Animali domestici, selvatici, immaginari
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella cultura dell’alto Medioevo la differenza tra gli animali reali e immaginari è più sfumata di quanto possa apparire in un’analisi scientifica e zoologica, in quanto l’impossibilità di acquisire informazioni circa il reale mondo animale, rendeva talvolta assimilabile un animale immaginario a uno del mondo reale, comunque non verificabile sul piano della conoscenza immediata o mediata. Fonte primaria, dal punto di vista iconografico e testuale, sono i bestiari, opere di carattere didascalico e allegorico, nei quali sono descritti l’aspetto fisico, il comportamento e il simbolismo relativo a tutti gli animali esaminati.
Il bestiario è un compendio di animali reali e immaginari e la descrizione dei loro comportamenti. Ma a quest’aspetto etologico va accompagnato quello, ancor più significativo, del valore simbolico che viene loro attribuito con spiegazioni moralizzanti e riferimenti tratti essenzialmente dalla Bibbia. Il più importante tra i bestiari medievali è il Physiologos, opera di autore ignoto, in lingua greca, composta forse ad Alessandria d’Egitto, presumibilmente nel II secolo o agli inizi del III, poi tradotta in varie lingue e, dal V secolo in poi, in latino.
Si ispirano al Physiologus latino, che comprende 48 capitoli, molti bestiari, tutti manuali utili nell’interpretazione degli animali in chiave religiosa e simbolica (ad esempio: il leone, re degli animali, viene associato a Cristo). Nei bestiari vengono elencati animali domestici, selvatici e immaginari, tramandati attraverso miti e leggende, e tra questi quelli mostruosi, che rappresentano una categoria a sé, perché difficilmente si attribuisce loro il valore religioso-simbolico che, anche se ambivalente e ambiguo, viene attribuito agli animali non definiti mostri. A tal proposito, è importante accennare a un particolare bestiario dell’alto Medioevo, il Liber monstrorum de diversis generis (a cura di F. Porsia, 1976) dell’VIII secolo nel quale, nella descrizione delle creature mostruose, è messo in evidenza più il senso dello straordinario che l’aspetto moralizzatore.
Trattazioni specifiche sono state fatte a proposito dei pesci, ampiamente riprodotti nelle iconografie e oggetto di particolari studi, scientifici e simbolici. In tutti i bestiari la descrizione degli animali è sempre accompagnata dalla relativa iconografia, importante punto di riferimento nell’arte medievale in tutte le sue forme, codici miniati, mosaici, arazzi, opere di pittura e scultura.
Gli animali domestici si identificano in quelli che nella tarda Antichità e nell’alto Medioevo vivono nelle campagne abitate, nelle “corti”, sono a contatto con la popolazione, prestano la loro forza-lavoro (ad esempio asini, cavalli, buoi), sono alla base dell’alimentazione (ad esempio galline, ovini, suini e tutti gli animali da macello), o sono di svago e compagnia (come cani, gatti).
Il gatto ha un ruolo particolare e viene generalmente associato alla povertà in quanto non v’è alcuno, per quanto povero sia, che non possa permettersi di averne uno. Un eremita, di cui racconta il monaco Giovanni Diacono nella Vita di Gregorio Magno, non avrebbe posseduto nulla tranne che un gatto. Il gatto, sin dall’alto Medioevo, è anche fonte di favolistiche ricchezze e la storia (giunta fino a noi) del Gatto con gli Stivali ha le sue lontane origini in racconti analoghi già nell’alto Medioevo. Vi è poi la doppia connotazione, positiva/negativa, che spesso definisce l’immagine dei singoli animali: in questo caso, all’accezione di gatto-povertà, gatto-fortuna si unisce l’idea di gatto diabolico, legata quest’ultima alle sue caratteristiche, ai suoi occhi spiritati e luccicanti, ai suoi peli che si elettrizzano e diventano irsuti. E ancora, il gatto quale alimento estremo nei momenti di carestia, utilizzato come i cani e i topi come pasto contro la miseria.
Il cane, altro tipico animale domestico sin dall’epoca più antica, rispettato nell’alto Medioevo come animale di compagnia e compagno nella caccia, è ritenuto invece immondo nell’ambito della cultura monastica, in quanto animale che si ciba di carne animale; anche se poi, nella miseria, si fa uso proprio della sua carne per difendersi dai morsi della fame.
