diritto anglosassone e lo scandinavo rappresentano in maniera assai pura quello antico germanico. Il primo codice inglese che possediamo fu promulgato da Æthelberht del Kent, ai primi del sec. VII, poco dopo l'introduzione del cristianesimo; seguono i codici di Hlothære ed Eadric (circa 685) e di Wihtræd (696), tutti del Kent. Del Wessex abbiamo il codice di Ine (circa 690), seguito da quello di Alfredo (circa 892); vengono poi numerosi codici, anche brevissimi, di molti re del sec. X (Eadward il Vecchio, Æthelstan, Eadmund I, Eadgar, Æthelred II) e quindi i due grandi codici del danese Cnut. Sono perduti i codici di Earconberht del Kent (640-664) e di Offa di Mercia (787-796). I primi re (Æthelberht, Hlothære e Ine) dovettero limitarsi a codificare principî sanciti dal folcriht; ma, rafforzatasi la monarchia, troviamo, come vedemmo, a partire da Wihtræd e da Alfredo, il tentativo della monarchia stessa di esercitare un diritto legislativo anche in opposizione al folcriht, mentre andava sempre crescendo l'influenza dell'elemento ecclesiastico. D'altra parte occorre osservare che il diritto anglosassone, il quale mostra speciali affinità con quello dei popoli della Bassa Germania (Frisî, Sassoni, Turingi), si mantenne abbastanza indipendente da influssi stranieri: infatti, le maggiori affinità col diritto franco nel sec. X sono per lo più dovute soltanto ad analogie nella situazione nazionale; la influenza scandinava nei secc. X e XI è limitata alle regioni colonizzate dai Danesi; e il diritto romano ebbe ripercussioni solo indirette attraverso la Chiesa, nei riguardi soprattutto della facoltà testamentaria, della proprietà della terra (v. sopra) e della posizione della donna. Sarebbe impossibile analizzare qui minutamente il diritto anglosassone; dobbiamo limitarci ad accennare soltanto ad alcune delle sue caratteristiche, per lo più condivise con altri diritti germanici. In primo luogo, possiamo dire che, giuridicamente parlando, l'individuo si perdeva nella famiglia a cui apparteneva (miegð) e i cui limiti erano precisamente fissati fino al 5° e 6° grado; questa, mentre aveva il dovere di proteggere ed aiutare ogni suo membro, contraeva anche responsabilità per la sua buona condotta. Così, allorché avveniva un omicidio, la famiglia del morto apriva la faida (fæhðe) contro la famiglia dell'omicida, che era tutta esposta alla sua vendetta; e quando al principio della vendetta diretta subentrò il concetto della composizione mediante pagamento del wergeld (guidrigildo), variabile secondo l'importanza sociale dell'ucciso, le due famiglie interessate ebbero rispettivamente il diritto di parteciparvi e il dovere di contribuirvi. Si stabiliva così un principio di corresponsabilità che doveva avere le più notevoli conseguenze nella formazione del senso di disciplina sociale in Inghilterra. Questo principio, poi, era talmente connaturato che, quando si indebolirono i legami della mægð in conseguenza dello sviluppo sociale, ad essa si sostituirono associazioni volontarie, e il principio della corresponsabilità venne esteso in certi casi anche ai hundred e alle città, per delitti commessi da uno dei loro membri. Si tratta di un inizio di organizzazione di polizia che si risolve nelle frankpledges dei secc. X e XI. Ma il concetto della famiglia aveva ulteriori applicazioni in relazione all'istituto del giuramento, per cui chi era accusato di un delitto poteva liberarsi dall'accusa mediante il proprio giuramento suffragato da quello di parenti e compagni, il cui numero e la cui importanza variava in proporzione diretta della gravità del delitto e inversa della posizione sociale dell'imputato: si tratta della compurgation by oath (purgazione per giuramento), per cui, in ultima analisi, il giudizio anche di vita e di morte contro un imputato non colto in flagrante dipendeva dalla famiglia di questo, la quale poteva rifiutarsi di prestare il giuramento a suo favore. Ma le offese, oltreché materiali, potevano essere morali, e tra queste ve ne potevano essere che ledessero quel diritto di protezione che un terzo esercitava in un dato luogo, e cioè la sua "pace" (frið); così, un delitto commesso in una casa ne ledeva moralmente il padrone, a cui quindi spettava un adeguato risarcimento. La estensione di questo principio, man mano che si affermava la funzione giuridica della corona, portò naturalmente al concetto che ogni delitto ledeva la pace del re come primo responsabile dell'ordine pubblico; ed ecco nascere il concetto della King's peace, tuttora fondamentale nel diritto inglese. Ma v'è di più: originariamente ogni offesa era questione di diritto privato e non riguardava che le famiglie dell'offeso e dell'offensore; col concetto della King's peace, e quindi del risarcimento dei danni morali subiti dalla corona, sorge il principio dell'azione punitiva dello stato.
