anima bella
L’idea di anima bella, è già presente in Plotino (con questa espressione egli intende l’anima che ritorna in sé stessa), viene ripresa dai mistici spagnoli del Cinquecento e da Rousseau nella Nuova Eloisa (1761). Ma l’espressione acquista un significato più preciso nel saggio di Friedrich Schiller Grazia e dignità (1793). «Un’a. b. – dice il poeta – non ha altro merito che quello di esistere. Con facilità, come se l’istinto agisse per lei, esegue i doveri più penosi per l’umanità, e il sacrificio più eroico, che essa strappa all’istinto naturale, appare come libero effetto di quel medesimo istinto». Schiller descrive dunque, con l’espressione a. b., un’anima ispirata bensì dal dovere, ma nella quale gli impulsi sensibili si accordano spontaneamente con la legge morale. Goethe dedicò all’ a. b. il sesto libro delle Esperienze di Wilhelm Meister (1795-96), dove a proposito di essa dice: «Io non mi ricordo di nessun comando, niente mi appare in figura di legge; è un impulso che mi conduce e mi guida sempre giusto; io seguo liberamente le mie disposizioni e so così poco di limitazione come di pentimento». Ma l’idea di a. b. ha acquistato rilievo soprattutto per la raffigurazione che Hegel neha dato nella Fenomenologia dello spirito (➔) (1807). In quest’opera si insiste sul carattere mistico e contemplativo dell’a. b.; essa è la soggettività elevata all’universalità, incapace tuttavia di uscire da sé stessa, e di trasformare, attraverso la propria azione, il proprio pensiero in essere. L’ a. b. è «questa fuga davanti al destino, questo rifiuto dell’azione nel mondo, rifiuto che porta alla perdita di sé». L’ a. b. è quindi pura e incontaminata, ma completamente incapace di agire nel mondo, e di influire sul suo corso con il proprio impegno e con la propria operosità.