Tra gli animali domestici privilegiati per l’alimentazione primo fra tutti è il maiale, di cui, notoriamente, non si butta nulla, che fornisce fra l’altro il grasso, indispensabile base di ogni alimento, ed è unità di misura dei boschi, la cui estensione viene valutata sulla base del numero dei maiali che vi pascolano. Il maiale è importante quanto il porcaro che lo alleva, che è retribuito con un compenso più alto rispetto agli altri servi.
Pecore, capre, agnelli, fanno parte degli animali domestici utilizzati per l’alimentazione, come i polli (privilegiati nelle comunità monastiche per le loro carni bianche, meno sanguinolente e quindi ritenute più consone per un’alimentazione leggera), le anatre, le oche.
L’oca gode inoltre nell’alto Medioevo di un particolare valore simbolico legato alla sua presenza nella tradizione orientale prima e cristiana poi. La nota storia delle oche del Campidoglio, conferisce a quest’animale da cortile, confuso nell’Antichità indifferentemente con il cigno, un ruolo di guardiano che lo accompagna avanti nei secoli. L’oca è compagna e guardiana di san Martino di Tours, l’oca è nell’XI secolo alla guida dei pellegrini verso Gerusalemme. Ma l’oca selvaggia è anche il bianco volatile ferito da un falco che incanta il giovane Perceval di Chrétien de Troyes e poi il Parzival di Wolfram von Eschenbach.
Altro animale con valore simbolico nella cultura altomedievale è l’asino, animale da soma e trasporto, presente in tutte le comunità rurali, utilizzato come forza lavoro e, nei ceti bassi, anche come carne da macello. L’asino, paziente e umile, accompagnatore nella fuga in Egitto della Sacra Famiglia, quanto caparbio e recalcitrante, è espressione di una marcata polisemia. L’asino (come l’onagro, a lui simile ma selvatico), deputato nell’Antichità alla cavalcatura e soppiantato poi dal cavallo, è al centro di molti racconti popolari nel Medioevo. I bestiari medievali ricordano dell’asino le doti di docilità trasferendo all’onagro, le caratteristiche negative della caparbietà e della diabolicità del suo ragliare.
Il cavallo, presente nella vita quotidiana ma nobilitato dalle sue molteplici funzioni, è animale rispettato. Compagno indispensabile nella caccia, sport elettivo delle classi nobili, forza reale negli scontri guerrieri, rappresenta il naturale simbolo della vita cavalleresca e si utilizza quale carne da macello solo quando, vecchio o malandato, non è più in grado di svolgere la sue funzioni.
I bovini, presenze scarsamente documentate nel VI e VII secolo, vivono allo stato brado e sono più piccoli di quelli allevati più tardi nelle stalle. È infatti nel VII secolo che si documentano le prime casae bubulcariciae, prime aziende agricole che si occupano dell’allevamento dei buoi, necessari per l’aratura dei campi. Buoi, vacche e tori sono presenti in numero inferiore agli ovini, anche se nel IX e X secolo, aziende agricole e abbazie incrementano la presenza dei bovini nelle loro stalle in rapporto a nuove esigenze (latte, trasporto, aratura).
Parente stretto del maiale, ma selvatico, è il cinghiale che vive nei boschi allo stato brado. È mangiatore di ghiande, radici e tuberi e ama vivere nelle zone paludose per abbeverarsi nei periodi estivi e risulta un’ambita preda dei cacciatori che ne amano le carni prelibate.
Leone, lupo, orso, cervo, pantera, sono tra gli animali selvatici di maggior interesse perché alle loro caratteristiche fisiche e comportamentali si accompagna spesso il loro valore simbolico-allegorico.
Il leone, oggetto di caccia grossa sin dai tempi dei Romani che ne temono l’aggressività e mirano alla sua estinzione, è noto in epoca altomedievale, grazie al Physiologus che lo definisce “re delle bestie o degli animali” e che simbolicamente lo trasfigura nella persona del Cristo. Le impronte che il leone cancella con la coda perché l’uomo non lo catturi sono l’emblema del Cristo che discende sulla terra per cancellare i peccati degli uomini. Quest’allegoria gli conferisce un ruolo di preminenza su tutte le altre fiere e tale nobiltà si riflette nelle tante iconografie che lo ritraggono in posizione regale, anche se abbattuto. Il leone è acquisito nell’araldica medievale e già nel XII secolo è raffigurato sullo scudo di Riccardo Cuor di Leone, che della fiera assume il simbolo e il nome.
