Vedi Angola dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Le vicende interne e le relazioni internazionali dell’Angola dipendono in gran parte dal petrolio. Mentre all’interno i proventi dell’estrazione hanno favorito lo sviluppo di un nazionalismo economico e di una classe borghese legata al potere politico, in ambito internazionale la ricchezza petrolifera è servita a rafforzare l’immagine dell’Angola, favorendo – dopo una prima fase rivoluzionaria – buone relazioni internazionali con tutte le maggiori potenze, dagli Usa alla Cina, dalla Russia al Brasile, senza che ciò abbia comportato il doversi schierarsi apertamente pro o contro gli stati considerati antisistema. Gli Usa sono stati per lungo tempo il principale partner commerciale di Luanda. Dal 2007 tuttavia questa posizione è occupata dalla Cina, che ha concluso con l’Angola accordi estremamente vantaggiosi in crediti finanziari, basati sulla costruzione di infrastrutture in cambio di estrazione e fornitura di petrolio a prezzi favorevoli.
Le relazioni con i principali paesi donatori sono meno intense rispetto a quelle di altre nazioni vicine, grazie alla relativa indipendenza dall’aiuto internazionale (del resto le negoziazioni fra Angola e Imf sono sempre state tormentate). I rapporti con il Portogallo sono significativi, non solo per effetto del comune retaggio storico, culturale e linguistico, ma anche perché oggi l’Angola rappresenta un terreno ricco di opportunità sia per gli investitori portoghesi sia per l’occupazione, tanto che nel 2012 sono arrivati dal Portogallo circa 150.000 lavoratori. Viceversa, tra il 2002 e il 2009, gli investimenti angolani in Portogallo sono passati da 1,6 a 116 milioni di euro. L’Angola beneficia anche di fondi di investimento e aiuti allo sviluppo provenienti dal Brasile. Le relazioni con il Sudafrica sono ambivalenti: pur essendo migliorate rispetto agli anni dell’apartheid (durante i quali il Sudafrica aveva sostenuto l’Unita, l’União nacional para a independência total de Angola, per contrastare l’appoggio del Mpla, il Movimento popular de libertação de Angola, all’African national congress), restano elementi di competizione tra i due paesi, legati soprattutto al tentativo di Luanda di proiettarsi come potenza regionale concorrente.
I risultati delle elezioni presidenziali del 2012, che hanno confermato la preminenza di José Eduardo Dos Santos e del Mpla, seppure in relativo calo rispetto alle elezioni precedenti, hanno suscitato dubbi sul loro peso effettivo. Gli altri partiti sono praticamente ininfluenti e non hanno mai conquistato una vera legittimazione come opposizione politica. La crisi di credibilità e rappresentatività è scontata soprattutto dall’Unita, il principale movimento di opposizione, che nel corso della guerra civile era l’antagonista politico e militare del Mpla, e che ha mischiato populismo e comunitarismo, senza però nascondere le collusioni con il regime segregazionista del Sudafrica. L’Unita, dopo la morte del suo fondatore Jonas Savimbi nel 2002 e l’abbandono della lotta armata, ha perduto di peso (anche se nelle presidenziali del 31 agosto 2012 ha migliorato il risultato rispetto all’elezione precedente, con circa il 19% dei voti). Nel settembre 2013 il segretario generale del partito è stato sospeso per uno scandalo legato alla corruzione.
Già nel 2010, l’abolizione delle elezioni presidenziali, attese per l’anno precedente, aveva riconfermato la gestione autocratica del potere. Secondo le nuove regole approvate dal Parlamento il presidente Dos Santos, che ha 70 anni ed è al potere da più di 30, potrebbe rimanere in carica fino al 2022. Tuttavia, sembra che Dos Santos stia scegliendo il suo successore, forse identificato in Manuel Vicente, nominato vicepresidente nel 2012. La società civile angolana, soprattutto i giovani, sembrano tollerare sempre meno il mix di clientelismo politico e nepotismo che caratterizza la vita politica. Le proteste si moltiplicano e creano sempre più allarme nel governo, che ha risposto con una dura repressione, arrestando alcuni membri del Movimento revolucionário angolano (Mra), all’origine delle dimostrazioni più imponenti.
I dati relativi alla popolazione angolana sono poco affidabili perché dal 1970 non si tiene un censimento e la guerra ha provocato un alto numero sia di rifugiati all’estero (soprattutto in Zambia e nella Repubblica Democratica del Congo), sia di sfollati interni, soprattutto verso le città: per questo la popolazione urbana, pari al 60% del totale, è più alta di quella rurale (40%). Il tasso di crescita della popolazione (3,1%) è uno dei più alti (il settimo) di tutta l’Africa. In Angola vivono circa 90 gruppi etnici. Il principale è costituto dagli Ovimbundu (circa il 40% della popolazione totale), che costituivano la base etnica dell’Unita durante la guerra civile. Seguono i Mbundu (25%) e i Bakongo (14%). Numericamente poco significativi, ma rilevanti dal punto di vista dell’influenza economica e politica, sono i mestiços, gruppi di popolazione mista di origine africana, europea e asiatica, concentrati soprattutto nelle città, che costituiscono il 3-5% circa della popolazione totale. La maggioranza degli abitanti è di fede cristiana (53%), mentre il resto della popolazione pratica culti tradizionali (46,8%), a parte un’esigua minoranza di fedeli islamici. Gli indici relativi alle libertà civili, politiche e di espressione sono assai bassi, e il tasso di corruzione percepita è molto elevato, tanto che la stessa comunità internazionale ha chiesto più volte al governo di rendere pubblici i dati sui proventi del petrolio e di impegnarsi maggiormente per la trasparenza.
