Ani
Grande città dell'Armenia medievale (antico cantone di Širak, nella prov. di Ayarat), oggi abbandonata, sita nella prov. di Kars, in Turchia, a km. 50 ca. a E del capoluogo. L'area a suo tempo edificata coincide con un vasto promontorio tufaceo di forma grosso modo triangolare, alla quota di m. 1500 ca., delimitato dalla confluenza di due profonde valli fluviali, una delle quali forma il letto di un fiume perenne (grande affluente di sinistra del fiume Arasse) denominato in armeno Axuryan, in turco Arpa Çay, che segna l'attuale confine tra la Turchia e l'Unione Sovietica.
Il sito di A., ove sin dal sec. 5° la famiglia dei Kamsarakan aveva costruito una residenza fortificata, verso la fine del sec. 8°, dopo un periodo di insicurezza connesso con la conquista araba e le rivalità feudali, passò, con tutta la regione, sotto il controllo dei Bagratidi, un'altra grande famiglia principesca armena la quale, con una saggia politica di equidistanza tra Bisanzio e il califfato, riuscì a far riconoscere la propria sovranità alle due potenze e a ristabilire il potere armeno su gran parte del paese, favorendone anche la prosperità con accordi commerciali e garantendo la sicurezza dei traffici carovanieri tra l'Asia e l'Europa tramite i porti del mar Nero.
Lo sviluppo urbano di A. iniziò verso la fine del sec. 10° allorché il re Ašot III la scelse come residenza reale e vi trasferì nel 961 la sede della capitale (che fino ad allora era stata a Kars e prima ancora a Erazgavor e a Bagaran), ove nel 969 si tenne un concilio e nel 993 si trasferì la sede del catolicosato.La città, dotata di una prima cerchia di mura tra il 964 e il 978, divenne presto centro amministrativo, culturale, religioso e commerciale di tutti i territori controllati dai Bagratidi e dai loro vassalli: a N il principato di Loṙi, a E quello del Syunik῾, a S il Vaspurakan, mentre un ramo collaterale della famiglia si installò nel Tayk῾. L'apogeo della dinastia e della città può considerarsi il trentennio 990-1020, corrispondente al pacifico regno di Gagik III, mecenate delle arti e costruttore di numerosi monumenti, alcuni dei quali (cattedrale, mausoleo reale) opera dell'architetto Trdat.Nel 1045 il governo della città fu ceduto, assieme ad altri territori armeni minacciati dalle campagne militari dei Selgiuqidi, a un governatore bizantino che però non riuscì a evitare l'assedio e la presa della città da parte delle truppe di Alp Arslan, nel 1064. Da allora fino alla fine del sec. 12° A. fu retta dalla dinastia islamica degli Shaddadidi, forse di origine curda, ma, sottoposta a ripetuti attacchi da parte dei Georgiani, fu da questi occupata nel 1199 e data in feudo alla dinastia degli Zaxaryan. Si manifestò allora una nuova fase espansiva, che dette luogo a nuove edificazioni monumentali, espressione di apporti culturali diversi offerti dal clima cosmopolitico.
Il declino di A., che la descrizione di Guglielmo di Rubruck (The Journey of Willelm of Rubruck, a cura di W.W. Rockhill, London 1900) registra nel 1255, iniziò nel 1239 con l'occupazione dei Mongoli e fu poi accentuato dai disastrosi terremoti del 1263 e del 1319; la città venne progressivamente abbandonata, anche per la decadenza della via carovaniera verso il mar Nero, e la maggioranza della popolazione armena emigrò verso la Cilicia.
Tra il 1892 e il 1917 A., 'riscoperta' da alcuni viaggiatori-archeologi del sec. 19° (Dubois, 1839; Brosset, 1860-1861), fu oggetto di laboriose campagne di studio e di scavo dell'Accademia delle Scienze di Pietroburgo, dirette da Marr, includenti anche il rilievo e il restauro di alcuni monumenti e la raccolta di ingente materiale ceramico.
Le rovine di A. mostrano con chiarezza le fasi della sua crescita dal sec. 7° al 13°, attraverso l'estensione progressiva del suo sistema difensivo. All'estremo S, cioè in corrispondenza della punta del promontorio, si osservano i resti della cittadella dei Kamsarakan, detta in armeno Aljkaberd, e in turco Kızkalesı (fortezza della fanciulla), sulla cui sommità si eleva, semidiruta, la chiesetta omonima, dell'11° secolo. Immediatamente a N di questa fu eretta la città di Ašot III Bagratuni, che nella parte più elevata comprendeva una cittadella di forma poligonale irregolare, il cui recinto si innestava al complesso del palazzo; nello stretto pianoro delimitato da scoscese pendici e da un breve tratto di mura eretto nel 963 collegante le due scarpate sorgeva la città vera e propria, di cui restano solo i ruderi della chiesa di Ašot e un altro edificio pubblico, che fu poi trasformato nella moschea di Manūcihr.
