Anicia Giuliana
Figlia di Anicio Olibrio, imperatore d'Occidente dal marzo al novembre del 472, e di Placidia, figlia maggiore di Valentiniano III e di Licinia Eudossia, A. (Costantinopoli 462-529 ca.) apparteneva dunque, per parte di padre, a una delle più illustri famiglie romane, gli Anici (Capizzi, 1968). Nel 478-479 A. sposò Areobindo (di cui fu probabilmente la seconda moglie), di illustre stirpe gallo-germanica, magister militum per Orientem tra il 503 e il 504 e console nel 506, poi acclamato imperatore a Costantinopoli nel 512 in opposizione ad Anastasio I (Martindale, 1980), onore che rifiutò fuggendo nel Ponto.
Protagonista della vita religiosa e politica costantinopolitana del suo tempo e committente di numerosi edifici di culto nella capitale - chiesa e monastero di S. Eufemia, chiesa della Theotókos e forse quella di S. Stefano allo Zeugma (Capizzi, 1977) -, A. fu in stretto rapporto con s. Saba, durante il soggiorno del santo a Costantinopoli, e con papa Ormisda, come attestano due lettere a lui inviate; probabilmente svolse un ruolo non secondario nella vicenda dello scisma acaciano (Capizzi, 1973).Il manifesto della sua politica religiosa e culturale, oltre che nella miniatura del Dioscoride di Vienna (Öst. Nat. Bibl., Med. gr. 1, c. 6v), databile al 512 ca., che la rappresenta seduta fra due personificazioni (Bertelli, 1958), era espresso nelle chiare lettere dell'iscrizione greca che correva sulle pareti di quella che è considerata la sua impresa più memorabile, cioè la ricostruzione della chiesa di S. Polieucto a Costantinopoli, fondata circa un secolo prima dalla bisnonna Elia Eudocia. Si deve a Ševčenko (Mango, Ševčenko, 1961) l'identificazione, attraverso i versi scolpiti su alcune nicchie e arcate provenienti da questa chiesa (Istanbul, Arkeoloji Müz.), dell'intero epigramma di settantasei righe in onore del martire di Melitene, Polieucto, trasmesso dall'Anthologia Palatina (I, 10). La chiesa, in gran parte distrutta, era ubicata sulla Mesé, tra la chiesa dei Ss. Apostoli e il Forum Tauri e fu costruita, come indica un passo dell'epigramma, in soli quattro anni, tra il 524 e il 527. Gli scavi effettuati a partire dal 1964 hanno portato alla luce le fondazioni di un vasto edificio a pianta quadrangolare preceduto da un atrio e da un nartece e corredato di un battistero sul lato nord, presso cui doveva sorgere il palazzo di Anicia Giuliana. Nel sec. 12° il battistero fu trasformato in cisterna, mentre nell'atrio si insediò un cimitero (Harrison, 1986), a conferma, con alcune testimonianze letterarie medievali, che tra il sec. 12° e il 13° la chiesa era ormai fatiscente; più tardi, verso la fine del sec. 14°, il sito fu occupato da una moschea. L'interno, a giudicare dalle sostruzioni, era probabilmente a tre navate con gallerie; una vasta cripta quadrata, articolata in più ambienti, si stendeva sotto il bema.Il quesito più interessante riguarda la presenza di una cupola e, in caso affermativo, la sua tipologia. Il ruolo svolto dal S. Polieucto nel quadro dell'arte costantinopolitana dei primi decenni del sec. 6°, pochi anni prima della ricostruzione giustinianea di Santa Sofia, è stato sempre messo in evidenza. Così il problema dell'esistenza di una cupola acquista maggiore rilievo in quanto si tratterebbe, insieme con quella dei Ss. Sergio e Bacco, di uno dei diretti antecedenti di Santa Sofia: il tipo di cupola era più vicino alla nuova soluzione quivi impiegata, o piuttosto - come ipotizza Harrison (1982) - ricalcava la cupola della coeva chiesa dei Ss. Sergio e Bacco? Il passo dell'epigramma relativo alla descrizione del tetto dorato, i cui raggi (nervature) partono da colonne a loro volta sorrette da altre colonne, sembrerebbe evocare l'interno e il tipo di cupola ombrelliforme della chiesa dei Ss. Sergio e Bacco, piuttosto che non la grandiosa, e più tarda, cupola di Santa Sofia.