Famiglia. - La famiglia, di cui abbiamo veduto l'importanza e le funzioni nel campo dell'organizzazione sociale e del diritto, deve considerarsi sotto due diversi aspetti. Da una parte abbiamo la vera mægð in senso lato, che può definirsi quasi un consorzio di individui dotati di tutti i diritti civili e militari ed uniti da legami di consanguineità. In origine essa era rigorosamente agnatizia, così che costituiva un corpo chiuso e ben delimitato; col tempo, però, introdotto anche il principio della cognazione, la mægð; cominciò in realtà a disgregarsi, poiché i figli di ogni matrimonio venivano ad avere una mægð allo stesso tempo agnatizia e cognatizia, differente in parte da quella del padre e della madre singolarmente considerati. Caratteristica, dunque, della mægð è la mancanza di un capo e l'eguaglianza dei membri. Dall'altro lato, invece, abbiamo la famiglia in senso ristretto, composta di un solo individuo dotato di tutti i diritti - il capo - da cui dipendono tutti i conviventi nella sua casa (moglie, figli, pupilli, servi liberi, schiavi e perfino ospiti). La relazione di quello verso questi veniva denominata mundio, per cui il capo (mundbora) rappresentava in propria persona tutta la famiglia dinanzi alla legge, così passivamente come attivamente, con piena responsabilità personale per le azioni dei dipendenti e viceversa godendo, p. es., dei compensi dovuti per torti commessi contro questi; egli solo, dunque, poteva, se è lecito usare tali termini moderni, promuovere e subire, e sempre in proprio, qualsiasi causa penale o civile. In origine, anzi, il possesso della mund portava con sé autorità assoluta, compreso anche il diritto di vita e di morte almeno sui figli e sugli schiavi e fors'anche sulla moglie; ma col tempo l'istituto si trasformò fino ad implicare il concetto di protezione, che è quello che riscontriamo nei tempi storici. Non per questo, però, il mundbora cessò di essere il rappresentante giuridicamente responsabile della famiglia, né di esercitare su di essa autorità, per cui, p. es., in caso di povertà, egli poteva perfino vendere i figli come schiavi.
Analogamente, in principio la proprietà originaria o eventualmente acquisita (per doni, eredità, ecc.) della moglie e dei figli spettava al capo della famiglia, e solo col tempo si ebbero modificazioni per cui, per esempio, quella dei figli venne ad essere considerata quasi come un fidecommesso, e quindi come cosa a sé.
Poco dissimile dal diritto di vendere i figli è quello sul quale si basava il matrimonio, e che ci prova chiaramente l'infima posizione giuridica della donna. Durante il periodo anglosassone, infatti, abbiamo il matrimonio per compera. Nelle leggi di Æthelberht (art. 77) esso ci appare ancora in tutta la sua brutalità, mostrando come la donna non fosse che un semplice oggetto di commercio; e anzi l'art. 31 stabilisce che chi ha sedotto una donna maritata, deve, oltre che compensare il marito per la violazione della sua mund, comprargli un'altra moglie. Nei secoli successivi la forma del matrimonio per compera venne modificata (così il prezzo della donna venne ad essere pagato a questa, quasi a titolo di dote, anziché al suo mundbora), ma il principio restò intatto, finché, nel sec. XI, la Chiesa non riuscì ad avocare a sé la legislazione matrimoniale. Intanto però la Chiesa stessa aveva portato anche ad un miglioramento, lento ma essenziale, della posizione giuridica e morale della donna nella famiglia, finché ai tempi di Cnut (II, art. 74) troviamo che la fanciulla aveva un certo diritto di scelta dello sposo, mentre il principio della compera della moglie veniva legalmente abolito.
