D'APUZZO, Aniello
Le prime notizie di questo argentiere napoletano risalgono al 1748, anno in cui fu incaricato della esecuzione di alcuni manufatti in argento destinati alla cappella del Tesoro di S. Gennaro nel duomo di Napoli. In particolare, nelle scritture contabili dal 1748 al 1750 vengono registrati diversi pagamenti a favore del D. per "due lampade festive per li due altari laterali del nostro Tesoro, tre cornici seu bacchette avanti li tre altari, ed un piede di croce per uno de' due altari laterali del detto Tesoro" (cfr. Strazzullo, 1979).
Ancora nel corso dell'anno 1758 la Deputazione della cappella di S. Gennaro, dopo aver interpellato i migliori argentieri della città, scelse il D. per la lavorazione di otto candelieri, due croci con base e due cartegloria d'argento; l'atto, rogato per notar Aniello Capone il 3 genn. 1759, precisa che detti esemplari, la cui fattura risulta calcolata in ben 490 ducati, erano destinati a sostituire i corrispondenti manufatti in rame, ora esclusivamente destinati alla liturgia feriale. Si stabilì altresì che gli argenti ordinati dovevano essere eseguiti "secondo il disegno e manifattura dell'otto candelieri, due croci e due cartegloria di rame che si ponevano in detti due altari laterali con doverli crescere once quattro in circa d'altezza" (cfr. Catello, 1978, p. 415): in sostanza si richiedeva di ripetere i medesimi modelli realizzati da G.D. Vinaccia nel 1683. E, in effetti, i candelieri, esposti alla mostra della Civiltà del 1700 a Napoli (1980), si rifanno ai modelli del Vinaccia, differendo da essi soltanto per una più elaborata soluzione della coppa portacero.
Il D. fu anche argentiere della Real Casa di Borbone e nel 1760, per il ritardo nella elezione dei consoli della nobile arte degli orefici (causato dagli accesi contrasti derivanti dalla posizione di preminenza e dagli indiscutibili vantaggi offerti dalla carica), vennero nominati con motu proprio quattro orefici di fiducia della Real Casa, fra i quali appunto il D'Apuzzo. Il nome del maestro si trova poi indicato negli inventari dei preziosi della famiglia Caracciolo di Brienza, compilati nel 1773 da Giacomo Morrone (conservati nell'Archivio di Stato di Napoli: cfr. Catello, 1979, p. 431), a riprova che egli fu anche argentiere di quella nobile famiglia.
Non è stato ancora individuato con certezza il marchio del D., in quanto gli argenti ampiamente documentati del Tesoro di S. Gennaro non recano alcun bollo, e una croce d'argento da lui eseguita per la chiesa dello Spirito Santo ad Ischia nel 1761 ha un punzone illeggibile.
Bibl.: E. e C. Catello, Argenti napol. dal XVI al XIX sec.,Napoli 1973, pp. 92, 132, 190; La cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli 1978, pp. 101, 112, 148, 415; F. Strazzullo, La real cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli 1979, pp. 57 s.; E. e C. Catello, in Civiltà del '700 a Napoli (catal.), II, Napoli 1980, pp. 224, 431.