Lo sviluppo dell’economia è fortemente condizionato dal settore petrolifero. L’Angola è il secondo produttore continentale dopo la Nigeria e il petrolio costituisce il 45% del pil e il 90% delle esportazioni, impiegando solo lo 0,2% della popolazione economicamente attiva. Nel 2013 quattro nuovi giacimenti sono entrati in funzione. La maggioranza della popolazione lavora nel settore informale, mentre l’agricoltura contribuisce solo al 10% del pil, poiché ha sofferto delle conseguenze della lunga guerra civile. L’Angola è stata fra i paesi africani a più rapida crescita economica, ma nel 2009 la crisi internazionale ha provocato un brusco arresto. Dal 2010 il Pil ha ricominciato a crescere e, nel 2012, il tasso si è assestato attorno al 6,8%. Luanda ha iniziato ad attrarre da circa cinque anni un notevole flusso di investimenti diretti esteri. Recentemente è stata approvata una legge che impone alle compagnie petrolifere di utilizzare solo banche locali per le transazioni correnti.
Due sono le grandi sfide per l’economia angolana. Il paese deve cercare di costruire un modello di crescita sostenibile che, partendo dai proventi dell’industria petrolifera, permetta la ricostruzione del sistema infrastrutturale e una diversificazione produttiva che sfrutti appieno le grandi risorse (estrazione di diamanti e ferro, coltivazioni di caffè, sisal e cotone). In secondo luogo, l’Angola deve distribuire in modo più equo i benefici derivanti dal petrolio: mentre il PIL cresce a un ritmo vertiginoso, più della metà della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, la speranza di vita è ferma a 51 anni e solo il 53% delle persone hanno accesso all’acqua potabile.
L’Angola, che può mettere in campo un esercito di 100.000 soldati con una lunga esperienza di combattimenti, è riconosciuta come una potenza militare regionale. Le forze armate comprendono anche l’Aviazione e una piccola Marina. Molte delle forniture di armi vengono dalle ex repubbliche sovietiche. L’esercito angolano è intervenuto in Congo (1998) e nella Repubblica Democratica del Congo (1998-2003), nel quadro della strategia di contenimento della guerriglia dell’Unita, e, più recentemente, in sostegno al governo di Kinshasa nel Nord Kivu. La partecipazione di Luanda alle missioni internazionali è limitata.
Dal 1963 sono attivi vari movimenti armati, che derivano dal troncone principale del Flec (Frente de libertação do enclave de Cabinda) e che rivendicano l’indipendenza di Cabinda, una provincia di 300.000 abitanti situata a nord del territorio angolano, una vera exclave nello spazio congolese, da cui provengono i due terzi del petrolio angolano. Nel 2010 una di queste formazioni ha attaccato la squadra di calcio del Togo in occasione della Coppa d’Africa, organizzata in Angola, e ha provocato tre morti. Attualmente sono in corso tentativi di mediazione tra le forze governative e le fazioni del movimento indipendentista. Nel 2006, una di questi gruppi, il Flec-Renovada, ha firmato
un cessate il fuoco col governo angolano.
I primi accordi commerciali fra Cina e Angola risalgono al 1984. Durante la guerra civile la Cina, per distinguersi dall’URSS, ha sostenuto il FNLA di Holden Roberto (un movimento alleato con l’UNITA), ma ha successivamente offerto il suo sostegno al MPLA. Nel dopoguerra il sostegno militare si è trasformato in una partnership commerciale di cui ha beneficiato la ricostruzione del paese. La Cina ha offerto all’Angola prestiti ingenti, tra 6 e 9 miliardi di dollari, per la costruzione di infrastrutture in cambio di petrolio, contribuendo alla ricostruzione delle vie di comunicazione e di importanti strutture pubbliche. Nel 2003 è stato istituito un forum di cooperazione economica fra la Cina e le nazioni lusofone allo scopo di promuovere i mutui interessi economici e commerciali. Gli investimenti cinesi sono per lo più rivolti verso l’industria del petrolio, ma negli ultimi anni si sono aperti ad altri settori come l’estrazione dei diamanti, l’agricoltura e la pesca. Nel 2012 l’Angola è stata il primo partner commerciale africano della Cina per un giro d’affari di circa 24,8 miliardi di dollari. Recentemente gli imprenditori locali hanno espresso preoccupazione per la concorrenza delle imprese cinesi.