La stessa inferiorità della moglie riscontriamo nelle leggi riguardanti il divorzio, che permettevano all'uomo di ripudiare la moglie per molteplici motivi, nonostante si andasse sempre più affermando la tendenza di limitare tale facoltà a casi di adulterio e di delitti gravissimi, mentre il divorzio era concesso alla moglie soltanto in certi casi in cui il marito perdeva i diritti civili, p. es., in seguito a bando, il quale già di per sé scioglieva il legame coniugale. E si può qui aggiungere che l'istituto stesso del divorzio, benché osteggiato dalla Chiesa, ora con minore ed ora con maggiore energia, scomparve soltanto, come quello dalla compera, quando la Chiesa assunse tutta la legislazione matrimoniale.
Una tale situazione di assoluto predominio dell'uomo e di subordinazione completa della donna si rispecchia naturalmente nella vita sessuale, nella quale l'uomo godeva di una libertà contro la quale la Chiesa sostenne una lunga e difficile lotta. Se infatti della poligamia, istituto una volta normale nel mondo germanico, non abbiamo tracce palesi in Inghilterra, ad essa va riportato l'uso frequente da parte di uomini anche ammogliati, ancora in tempi cristiani, di tenere una o più concubine. Però sarebbe errore considerare la concubina presso gli Anglosassoni come una semplice prostituta, poiché essa godeva di una certa posizione giuridica riconosciuta e le sue relazioni con l'uomo con cui viveva erano piuttosto quelle di moglie secondaria, sposata con cerimoniale incompleto. E sarebbe parimenti un errore il supporre che l'insieme di questi usi rispecchiasse una rilassatezza di costumi. Tutti ricordano, infatti, quanto Tacito dice dell'austerità di vita degli antichi Germani; e se le sue parole sembrerebbero trovare una smentita, per esempio in Scandinavia, esse trovano invece piena conferma in Inghilterra, ove tutte le fonti concorrono a dimostrare l'esistenza di un alto concetto della morale (sia pure differente dal cristiano), del quale è, prova eloquente l'austerità della letteratura eroica anglosassone. Di un vero e proprio rilassamento di costumi non si può parlare che a partire dal sec. IX, quale dimostrabile conseguenza delle invasioni danesi. Altrimenti restò sempre altissimo il concetto che si aveva della purezza femminile, e la posizione sociale della donna era per lo meno altrettanto alta quanto quella giuridica era bassa.
Religione e cultura. - Anche a parte l'insufficienza delle fonti sarebbe difficile parlare di una vera e propria cultura anglosassone nei tempi pagani, all'infuori di quella che poteva manifestarsi indirettamente nei campi della letteratura eroica (come espressione storica), dell'arte e della religione. Per le prime due rimandiamo alla voce inghilterra: Letteratura e Arte. Qui, accennato al fatto che non risulta che gli Anglosassoni abbiano in alcun modo usato l'alfabeto runico germanico per scopi letterarî (tolta qualche tarda e breve iscrizione, come quelle sul Franks Casket e sulle croci di pietra di Ruthwell e di Bewcastle), sibbene soltanto per scopi magici e per indicare, p. es., il nome del proprietario o dell'artefice su piccoli oggetti, possiamo dare qualche cenno sulla religione. Putroppo però, le nostre fonti si riducono a poche allusioni sparse nelle opere di scrittori per lo più anglo-latini, agl'Incantesimi che, nonostante una superficiale cristianizzazione, rivelano chiaramente la loro origine pagana, ad elementi linguistici, compresi i nomi di alcune località e dei giorni della settimana, e via dicendo. Tuttavia quanto sappiamo basta per mostrarci come gli Anglosassoni non differissero per la religione dagli altri popoli germanici, e come quindi anche presso di essi, sulla base di una più primitiva religione naturistica, di cui chiare manifestazioni sopravvivono in epoca storica nel culto di alberi, fonti, monti, ecc. e nella credenza in esseri sovrannaturali quali gli elfi, i giganti, le valchirie e via dicendo, si fosse andato formando il noto Pantheon antropomorfico germanico. Delle principali divinità di questo, almeno Thunor (Thor), Woden (Odino), Tiw e Frig erano venerati, come