Vedi Angola dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Le vicende interne e le relazioni internazionali dell’Angola dipendono in gran parte dal petrolio, di cui il paese è il principale produttore dell’Africa australe e il secondo produttore dell’Africa sub-sahariana. A differenza di altri ‘petro-stati’, l’Angola non ha utilizzato il potere contrattuale derivante dalle proprie risorse per opporsi alle potenze occidentali. Mentre all’interno del paese i proventi del petrolio hanno sviluppato un nazionalismo economico e una classe borghese connessa in modo organico al potere politico, in ambito internazionale la ricchezza petrolifera è servita a rafforzare l’immagine esterna del paese, favorendo una politica estera multi-vettoriale, ovvero buone relazioni internazionali con tutte le super-potenze, dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Russia al Brasile, senza schierarsi apertamente pro o contro quegli stati considerati anti-sistema come Iran e Venezuela. Gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale dalla fine degli anni Sessanta, nonostante gli Usa non avessero ufficialmente riconosciuto fino al 1993 il governo marxista (filo-sovietico e appoggiato militarmente dai cubani) del Mpla (Movimento popular de libertação de Angola). I rapporti tra Cina e Angola sono stati oggetto di grande attenzione a partire dal 2003, quando la Cina ha cominciato a investire nel paese con un prestito per la ricostruzione delle infrastrutture per quasi 5 miliardi di dollari. I rapporti tra Cina e Angola, però, non sono improntati alla schematica dipendenza con cui spesso si dipingono le relazioni tra Cina e Africa: si tratta di una partnership pragmatica che nel 2007, ad esempio, si è incrinata intorno alla questione degli investimenti per costruire una raffineria a Lobito (richiesti dal governo angolano come parte degli accordi commerciali e rifiutati dalla compagnia cinese Sinopec).
Le relazioni con i principali paesi donatori sono meno intense rispetto a quelle di altre nazioni vicine, grazie anche alla relativa indipendenza dall’aiuto internazionale di cui il paese gode. I rapporti con l’ex madrepatria, il Portogallo, e con il Brasile sono significativi, grazie anche al comune retaggio culturale e linguistico. Le relazioni con il Sudafrica sono ambivalenti: pur essendo migliorate rispetto agli anni dell’apartheid (durante i quali il Sudafrica aveva invaso l’Angola), restano elementi di competizione tra i due paesi, legati soprattutto al tentativo di Luanda di proiettarsi come potenza regionale concorrente. L’Angola è un membro attivo delle organizzazioni regionali, come la Comunità di sviluppo per l’Africa meridionale (Sadc) e l’Unione Africana (Au), della Comunità dei paesi di lingua portoghese (di cui ha avuto la presidenza tra il 2008 e il 2010) e delle Nazioni Unite.
Pur essendo un paese formalmente democratico, i risultati delle elezioni parlamentari del 2008, che hanno confermato la preminenza del Mpla, il partito al potere fin dall’indipendenza (191 seggi sui 220 in parlamento), hanno suscitato più di un dubbio sul loro valore effettivo. Gli altri partiti, infatti, sono praticamente ininfluenti e non hanno mai conquistato una vera legittimazione come opposizione politica. La crisi di credibilità e rappresentatività è scontata soprattutto dall’União nacional para independência total de Angola (Unita), il principale movimento di opposizione che nel corso della guerra civile si era presentato come l’antagonista politico e militare del Mpla, mischiando populismo e comunitarismo, senza neppure nascondere le collusioni con il regime segregazionista del Sudafrica. L’Unita, dopo la morte del suo fondatore Jonas Savimbi nel 2002 e l’abbandono della lotta armata, ha di fatto perduto di peso e nelle elezioni del 2008 è arrivata a raccogliere solo il 10,4% dei consensi.
Nel 2010 l’abolizione delle elezioni presidenziali, attese per l’anno precedente, ha ribadito la gestione autocratica del potere. Secondo le nuove regole approvate dal parlamento il presidente José Eduardo dos Santos, 68 anni e al potere da 30, potrà rimanere in carica come legittimo presidente fino al 2022. Il potere è centralizzato negli uffici della presidenza e si struttura lungo linee politiche e finanziarie che spesso sono alternative a quelle istituzionali. Clientelismo politico e nepotismo, foraggiati dai proventi del petrolio e intrecciati fra di loro, sono elementi basilari del sistema politico ed economico angolano.