Nella seconda metà del sec. 10° la città si era però così estesa nell'area pianeggiante, oltre le mura di Ašot, che si rese necessario erigere, ancora più a N, una ulteriore cinta urbana, lunga km. 2 ca., formata da una doppia cortina turrita interrotta da porte a baionetta. Tali mura, costruite da Smbat nel 989, restaurate poi dagli Zaxaryan nel sec. 13°, presentano una bella apparecchiatura di blocchi di tufo vulcanico rosso-arancio con inserti di lava basaltica grigia che disegnano croci, stemmi, scacchiere e includono il bassorilievo di un leone al passo, simbolo della città.
Entro queste mura si andò addensando, tra il sec. 10° e il 13°, un tessuto compatto di quartieri abitativi e di edifici pubblici di carattere monumentale: chiese, palazzi, bagni, moschee, caravanserragli, alcuni dei quali ancora in piedi, altri riportati alla luce dall'esplorazione archeologica, che rivelò pure i tracciati - oggi di nuovo coperti dal terreno - del sistema stradale primario diramantesi dalle diverse porte urbiche. Una di queste, la porta di Dvin, a S della cattedrale, dava accesso a un ponte a una sola arcata che collegava le due rive dell'Axuryan.
Tra i monumenti del potere ecclesiastico, poiché non si conoscono tracce dei palazzi del kat῾olikos e del vescovo, l'edificio principale è la cattedrale, eretta tra il 989 e il 1001 e restaurata all'inizio del sec. 13°, che sorge in posizione preminente, quasi al margine del vallone dell'Axuryan, ma non esattamente al centro dell'abitato urbano. Si ritiene che la chiesa principale dei Georgiani (e degli Armeni di rito calcedonico) fosse la c.d. chiesa Georgiana che una iscrizione data al 1218. Sotto la dinastia shaddadide, che trasformò in moschee alcune chiese, tra cui la cattedrale e anche alcuni edifici civili (come la dogana della città di Ašot divenuta la moschea di Manūcihr), fu edificata pure, tra la cattedrale e la chiesa dei Ss. Apostoli, la moschea di Abū Mu῾amrān.
Tra i monumenti del potere civile si conoscono: nella città di Ašot il palazzo della cittadella (edificio complesso a due piani, includente due grandi sale di udienza e un bagno) e, preceduta da uno spazio inedificato, la chiesa palatina dei Ss. Sarkis e T῾oros, risalente forse al sec. 7°, ma più probabilmente eretta nel 9°-10° secolo. Connesse con funzioni dinastiche e celebrative erano pure altre chiese, quali il c.d. mausoleo dei principi reali (metà sec. 11°) e due cappelle a pianta centrale (secc. 10° e 11°), nonché, inclusa in un'insula abitativa fiancheggiata da una strada di notevole importanza, la c.d. chiesa di Ašot.
Nella città di Gagik la più importante struttura di uso civile è il c.d. palazzo di Paron, addossato all'estremo N-O delle mura e affacciato a strapiombo sulla scarpata. Data la sua vicinanza al mausoleo di Gagik (1013), esso sorge forse nel luogo di un precedente palazzo di questo re, ma poiché la forma attuale risale al sec. 13°, lo si è pure ritenuto la residenza di un vescovo, di un dignitario islamico o di una famiglia mercantile (per es. gli Honenc῾, la cui sepoltura rupestre non è lontana e il cui mecenatismo è ben noto attraverso la grandiosa fondazione della chiesa di S. Gregorio, del 1215, sita all'estremo opposto della città). Alla famiglia principesca dei Pahlavuni sono legate le fondazioni di altre tre chiese a pianta centrale: S. Gregorio, detta di Abulamr (980-982), esaconca; Ss. Apostoli, fondata da Vahram I (1031), tetraconca inserita in un quadrato; S. Salvatore, costruita da Abulgharih (1036), ottaconca, destinata ad accogliere un frammento della Vera Croce riportato da Costantinopoli.
Tra le opere pubbliche di cui restano tracce sono alcuni caravanserragli (presso i Ss. Apostoli, il cui gavit῾ o nartece reca iscrizioni che fanno ritenere servisse da ufficio delle imposte) e bagni (presso il S. Gregorio di Tigrane Honenc῾ e a N della cattedrale) con tratti della rete idrica e fognaria.Dei conventi resta solo, pur in stato di rovina, l'eremo delle Vergini (Kusanac῾) in posizione arroccata sul margine della scarpata a S-E della cattedrale.
Dei quartieri di abitazione, costruiti per lo più in materiale precario, poco resta entro le mura e anche al di fuori di esse, ove si dovettero sviluppare zone residenziali e commerciali molto estese.
Le necropoli erano per lo più scavate nel masso tufaceo su cui sorgeva la città ed erano accessibili (come del resto alcune cappelle, numerosi ambienti destinati a deposito e una serie di piccionaie ricavate nel sottosuolo) dalle ripide pareti rocciose delle scarpate del promontorio.