si deduce anche dai nomi dei giorni Thursday, Wednesday, Tuesday e Friday, in cui si trova l'equiparazione popolare di Thunor con Giove (quale dio del tuono), di Woden con Mereurio (quale dio dei morti), di Tiw con Marte e di Frig con Venere. Ma a noi qui interessa soprattutto osservare due altri fatti. In primo luogo, l'importanza acquistata dal concetto del Destino, personificato nella figura di Wyrd, l'unica delle Norne nordiche conosciuta in Inghilterra. Col suo carattere cupo, inesorabile e per lo più malvagio, essa è l'espressione più notevole di quel radicato pessimismo che caratterizza l'anima primitiva anglosassone e che il cristianesimo poté modificare ma non distruggere, cosicché, unito ad un senso religioso egualmente profondo e radicato, esso si ritrova attraverso tutta la storia spirituale dell'Inghilterra, sia nell'intima malinconia che impronta tanta della più grande lirica inglese, sia in quell'abito spirituale ed etico che ebbe poi ad esprimersi nel protestantesimo calvinista e nel puritanesimo medievale e moderno. L'altro fatto è che il paganesimo, allo stesso tempo, ed a differenza da quanto doveva avvenire ancora quasi mezzo millennio più tardi, p. es., tra gli Scandinavi, aveva in Inghilterra già perduto ogni vera vitalità allorché il cristianesimo vi giunse alla fine del sec. VI. Per questo, ed anche per l'illuminata saggezza di Gregorio Magno, l'evangelizzazione degli Anglosassoni procedé nella maniera più pacifica, senza che il paese fosse funestato da episodî di martirio sia dall'una sia dall'altra parte. Invero, i secoli dal IX all'XI videro una parziale recrudescenza del paganesimo, a cui s'allude nelle leggi ed in opere ecclesiastiche; ma fu conseguenza passeggera delle invasioni dei Danesi e probabilmente limitata a questi ultimi. In tal modo la cultura ecclesiastica poté entrare nel paese e gettarvi profonde radici con rapidità sorprendente. Però qui occorre tener presenti le speciali circostanze storiche in cui il cristianesimo penetrò in Inghilterra e ricordare come, se la prima mossa venne da Roma, la Northumbria, la Mercia e l'East Anglia furono invece realmente evangelizzate dalla chiesa celtica, o meglio da quella celtico-irlandese, fondata da Columba a Hii (Iona) nel sec. VI. Qui sorge il difficile problema dell'influenza culturale irlandese sulla civiltà anglosassone; ma, pur non negando che una certa influenza permanente fosse certamente esercitata sia direttamente in Inghilterra (come fa fede, p. es., la scuola di scrittura e di miniatura northumbra), sia indirettamente attraverso i molti studenti anglosassoni che si recarono presso le grandi scuole monastiche d'Irlanda, dobbiamo tuttavia tener conto dei seguenti fatti: 1. che la chiesa irlandese prevalse in Inghilterra per meno di trent'anni (dall'arrivo di Aidan nel 635 al sinodo di Whitby nel 664) e che questo periodo fu tutto occupato da attività missionaria piuttosto che culturale; 2. che il sinodo di Whitby chiuse la lotta tra la chiesa irlandese (allora eretica ed antiromana) e quella romana di Canterbury con la vittoria di questa; 3. che anche prima del 664 i più notevoli ecclesiastici northumbri, quali Benedict Biscop (fondatore dei massimi monasteri northumbri di Wearmouth e Jarrow) e Wilfrid, maestro di Beda, erano interamente sotto l'influenza culturale di Roma; 4. che nel 668 fu consacrato arcivescovo di Canterbury e primate d'Inghilterra il grande Teodoro di Tarso, il quale, con l'abate Adriano suo coadiutore, fu uno dei più dotti uomini del suo tempo, e poté dare un eccezionale impulso alla cultura cristiana inglese, introducendo anche lo studio del greco e perfino dell'ebraico. Sia dunque i grandi dotti del nord, quali Beda ed Alcuino, sia quelli del sud, quale Aldhelm, scolaro di Teodoro e di Adriano, furono in primo luogo espressioni di una cultura che aveva le sue radici nel mondo romano, e rappresentarono i più noti allievi di scuole in virtù delle quali l'Inghilterra poté considerarsi il massimo centro europeo di studî fuori d'Italia per due interi secoli, e cioè fino al principio dell'800, allorché le invasioni