La pantera, è descritta nel Physiologus in termini di dolcezza e capacità seduttiva. Viene narrato dell’aroma speziato del suo alito al suo risveglio dopo tre giorni di letargo, che l’allegoria rivisita, in termini cristici, come i tre giorni del sepolcro prima della Resurrezione.
Il lupo è il simbolo della crudeltà perché condivide con l’uomo la caccia per procurarsi la selvaggina e mette in azione, per ottenerla, tutta la sua aggressività. Nell’editto di Rotari (22 novembre 643), varie rubriche regolamentano la relazione uomo-animale e indicano le pene pecuniarie relative a furti e uccisioni dei lupi e di altri animali selvatici e domestici. Il lupo è, insieme con l’orso, l’animale più temuto dall’uomo, ma è anche a lui legato da lontane affinità comportamentali.
L’orso è ricordato nella vita di alcuni santi, come san Gallo che – secondo la leggenda – avrebbe ricevuto da un orso il legno per costruire la sua abbazia, o il vescovo san Cerbone che, secondo l’agiografia di Gregorio Magno, sa come ammansire gli orsi. E ancora si possono menzionare, nei secoli X e XI, l’orso-guerriero delle saghe e dei miti germanici, l’Orsa maggiore nella classificazione delle costellazioni, l’orso riproposto nell’araldica.
Nel romanzo epico del VII-VIII secolo, il nome Beowulf è traducibile come “lupo delle api”, quindi presumibilmente “orso”, perché ghiotto di miele (in quel periodo, infatti, è facile confondere tra loro le bestie selvatiche).
L’attitudine dell’orso, riferita da Aristotele (Storia degli animali, IV secolo a.C.) e poi da Plinio (Naturalis historia, I secolo), di provvedere alla forma dei propri cuccioli, indefinita alla nascita, leccandoli amorevolmente, è allegoricamente ripresa nell’alto Medioevo come l’esperienza cristiana che vuole l’uomo stesso, spiritualmente informe alla nascita, reso completo e definito con il Battesimo.
Altri animali popolano le zone incolte e abitate del bosco e della foresta e, anche se meno pericolosi, sono minaccia per gli allevamenti di altri animali, come la donnola, la faina, la martora e la volpe, quest’ultima ricordata nei bestiari medievali come l’emblema del diavolo che ghermisce e uccide con l’inganno.
Il cervo, animale di grossa taglia, occupa tra gli animali selvatici un posto a sé: ambita preda per la caccia, ne diviene il simbolo. Il cervo, tutelato con leggi severe nell’editto di Rotari, è diffuso dappertutto, e viene cacciato da re e cavalieri con grossi cani addestrati alla caccia, i molossi, ma anche da gente rozza e primitiva che poi si contendeva il suo corpo come trofeo.
Nell’alto Medioevo la caccia è consuetudine diffusa verso tutti gli animali selvatici che sono numericamente molti di più di quanti siano gli uomini che vivono al di là dei boschi e delle foreste. La necessità di difendersi dalle aggressioni e il bisogno di procacciarsi la carne con cui alimentarsi fanno sì che la caccia sia mezzo essenziale per la sopravvivenza.
Ma la figura del cervo nell’alto Medioevo va ricordata, oltre che per la caccia, anche per la simbologia cristiana che affonda le sue prime radici nel Salmo 42 e poi nel Cantico di Cantici, dove il cervo rappresenta l’anima che anela al Signore e ne interpreta il cammino spirituale. I testi di Aristotele e Plinio, ripresi dal Physiologus prima e dal Bestiario di Cambridge nell’XI secolo, ripropongono, infatti, il valore cristico del cervo, pur cogliendone aspetti diversi, e fanno di questo animale un’icona della cultura religiosa medievale.
Sirena, unicorno, chimera, fenice, ariete, drago sono solo alcuni tra i 400 esemplari di creature leggendarie non umane e animali fantastici ricordati nelle leggende e nei miti.
Tra essi vi sono i mostri, quelli menzionati nel Liber monstrorum de diversis generibus, nell’VIII secolo, e tutti quelli che sempre hanno popolato la fantasia con storie tramandate e rilette in chiave fantastica e allegorica.