L'architettura di A. presenta una grande varietà di organismi chiesastici, che include quasi tutti i tipi presenti in Armenia: la sala absidata (Ss. T῾oros e Sarkis, 'chiesa Georgiana'), la sala a cupola (chiesa di Ašot, c.d. Monumento Unico, S. Gregorio di Tigrane Honenc῾), la basilica a cupola (cattedrale); diverse varianti dell'impianto centrale a cupola, tetraconco (nella cittadella), tetraconco con deambulatorio (S. Gregorio di Gagik), tetraconco inscritto (Ss. Apostoli), esaconco (nella cittadella, chiesa delle Vergini, S. Gregorio di Abulamr, chiesa detta 'del Pastore'), ottaconco (S. Salvatore).Vi figurano pure alcuni esempi di gavit῾, anche se di tipo diverso e di dimensioni più ridotte (eremo delle Vergini, Ss. Apostoli, S. Gregorio di Tigrane Honenc῾) rispetto a quelli ricorrenti nei complessi conventuali (per es.: Hoṙomos, Bagnayr).
L'unica moschea superstite, detta di Manūcihr, del tipo a sala rettangolare ipostila suddivisa in dodici settori, uno dei quali occupato da un alto minareto ottagonale, è degna di nota per l'assenza, oggi, del muro qiblī e perciò del miḥrāb, che fa ritenere si trattasse all'origine di un edificio di vedetta; essa è coperta da volte a padiglione lunettate con specchiature in piano, che presentano, come del resto quelle del coevo gavit῾ della chiesa dei Ss. Apostoli, intarsi bicolori su imposte a stalattiti.
Gli apparati decorativi si limitano, nel periodo bagratide, a sobrie sottolineature, per lo più aniconiche, di alcuni elementi architettonici: sistemi di arcatelle cieche sui tamburi e sulle pareti rettilinee, coppie di nicchie diedriche, incorniciature di finestre, portali a protiro, che riprendono, con maggior ricchezza, motivi del periodo formativo. La diffusione di tali motivi durante i secc. 10° e 11°, unitamente al recupero di tipi architettonici complessi, tra cui l'esaconco, che si verificano nello Širak e in altre regioni in stretta relazione con la capitale, lasciano supporre l'esistenza di una vera e propria 'scuola di architettura di A.', individuabile per la sua sofisticata elaborazione progettuale.
L'uso di tarsie in pietre policrome a motivi geometrici, di pannelli di maioliche invetriate, di soprarchi, volte e cupole a stalattiti (per es. nel gavit῾ della chiesa dei Ss. Apostoli e nel portale del 'palazzo Paron') è indice, invece, di contatti e interscambi con ambienti selgiuqidi e ilkhanidi.
I cicli pittorici mancano del tutto o quasi (ma non per ragioni di iconoclastia) tra il sec. 9° e l'11°, periodo segnato dal calcedonismo antigreco. I dipinti murali più importanti risalgono al sec. 13° e sono opera soprattutto di artisti georgiani, cui si deve tra l'altro la decorazione completa, tuttora ben conservata, dell'interno del S. Gregorio di Tigrane Honenc῾, del 1215, e del suo gavit῾: il programma, che include scene dell'Antico e Nuovo Testamento, è tipicamente georgiano, ma comprende temi armeni, riferiti alla vita di s. Gregorio Illuminatore e del re Tigrane, costituendo nel suo complesso un prodotto sincretico della cultura cosmopolitica di A. in tale periodo. Un altro ciclo di affreschi, 'firmati' da un pittore armeno che si ritrae inginocchiato in una delle conche absidali, ornava l'interno del S. Salvatore, del 1291.
Nell'ambito della scultura figurata, anch'essa poco rappresentata, vanno ricordati i rilievi zoomorfi entro alcune arcatelle cieche della cattedrale e sul tamburo del S. Gregorio di Tigrane Honenc῾, nonché, in quest'ultimo, nella sua fascia finemente decorata che, includendo le arcatelle cieche, ne avvolge completamente il volume di base.
I materiali rinvenuti nel corso degli scavi diretti da Marr, tra cui la statua a tutto tondo del re Gagik nell'atto di sostenere il modello della sua chiesa, furono raccolti in un deposito all'interno dell'area archeologica, ma a seguito degli avvenimenti bellici del 1918 andarono quasi tutti dispersi o distrutti, e solo una piccola parte, recuperata, si trova oggi al Gosudarstvennyj istoričeskij muz. di Erevan, mentre alcuni frammenti di affreschi, dalla chiesa di Baltagek, sono all'Ermitage di Leningrado. Altri materiali raccolti in epoca più recente (tra cui un grosso frammento del modello in pietra della cattedrale) sono oggi conservati nel nuovo Mus. di Kars.
Bibliografia
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