danesi portarono alla distruzione dei monasteri northumbri, e, gettando il paese nel caos, determinarono il crollo della cultura anglo-latina. Poiché però questo sconvolgimento fu accompagnato anche dalla fine della letteratura poetica in volgare, non soltanto cristiana ma anche laico-eroica, la quale ultima, coltivando le antiche saghe eroiche, rappresentava con arte notevole la tradizione culturale precristiana, può ben darsi che la decadenza del sec. IX fosse dovuta non soltanto a fattori esteriori, ma anche a una vera e propria crisi spirituale. La fine del sec. IX vide, sotto Alfredo il Grande, il principio di una rinascita intellettuale, ma in proporzioni assai più modeste. Non più si trovano nomi come quelli di Beda, di Aldhelm e di Alcuino, ma soltanto le traduzioni dal latino di Alfredo e dei suoi coadiutori; e scritti originali (quasi unicamente omelie, per lo più in volgare) si ritrovano soltanto tra il 970 ed il 1025 come frutto della riforma monastica legata al nome dell'arcivescovo Dunstan (925-988). Dopo il 1025 può ben dirsi che il mondo anglosassone sia definitivamente decaduto dal lato culturale; sarebbe però errato ricercarne le cause in un vero e proprio esaurimento, e più errato ancora volerle trovare nelle rinnovate invasioni danesi, che anzi accompagnarono la rinascita intellettuale e terminarono felicemente nel 1016. Piuttosto si tratta del punto culminante della crisi spirituale a cui accennammo sopra, conseguenza dell'urto tra il cristianesimo e la primitiva civiltà germanica, crisi che lentamente si prepara sin dal sec. VII e di cui possiamo seguire lo svolgimento fino nell'XI. Da essa l'Inghilterra anglosassone escì trasformata spiritualmente alla fine del secolo, prima ancora che la conquista normanna avesse potuto esercitare una notevole influenza su di essa (v. A. Ricci, The Anglo-Saxon Eleventh Century Crisis).
La Cronaca Anglosassone. - Se i sec. IX, X e XI non produssero quasi nessuna grande figura di studioso o di poeta, essi videro invece l'inizio di un'opera in volgare che si può dire unica del suo genere: la cosiddetta Cronaca Anglosassone, la quale, col suo carattere che non possiamo chiamare altro che nazionale, ci mostra quanto dobbiamo salire indietro per trovare la prima manifestazione di quella coscienza politica e nazionale che ha sempre distinto la vita inglese attraverso i secoli. La storia di questa cronaca, la quale dopo una breve lista di dati riguardanti la Britannia sin dai tempi di Cesare, tratta degli avvenimenti dell'Inghilterra dalle invasioni in poi, è non poco complicata: ma i minuziosi studî cui è stata sottoposta permettono di stabilire che essa fu iniziata nel Wessex durante il regno di Alfredo e forse precisamente nell'891 o 892. Certo essa non fu la prima cronaca inglese, poiché è chiaro che si basa anche su una fonte sassone occidentale, forse dei tempi di Æthelwulf (836-856), padre di Alfredo, la quale a sua volta era stata compilata in base a molteplici altre fonti, comprendenti, oltre alle opere di Beda, anche altre cronache (di esse, secondo il Chadwick, Origin, p. 26 seg., almeno una può ritenersi che fosse stata tenuta al corrente nel Wessex fino al 754). Ma è altrettanto chiaro che quelle opere precedenti erano del tipo comune, di carattere locale o limitato ad interessi ecclesiastici, mentre l'opera iniziata ai tempi di Alfredo deve anzitutto la sua importanza al fatto che abbraccia gli avvenimenti dell'intero paese da un punto di vista, come dicemmo, nazionale. Dopo la prima redazione nell'892, copie della Cronaca furono spedite in varie parti del regno, dov'esse subirono qualche interpolazione, e dove - talvolta passando di luogo in luogo - continuarono ad essere tenute al corrente per lungo tempo; le cinque copie più importanti che abbiamo, infatti, giungono rispettivamente al 977, 1066, 1079 e 1154 (la Peterborough Chronicle). Ne consegue che, a partire dall'892, le varie versioni differiscono nei particolari; ma è da notarsi che, mentre le linee generali rimangono invariate, non di rado più di una copia e talvolta tutte sembrano servirsi di fonti comuni, forse