La sirena è descritta nel Physiologus come creatura umana fino all’ombelico, mentre nella parte inferiore del corpo, fino ai piedi, ha il corpo dei volatili. Il canto, sempre melodioso e incantatore, è ricordato come ipnotico e ingannatore e la malìa di questa creatura è sempre irresistibile. L’aspetto aviforme della sirena è quello proposto nel VII secolo anche da Isidoro di Siviglia nel XII libro di Etymologiae, e nel De universo di Rabano Mauro nel IX secolo. Il suo aspetto fisico è poi cambiato nella descrizione nel Liber monstrorum de diversis generibus, dove la parte inferiore del corpo della sirena assume l’aspetto di un pesce. Alla durezza delle penne setose ma ispide, terminanti con artigli, si è sostituita la lucentezza delle squame, e l’elemento vitale dell’acqua, da sempre vissuto come purezza lucrale, fa della sirena il simbolo della seduzione e vanità femminile.
L’unicorno è simbolo di scontrosità e di potere misterioso per il valore del suo corno d’avorio usato come calice e, nella consueta ambivalenza allegorica medievale, rappresenta Cristo e il Diavolo. L’unicorno è forse l’unico animale “immaginario” che in qualche modo esiste perché possiamo ritrovarlo nel rinoceronte. Ne parla già Plinio, che lo definisce monoceros, e ne individua alcune caratteristiche quali la dimensione, grande come un cavallo, e il corno, con i poteri magici e medicamentosi che vi si attribuiscono. Nel IX secolo il patriarca di Costantinopoli Fozio, sulla base di frammenti tratti dall’Indikà, opera composta fra il V ed il IV secolo dallo storico Ctesia di Cnido, descrive l’unicorno come un grande asino selvatico, con un corno dal colore cremisi sulla fronte. La polvere del corno macinato è un potente antiveleno, così come il corno, usato come calice è contenitore salvifico contro i malanni.
Anche Giulio Caio Solino, nel suo Collectanea rerum memorabilium, parla di monoceros, e il mostro o bestia, descritta variamente, riconduce sempre all’unicorno, poi protagonista della leggenda narrata da Isidoro di Siviglia nel XII libro delle Etymologiae dove si racconta della Vergine che, incontrandolo, riesce a domare la sua invincibile ferocia e ne favorisce la cattura. Mito, quello della Vergine e l’unicorno, più volte riproposto nell’iconografia dal Medioevo in poi.
Poco spazio ha la chimera nei bestiari medievali e anche il Physiologus non ne fa cenno. La chimera, già vissuta come mostro, è descritta invece nel Liber monstrorum de diversis generis come “belva ripugnante per il suo triplice corpo”, ora testa di leone e corpo di capra, ora viceversa e dalla coda serpentina; bestia trimorfa e ignivoma, per i mistici del Medioevo la sua sola iconografia è esecrabile.
La fenice, mitico uccello di colore rosso, vive, secondo il Physiologus, più di 500 anni e volando si profuma le ali con aromi sempre nuovi. Rappresenta il simbolo cristiano della Resurrezione per la leggenda che vuole si consumi nel fuoco per poi risorgere e consumarsi di nuovo e ancora risorgere dalle sue ceneri.
Una testimonianza iconografica altomedievale dell’ariete è una scultura del VI-VII secolo, ritrovata durante recenti scavi archeologici e rappresentata da un cervo maschio con grandi corna spiraliformi. Raffigurato nel mondo cristiano come simbolo di Cristo-Agnello sacrificale, la sua presenza nel mondo medievale prevale per il suo carattere astrale nella costellazione che segna l’inizio della primavera (mentre la sua riproduzione nell’araldica è poco rappresentativa).
Importante nell’alto Medioevo è infine la figura del drago. Animale immaginario, mostro terrificante, è protagonista di storie e leggende dell’area occidentale, specialmente nell’ambito culturale inglese.
Il drago, il cui aspetto fantastico, vario e multiforme è noto a tutti, è il nemico vinto e vincitore nel più antico poema epico della letteratura epica in volgare, Beowulf, dell’VIII secolo, dove il principe scandinavo Beowulf combatte il drago che terrorizzava il suo popolo e poi da lui viene ucciso. Altro drago della tradizione anglosassone è il mostro Nisaeg che nel 565 (secondo un racconto di san Colombano) avrebbe ucciso un uomo che nuotava nel lago di Loch in Scozia: si tratta di Nessie, il mostro di Loch Ness la cui leggenda è arrivata fino a noi. E infine: il racconto cristiano di san Giorgio e il drago, dove il santo, uccisore di un drago in procinto di divorare una giovane principessa, diventa il simbolo del nemico dei draghi per antonomasia, reinterpretando la vicenda cristiana della lotta dell’arcangelo Michele contro Lucifero e il racconto pagano del drago ucciso da Sigfrido.