I dati relativi alla popolazione angolana sono poco affidabili perché dal 1970 non si tiene un censimento e i fatti bellici hanno provocato un alto numero sia di rifugiati all’estero (soprattutto in Zambia e nella Repubblica Democratica del Congo), sia di sfollati interni, soprattutto nelle città: per questo la popolazione urbana, pari al 57,6% del totale, è più alta di quella rurale, dato assai raro in Africa. Il tasso di crescita della popolazione (2,9%) è uno dei più alti di tutta l’Africa.
In Angola ci sono circa 90 gruppi etnici. Il principale è costituto dagli Ovimbundu, che rappresentano poco meno del 40% della popolazione, e costituivano la base etnica dell’Unita durante la guerra civile. Seguono i Mbundu (25% circa della popolazione) e i Bakongo (14%). Numericamente poco significativi, ma rilevanti dal punto di vista dell’influenza economica e politica, sono i mestiços, gruppi di popolazione mista di origine africana, europea e asiatica, concentrati soprattutto nelle città, che costituiscono il 3-5% circa della popolazione totale. La maggioranza degli abitanti del paese è cristiana (53%), mentre il resto della popolazione pratica culti tradizionali (46,8%), con un’esigua minoranza di persone di fede islamica.
Gli indici relativi alle libertà civili, politiche e di espressione sono assai bassi, nonostante nel paese sia in vigore un sistema elettorale che non presenta le criticità tipiche dei regimi ;autocratici.
Lo sviluppo dell’economia è fortemente condizionato dal settore petrolifero, che costituisce il 60% del pil e il 95% delle esportazioni, ma impiega solo lo 0,2% della popolazione economicamente attiva.
La maggioranza della popolazione lavora nel settore informale, mentre l’agricoltura, che nei paesi africani costituisce di solito il settore di impiego principale, contribuisce solo al 10% del pil, avendo sofferto delle conseguenze della guerra civile.
L’Angola è uno dei paesi che guidano il miracolo africano della crescita. Dal 2004 al 2008, infatti, il tasso di crescita del pil è stato a due cifre. La crisi economica internazionale ha però ridotto notevolmente i tassi di crescita, discesi allo 0,7% nel 2009. L’Angola, con i suoi tassi di crescita esponenziali e le grandi opportunità offerte dal settore minerario, ha iniziato ad attrarre da circa cinque anni un notevole flusso di investimenti diretti esteri (pari al doppio di quello che attraggono i due giganti africani, Nigeria e Sudafrica).
Due sono le grandi sfide per l’economia angolana. Il paese deve cercare di costruire un modello di crescita sostenibile che, partendo dai proventi dell’industria petrolifera, permetta la ricostruzione del sistema infrastrutturale e la diversificazione produttiva in altri settori al di là di quello estrattivo, sfruttando appieno le proprie risorse (estrazione di diamanti e ferro, coltivazioni di caffè, sisal e cotone). In secondo luogo, l’Angola deve affrontare la questione della distribuzione dei benefici derivanti dal petrolio: mentre il paese cresce a un ritmo vertiginoso, più della metà della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Anche i progressi in ambito sociale, per quanto notevoli se comparati con gli standard di vita della popolazione indigena del periodo pre-indipendenza, devono essere rafforzati: solo il 70% della popolazione è alfabetizzata e la speranza di vita di 46 anni è bassa se si pensa che il paese non sconta ancora gli effetti dell’epidemia dell’Aids.
L’Angola, che vanta un esercito di 100.000 soldati con vasta esperienza di combattimenti, è riconosciuta come una potenza militare regionale. Le Forze Armate comprendono anche l’Aviazione e una piccola Marina. Molte delle forniture di armi vengono dalle ex repubbliche sovietiche. L’esercito angolano è intervenuto in Congo (1998) e nella Repubblica Democratica del Congo (1998-2003), nel quadro della strategia di contenimento della guerriglia dell’Unita.
Il principale fattore di instabilità interna è costituito dalla situazione dell’enclave settentrionale di Cabinda: nella regione, ricca di petrolio, sono infatti attivi movimenti separatisti che nel gennaio del 2010 hanno attaccato la squadra di calcio del Togo in occasione della Coppa d’Africa, organizzata in Angola. Attualmente sono in corso tentativi di mediazione tra le forze governative e le varie fazioni del movimento indipendentista.