trasmesse in occasione di sinodi ecclesiastici. Il valore storico delle cronache varia naturalmente secondo il periodo di cui trattano. Tralasciando i tempi presassoni, troviamo anzitutto la parte riguardante le invasioni e il periodo che precede il cristianesimo (449-596): e appunto questa solleva i maggiori problemi. I compilatori, infatti, non potevano servirsi se non di tradizioni orali e forse di poemi eroici, e le scarse notizie forniteci sono purtroppo in frequente contraddizione con le altre, anch'esse scarse e spesso vaghe, che troviamo in opere di scrittori gallesi (p. es. Gildas) o continentali; alcune notizie sono evidentemente del tutto leggendarie, come quella di un tal Port, conquistatore di Portsmouth, evidentemente inventato dal nome del luogo (il Portus Magnus dei Romani). Questa prima parte, dunque, sul cui valore gli storici stessi sono ancora discordi, va usata soltanto con la massima cautela. A partire dal 596, invece, le notizie divengono sempre più numerose ed attendibili; non solo, ma di quando in quando troviamo anche brani assai lunghi (per asempio anno 616, 657, 694, per tacere della mirabile descrizione dell'assassinio di re Cynewulf del Wessex, sotto l'anno 755). Nei secoli VIII e IX la cronaca diviene fonte sempre più preziosa di notizie, mantenendo il suo valore sino alla fine, eccettuato il periodo dal 925 al 975, che è assai scarno, nonostante sia quello più glorioso della storia dell'Inghilterra anglosassone. Però anche allora, come nei secoli VIII e IX, essa resta press'a poco l'unica nostra fonte storica. Più che il valore storico, varia assai il valore letterario delle diverse versioni, com'è da aspettarsi data la molteplicità degli autori. Per lunghi periodi troviamo registrazioni puramente annalistiche e incolori, ma di quando in quando i compilatori si dimostrano assai più che non meri cronisti: in periodi quali quelli dall'893 all'897 (guerre di Alfredo), dal 911 al 924 (guerre di Æthelflæd, Signora della Mercia), dal 975 al 1001 (seconda invasione danese), troviamo brani di indubbio valore letterario. A causa del carattere primitivo della lingua, lo stile è ancora incerto e mancante di perspicuità, ma nessuno potrà negargli il carattere spesso incisivo, nervoso e allo stesso tempo castigato. Ma più ancora che per l'innegabile pregio letterario di alcuni brani, la Cronaca ci colpisce per la serietà, l'evidente onestà degl'intendimenti e il profondo e sincero e quindi mai rettorico amore di patria che animarono la lunga teoria dei compilatori, alcuni dei quali, nel sec. X, furono forse poeti o almeno amatori di poesia, fino al punto di introdurre parecchi brani in versi, tra cui il poemetto sulla battaglia di Brunanburh (937), uno di quei capolavori sporadici che la morente musa anglosassone produsse ancora nel sec. X.
Per le immigrazioni e le vicende politiche degli Anglosassoni sul suolo inglese, v. inghilterra: Storia.
Antichità e arte anglosassone. - Gli scavi archeologici nel suolo britannico ci hanno restituito una doviziosa suppellettile che, per i suoi caratteri, può dividersi in due gruppi i quali corrispondono quasi certamente a due distinti agglomerati etnici. Uno è circoscritto al territorio del Kent, dell'isola di Wight e ad una parte del Hampshire; l'altro si estende al resto della Gran Bretagna.
Il più recente ed acuto trattatista delle antichità anglo-sassoni l'Åberg, osserva che la tipica civiltà del Kent può appartenere a quei popoli che Beda chiama col nome di Iuti. Essa si è sviluppata nei secoli V, VI e in parte del VII. La suppellettile estratta dai sepolcri mostra l'influsso della decorazione germanica mescolato a influenze bizantine ed orientali. Occorre notare che in questo periodo l'ornato germanico aveva compiuto la contaminazione della figura animalesca stilizzata, d'origine nordica, con gli ornati a intreccio di provenienza orientale e bizantina. Negli oggetti del Kent quelle decorazioni si accrescono di guarnizioni di pietre come negli oggetti bizantini, e di talune figurazioni naturalistiche provenienti probabilmente dall'arte d'Oriente, specie dalla copta.
