animismo
Dottrina medica formulata da G.E. Stahl (1660-1734), e pertanto detta anche stahlianismo, secondo la quale le malattie e il loro decorso risulterebbero dalla lotta fra gli agenti morbosi e l’anima, causa prima e unica dell’attività del corpo, che regolerebbe le funzioni degli organi e ne proteggerebbe l’integrità: la dottrina animistica, che può considerarsi un’espressione del vitalismo, sorse in reazione alla iatrochimica, della quale rappresentò l’antitesi, giungendo a negare ogni importanza ai fenomeni fisici e chimici.
Il termine (ingl. animism) ripreso da E.B. Tylor (1867; e nel vol. Primitive culture, 1871; trad. it. La cultura primitiva) postula la credenza dei primitivi in esseri spirituali che animerebbero l’intera natura, sia quella organica sia quella inorganica. In questa credenza Tylor, che si proponeva il compito di individuare una definizione minima del concetto di religione, ravvisava il prius storico della religione, la sua «prima forma», che si sarebbe sviluppata in seguito in organismi sempre più complessi secondo lo schema evoluzionistico, elaborato dallo stesso Tylor, a.-politeismo-monoteismo. Alla base dell’a. sarebbero alcune esperienze fondamentali: nel sogno, l’uomo, addormentato e immobile, viaggia in lontani paesi, incontra persone, viventi ma lontane, o anche defunte; viene cioè a contatto con quel misterioso quid, di cui si avverte l’assenza contemplando un cadavere. Da ciò la conclusione che esiste un’anima che l’uomo primitivo attribuisce anche a oggetti inorganici e inanimati in quanto si riconosce in essi una capacità di agire, espressa dal verbo («il Sole illumina la Terra»): ciò presuppone una certa personificazione. Dall’idea poi di un’anima divenuta indipendente dal corpo si sarebbe passati facilmente a quella di «spirito», del tutto indipendente da un corpo qualsiasi; e di qui, all’attribuzione di tutta una serie di fenomeni, o di tutta l’attività di una determinata serie di oggetti, a un unico «spirito della specie» o del fenomeno, distinto quindi dalle «divinità momentanee» (ted. Augenblicksgötter), e oggetto di venerazione: da ciò il culto di «divinità-specie» o «compartimentali» o «dipartimentali» o «funzionali» o «speciali» (ted. Sondergötter). A questa prima riduzione nel numero degli esseri divini seguirebbe l’altra, per cui varie attività verrebbero attribuite a un solo «dio», dotato di più ricca e complessa personalità, e per lo più raffigurato antropomorficamente, o quasi. Dal polidemonismo si passerebbe cioè al vero e proprio politeismo; e da questo, forse attraverso un dualismo, al monoteismo: forma suprema e più elevata della religiosità, come già avevano affermato Hume e Rousseau e ribadito Comte, il cui sistema era accettato da Tylor. Le ulteriori ricerche etnologiche (prescindiamo qui dallo schema evoluzionistico) hanno dimostrato che l’a. non può essere considerato né veramente universale, né la forma più primitiva della religiosità, e soprattutto che l’insieme dei fenomeni considerati da Tylor non costituisce mai un sistema unico a sé e non esaurisce la totalità dell’orizzonte sacrale di una qualsiasi comunità primitiva. Nonostante le molte e argomentate critiche mosse alla teoria di Tylor, si continua a riconoscerle il merito di aver dato al problema religioso un’ampiezza e una dimensione storiche che la maggior parte delle correnti filosofiche precedenti gli avevano sempre negato. Caduto in disuso nel senso evoluzionistico, il termine a. è ancora largamente usato, anche dalla moderna tipologia religiosa, per indicare la «religione dell’inaspettato», o «dell’insospettato»: di quello, cioè, che proviene non da una «Potenza impersonale» (mana, manitu, orenda, ecc.), ma da agenti specificati, sia pure dotati di scarsissima personalità, ed esercitanti un’attività asso-lutamente sporadica. Questa carenza di personalità e di attività impedisce, infine, di annoverare gli «spiriti» dell’a. nell’ordine delle «divinità», mentre le ricollega con la categoria di esseri «predeistici»: antenati, antenati totemici, esseri del tipo dema, e altro ancora.