L'aspetto più noto ed eclatante del S. Polieucto è però la ricca decorazione architettonica, di cui rimangono numerose testimonianze, in particolare arcate, nicchie, cornici, capitelli, pilastri (provengono da questo edificio i c.d. 'pilastri acritani', conservati a Venezia nella piazzetta S. Marco). Se il materiale usato prevalentemente è il marmo proconnesio, insieme con il docimeo, il lessico ornamentale in gran parte mostra motivi della tradizione iranica; non si tratta però di motivi semplicemente estrapolati da quel repertorio, poiché in taluni casi, per es. in alcuni capitelli, venne ripresa dall'Iran anche la forma. Circa questo aspetto un ruolo non secondario dovette probabilmente essere svolto dal marito di A., Areobindo, responsabile della difesa del limes orientale almeno dal 503 al 505, in coincidenza con gli anni in cui ricopriva la carica di magister militum per Orientem. Inoltre, uno dei tanti monogrammi incisi nella decorazione di S. Polieucto, mai sciolti finora, potrebbe essere proprio quello di Areobindo, come farebbe supporre l'analogia con quelli attestati nei suoi dittici.
Anche per la decorazione architettonica della chiesa emerge il problema relativo ai rapporti con le sculture della chiesa dei Ss. Sergio e Bacco e con il cantiere di Santa Sofia. A parte le affinità inevitabili, in quanto episodi più o meno coevi e di grande rilievo storico-artistico, in linee generali nelle sculture di S. Polieucto non solo il lessico, le forme e quindi l'orizzonte sembrano assai diversi, ma anche il rapporto degli elementi decorativi con il fondo, che da questo si staccano nettamente, privi di quell'intenso gioco chiaroscurale che qualifica la produzione dei Ss. Sergio e Bacco e di Santa Sofia ed è comune alla scultura aulica del 6° secolo.
Dal sito poi potrebbe provenire un busto femminile, in marmo docimeo, forse di età giustinianea (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), che Harrison (1982; 1986) identifica ipoteticamente con A., anche sulla base di una pretesa analogia con il ritratto del Dioscoride.
Il ruolo occupato dal S. Polieucto nella Costantinopoli giustinianea fu quindi del tutto particolare, discostandosi in parte dallo sviluppo della coeva tradizione edilizia e plastica della capitale; ciò va considerato anche alla luce di una pretesa rivalità fra Giustiniano e A., non solo politica ma anche religiosa, data la totale ortodossia di quest'ultima.
A giudicare dalle strutture e dalle decorazioni superstiti, l'impresa del S. Polieucto dovette essere memorabile e tale da giustificare i versi dell'ignoto poeta dell'epigramma che si svolgeva sui muri dell'edificio: "Chi ignora che Giuliana, mediante le sue opere ammirevoli, ha fatto brillare di nuovo splendore anche i suoi genitori essa, la pia? A prezzo di giusti sudori, sola, essa ha costruito a Polieucto immortale una degna dimora" (Anth. Pal., I, 10, vv. 14-18).
Bibliografia
C. Bertelli, s.v. Anicia Giuliana, in EAA, I, 1958, pp. 394-396.
C. Mango, I. Ševčenko, Remains of the Church of St. Polyeuctos at Costantinople, DOP 15, 1961, pp. 243-247.
C. Capizzi, Anicia Giuliana (426 ca.-530 ca). Ricerche sulla famiglia e la sua vita, RSBN 15, n.s. 5, 1968, pp. 191-226.
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