Nei materiali del resto della Gran Bretagna si notano, oltre l'ornato germanico, l'influsso delle figurazioni geometriche celtiche e qualche motivo derivato dall'arte provinciale romana. Osserva genericamente l'Åberg che nei primi secoli dopo l'invasione l'ornato anglo-sassone passa per tre fasi: la prima caratterizzata dall'ornamento a spirale, la seconda dall'ornato animale del I stile germanico, la terza da quello del II stile (cioè con le intrecciature). La rappresentazione naturalistica di animali, quando vi è, rivela in questo caso l'influenza romana.
I più antichi fondi anglo-sassoni si son trovati a Kempston nel Bedfordshire, a Dorchester nell'Oxfordshire, e poi nel Suffolk e nel Surrey. Vi si vedono fibule circolari e crociformi. Altrove si son tratte fibule a testa rettangolare e piede a losanga curvilinea. Negli oggetti del Kent le fibule circolari hanno pietre e smalti disposti organicamente in rapporto a un centro. Non mancano le fibbie a base triangolare o quadrata e testa ad anello. Fra tali oggetti se ne mescolano altri d'origine franca, scandinava, bizantina. Le monete e le medaglie romane e bizantine utilizzate per le collane offrono a volte un termine per la datazione più precisa di questa suppellettile (v. barbarica, arte).
Gli elementi nordici, già indicati nei varî aspetti della cultura, si ritrovano anche nell'arte anglosassone dei secc. VII e VIII, ma svolti in modo originale, tra il concorrere insistente e variabile di altri fattori, cioè d'influenze irlandesi, orientali, romane. Queste ultime - anch'esse complicate con quelle orientali e bizantine - sono attestate dallo stesso Beda che ricorda i manoscritti inviati in Inghilterra da Gregorio Magno e le immagini, o modelli, che l'abate Benedetto portò da Roma al suo monastero di Jarrow; le influenze dell'arte irlandese (v. irlanda: Arte) erano ovvie nella intensa azione culturale che l'Irlanda ebbe non soltanto nella vicina isola ma perfino in Italia (v. s. colombano), e sono dimostrate dai monumenti. Di questi hanno massima importanza i manoscritti miniati, anche perché di sicura cronologia: e fra tutti è da ricordare l'evangeliario della badia di Lindisfarne (Londra, British Museum: Cotton ms. Nero I), dove gli ornati hanno strettissime somiglianze coi modi irlandesi, le figure degli evangelisti (meno calligrafiche che nei ms. irlandesi) accennano a quelle influenze romane e bizantine e l'insieme eleva ad un grado altissimo i concetti ornamentali e astratti della tradizione celtica e germanica, complicata di elementi copti e orientali, formandone una squisita opera d'arte che per sé stessa rivela una raffinata e originale cultura, sul principio del sec. VIII. Le grandi croci lapidee, ornate e istoriate, di Bewcastle (670) e di Ruthwell, sebbene altri ne contesti la remota antichità, sembrano appartenere davvero al tempo di Beda, e manifestano una varietà di coefficienti - celtici, orientali, bizantini - e un potere d'arte affine ai manoscritti miniati, mentre anche l'architettura era esercitata non soltanto in costruzioni lignee ma in edifizî a vòlte.
Se le isole britanniche contribuirono inizialmente alla formazione della cultura e dell'arte carolingia, l'azione di questa è poi evidente nell'arte anglosassone ch'essa allontanò dalle precedenti forme. Nelle miniature anglosassoni del sec. X - tra cui si può citare soprattutto il Benedizionale del vescovo Æthelwold (963-984) - è chiara la discendenza dalla maniera del Salterio di Utrecht e della scuola di Reims, ma in piena originalità di svolgimento sia negli ornamenti sia nel disegno contorto e agitato o nel colorito a leggiere acquetinte, non altrimenti che nei numerosi avori intagliati. Intanto, nei secoli X e XI, prima della conquista normanna, l'architettura anglosassone rifioriva vivacemente con sue particolarità di forme e di procedimenti costruttivi, in alcuni dei quali sembrano riflettersi ancora remote tradizioni (v. per più ampia trattazione: gran bretagna: Arte).
