angoscia
Stato affettivo penoso di attesa di un pericolo sconosciuto, causato da problemi psicologici interiori consci e inconsci, accompagnato da specifiche manifestazioni somatiche. Di fronte a una minaccia esplicita gli esseri umani possono provare paura, stato d’animo risultante dalla percezione di una minaccia e dall’interpretazione del suo significato; ciò prepara a un’azione di risposta alla minaccia stessa. Uno stato d’animo analogo può invece essere percepito senza una minaccia esplicita. Si ha allora l’a., un’attesa piena di inquietudine, di pericolo indefinibile ma imminente,di sentimenti di insicurezza. L’a. è dunque qualche cosa che si percepisce, uno stato affettivo; un qualcosa di spiacevole che manca di qualunque elemento appariscente (pericolo esterno noto nella paura). L’a. può far parte o caratterizzare varie forme di psicopatologia, ma è anche così diffusa e tipica della vita umana da essere considerata, in partic. dai filosofi esistenzialisti, un fenomeno connaturato con aspetti fondanti l’esistenza stessa, come il conflitto fra libertà senza limiti e costrizioni (prima fra tutte l’ineludibilità della morte). L’a. è accompagnata da manifestazioni di attivazione del sistema neurovegetativo identiche a quelle della paura (batticuore, aumento della pressione arteriosa, respiro frequente e superficiale, sudorazione, tremore, ecc.) che sono secondarie allo stato d’animo ma che su di questo si ripercuotono accentuandolo.
I due termini ansia e angoscia sono per molti aspetti equiparabili o addirittura equivalenti: derivano entrambi dalla medesima radice etimologica che indica senso di costrizione, angustia. Alcune lingue europee possiedono del resto un solo termine per indicare questi stati d’animo. In italiano il termine a. si caratterizza, almeno nel linguaggio comune, per possedere l’attributo di una maggiore gravità, di una percezione di minaccia sconosciuta maggiore e, infine, per la presenza di un più preoccupante coinvolgimento soggettivo del corpo. L’a. può allora essere usato con un’accezione propria o anche per indicare un’ansia (➔) più grave e con marcate manifestazioni somatiche.
Sigmund Freud, nel tentativo di capire e, nel contempo, di curare alcune forme di psicopatologia, venne presto in contatto col fenomeno dell’angoscia. Nei suoi primi lavori egli identificò forme cliniche di a. sia acuta (attacchi di panico) che cronica, nelle nevrosi come nelle psicosi ed in quelli che oggi si chiamano disturbi di personalità. All’inizio della sua attività clinica e della sua elaborazione teorica Freud ipotizzò che l’a. derivasse dalla libido (energia, forza dell’amore), impossibilitata a raggiungere i suoi scopi a causa della rimozione. Privata della possibilità di questo conseguimento, la libido, rimasta libera, avrebbe subito una trasformazione negativa in a., «come il vino che si trasforma in aceto» scrisse a questo proposito Freud; questa lettura dà senso ad alcuni fenomeni anche alla luce del sentire comune ma che rappresenta più una descrizione che una vera comprensione psicologica. Nel 1926 Freud dette dell’a. una lettura diversa, collegandola con la risposta a una minaccia. Essa diviene un segnale di pericolo (a. segnale), e la sua sede è la parte cosciente, l’Io del soggetto. Ribaltando la precedente impostazione, è l’a. che mette in moto la rimozione e non viceversa. Ma di quale minaccia si tratta? Se c’è un pericolo noto si prova evidentemente paura, spavento e non ansia o angoscia. Ma esistono nello sviluppo degli esseri umani tappe e situazioni che, iscritte nella memoria sovente inconsapevole, sono in grado di generare angoscia. Ogni cambiamento comporta la necessità di affrontare novità sconosciute che rievocano i timori di eventi mutativi avvenuti nel passato, alcuni dei quali drammatici e minacciosi per la vita stessa. Si capisce così come sia possibile il ripresentarsi di a. legate a vicende minacciose, traumatiche, accadute od organizzate in varie fasi della vita. Come esempi possono citarsi il cosiddetto trauma della nascita, lo svezzamento, l’a. dello straniero o degli otto mesi, l’inizio della deambulazione e quindi il distaccarsi autonomo, e infine il raggiungimento di ogni nuova forma di autonomia a ogni età. Esistono così tipi di a. diversi per origine, qualità e gravità: per es., l’a. legata ad autorimproveri, superegoica, quella connessa alla sfida, nella crescita, ai genitori (ansia di castrazione), la paura, sperimentata in passato ma riattivata nel presente, di perdere l’amore o di perdere l’oggetto amato. Più gravi sono forme di a. legate al sentire il mondo esterno ostile (a. persecutorie) o quelle di perdere la propria unità ed identità mentale e fisica (a. di frammentazione).