Fonti: Le fonti principali sono il Codex diplomaticus aevi Saxonici, ed. da J. M. Kemible, Londra 1839-48; il Diplomatarium Anglicum aevi Saxonici, ed. da B. Thorpe, Londra 1865; il Cartularium Saxonicum, ed. da W. de G. Birch, voll. 3, Londra 1885-1893. Per le leggi, v. F. Liebermann, Gesetze der Angelsachsen, voll. 3, Halle 1898-1916; F. L. Attenborough, The Laws of the Earliest English Kings, Cambridge 1922; A. J. Robertson, The Laws of the Kings of England from Edmund to Henry I, Cambridge 1925. Inoltre, A. W. Haddan e W. Stubbs, Councils and Ecclesiastical Documents relating to Great Britain and heland, voll. 4, Oxf0rd 1869-1878. Delle cronache, principalissima la Anglo-Saxon Chronicle, edizione C. Plummer, voll. 2, Oxford 1892-99 (cfr. F. Viglione, Studio critico filologico sull'Anglo-Saxon Chronicle, con saggi di trad., Pavia 1922). Per più ampie indicazioni cfr. Ch. Gross Sources and Literature of English History from the earliest Times to about 1845, 2a ed., Londra 1915 e R. W. Chambers, England before the Norman Conquest (Univ. of London Source-Books of History), Londra 1926.
Bibl.: K. Malone, Anglo-Saxon, a semantic study, in Rev. of Engl. Studies, V (1929); E. Wingfield-Stratford, History of English Civilization, Londra 1928, voll. 2; M. Lappenberg, History of England under the Anglo-Saxon Kings, 2ª ed., Londra 1881; G. Kemble, The Saxons in England, Londra 1849; Ramsay, The Foundations of England, Londra 1898, voll. 2; C. Oman, England before the Norman Conquest, 5ª ed., Londra 1921; T. Hodgkin, Political History of England from the earliest Times to the Norman Conquest, 2ª ed., Londra 1914; W. Stubbs, Constitutional History of England, 5ª ed., Oxford 1891 seguenti, voll. 3; E. A. Freeman, History of the Norman Conquest, Oxford 1873, voll. 6; H. M. Chadwick, The Origin of the English Nation, Cambridge 9107; H. M. Chadwick, Studies on Anglo-Saxon Institutions, Cambridge 1905; F. W. Maitland, Domesday Book and Beyond, Cambridge 1907, nuova edizione; P. Vinogradoff, Growth of the Manor, Londra 1905; id., Folcland, in Engl. Hist. Rev., 1893; F. Seebohm, The English Village Community, Londra 1883; W. G. Corbett, The Tribal Hidage, in Transact. R. Hist. Soc., n. serie, XIV; F. Roder, Die Familie bei den Angelsachsen, Halle 1899; A. Ricci, The Anglo-Saxon Eleventh Cent. Crisis, in Rev. of Engl. St., V (1929).
Per le antichità e l'arte: G. Baldwin Brown, Ecclesiastical Architecture in England from the conquest of the Saxons to the Norman Conquest, 1903; id., The Arts in Early England, 2ª ed., voll. 5, Londra 1926 segg.; T. Cook, The date of the Ruthwell and Bewcastle Crosses, New Haven 1912; G. F. Browne, The Ancient Cross Shafts at Bewcastle and Ruthwell, Cambridge 1916; E. T. Lees, The Archeology of the Anglo-Saxon Settlements, Oxford 1913; J. Strzygowski, Origin of christian Church Art, Oxford 1923, p. 230 segg.; N. Åberg, The Anglo-Saxon in England, Upsala 1926; O. E. Saunders, Englische Buchmalerei, Monaco 1927, voll. 2; A. Kingsley Porter, Romanische Plastik in Spanien, Monaco 1928, I, p. 1 segg.; I. Gollanez, The Caedmon Ms. of anglo-saxon biblical poetry ("Junius XI" in the Bodleian Library), Oxford 1927.