ANNA di Savoia, imperatrice di Bisanzio
Figlia di Amedeo V, conte di Savoia, e di Maria di Brabante, sua seconda moglie, Giovanna - si chiamò A. in seguito, dopo aver sposato Andronico III ed esser passata alla Chiesa di Bisanzio - nacque intorno al 1306. Perduto il padre nel 1323 e ritornata la madre, forse, nel Brabante, A. rimase presso il fratellastro Edoardo, conte di Savoia. Quando l'imperatore di Bisanzio, Andronico III Paleologo, rimase vedovo, nell'agosto 1324, di Agnese di Brunswick, per il tramite del marchese del Monferrato, Teodoro Paleologo, zio di Andronico, si svolsero trattative per dare all'imperatore in moglie la giovane principessa sabauda, onde assicurare la continuità alla dinastia dei Paleologi. Questi, che avevano pericolosi nemici e nei principi ottomani e negli Angioini di Napoli, cercavano con insistenza legami con i principi di Occidente disposti ad aiutarli. Nel luglio 1325 ambasciatori imperiali partirono da Costantinopoli per conchiudere il matrimonio; il contratto nuziale fu pattuito a Chambéry il 22 settembre e nell'ottobre la nuova imperatrice s'imbarcò a Savona.
Il papa Giovanni XXII non vide di buon occhio l'unione: era da temere, infatti, che non fosse la sposa a convertire lo sposo alla fede cattolica, ma che ella stessa venisse spinta verso la Chiesa greca. In verità, se per il matrimonio Giovanna di Savoia diventò ufficialmente ortodossa col nome di Anna, non modificò, tuttavia, i suoi sentimenti di devozione alla Chiesa cattolica e di attaccamento alla famiglia e alla patria di origine.
Il marito Andronico, dimostrando per lei il massimo riguardo, permise che alla sua corte rimanessero dame e cavalieri savoiardi, che formarono in Costantinopoli un gruppo di cortigiani pittorescamente distinto. L'ambiente bizantino non solo non li assorbì, ma fu influenzato dalle costumanze savoiarde dell'imperatrice e della sua cerchia. Andronico III sperava, per altro, che, per mezzo della consorte, il fratello di A. - e dopo di lui l'altro fratello, il conte Aimone - potesse agire presso il papa ed i principali sovrani d'Occidente per organizzare la crociata in Asia Minore contro i Turchi. Ma nel 1327 tra Andronico III e l'avo, Andronico II, scoppiò tale conflitto da mettere a repentaglio l'Impero. Seguendo il marito, l'imperatrice A. si recò a Didimoteicon in Tracia e solo dopo la vittoria ritornò nella capitale. Il suo prestigio era salito anche perché nel 1332 aveva dato al marito, dopo una figlia, nata nel 1330, un maschio, Giovanni, cui nel 1337 seguì un altro maschio, Michele.
La caduta di Nicea in mano dei Turchi nel 1331 rese più grave il pericolo. Andronico III sperava nell'aiuto della Repubblica di Venezia e del re di Francia, Filippo VI, ma occorreva il consenso e l'appoggio della Santa Sede. I papi mettevano velatamente come condizione per l'intervento la sottomissione della Chiesa greca a quella latina e qui essi trovarono una attiva sostenitrice in A., che protestava i suoi sentimenti filolatini e filoromani.
Così Giovanni XXII, come poi Benedetto XII, ebbero frequentemente rapporti con l'imperatrice, riconoscendone la devozione, incoraggiandola ad agire presso il marito che già mostrava buone intenzioni: occorreva deciderlo e le ricordavano il "salvabitur vir infidelis per mulierem fidelem".In verità l'imperatore aveva attorno a sé una certa quantità di cortigiani, teologi, ecclesiastici convinti della necessità dell'unione delle due Chiese se si volevasalvare l'Impero:erano i latinofili, ma l'imperatrice doveva considerare l'ostilità della maggioranza; molti diffidavano di lei come pericolosa nemica delle tradizioni bizantine.
La morte di Andronico III il 15 giugno 1341 portò l'imperatrice A. in una posizione eminente: ora dominò la vita politica bizantina, ma si trovò in mezzo ai più gravi pericoli. Assunta la reggenza per il nuovo imperatore, il minorenne Giovanni V, A. fu presa nel vortice della rivalità tra il Gran Domestico, Giovanni Cantacuzeno, e il megaduca Alessio Apocauco. Seguendo l'indirizzo politico e le istruzioni del consorte, l'imperatrice ripose la sua fiducia nel Cantacuzeno, che aveva assistito Andronico III nelle sue vicissitudini. Contro di lui però l'Apocauco e il patriarca Giovanni Caleca organizzarono una lotta violenta, accusandolo di voler abbattere la dinastia dei Paleologi, per impadronirsi del trono. A. resistette, dapprima, a tali pressioni e mantenne la propria fiducia al Cantacuzeno, quando egli manifestò il desiderio di ritirarsi; ma gli avversari insistettero nelle accuse sino a convincere l'imperatrice che fosse pericoloso avere a corte il Gran Domestico; questi durante un periodo di assenza dalla capitale venne destituito. Il governo passò nominalmente nelle mani del patriarca, ma di fatto in quelle del megaduca. Giovanni Cantacuzeno reagì proclamandosi a Didimoteicon (20 ott. 1341) imperatore, mossa alla quale fece seguito l'incoronazione, voluta dal megaduca, di Giovanni - Giovanni V Paleologo - a Santa Sofia (19 novembre dello stesso anno). Divampò così una lotta cruenta tra le due parti, che ebbe come risultato l'ulteriore indebolimento e impoverimento delle risorse economiche e militari dell'Impero, a tutto vantaggio dei Turchi, che si facevano via via più minacciosi. A., nel tentativo di promuovere una riconciliazione, propose di far sposare al figlio Elena Cantacuzeno, figlia dell'usurpatore, senza riuscire, però, momentaneamente, nell'intento. Del resto, impegnate le gioie della corona presso i Veneziani, continuate le trattative con Avignone tramite i cavalieri savoiardi che erano a corte, A. non pareva potesse trovare una soluzione alla crisi che travagliava lo stato bizantino, quando, nel 1345 il megaduca Apocauco venne ucciso. Dopo un tentativo di organizzare il governo con Isacco Asen, A. non potè impedire che Giovanni Cantacuzeno - che si era nuovamente proclamato imperatore il 21 maggio 1346 - entrasse in Costantinopoli il 3 febbr. 1347: le riuscì invece dì giungere a un accordo di compromesso con il vincitore, con il quale fu deciso che Giovanni V (Paleologo, figlio di A.) e Giovanni VI (lo stesso Cantacuzeno) regnassero insieme colleghi. L'accordo parve sanzionato dalle nozze di Giovanni V con Elena Cantacuzeno.
Tuttavia gli odi tra le due fazioni permanevano: il giovane imperatore non intendeva subire la prevalenza del collega più potente, sebbene l'imperatrice intervenisse presso di lui a fare opera di mediazione. A. s'indusse persino a licenziare le dame e i cavalieri savoiardi che l'avevano sostenuta nella guerra civile.
Contro l'imperatrice nel partito del Cantacuzeno agivano i sentimenti di sospetto e di odio per la politica da lei perseguita, nettamente latinofila. Gli storici bizantini coevi, il Cantacuzeno stesso e Niceforo Gregora, dipingono A. a fosche tinte, muovendole le più gravi e spesso grottesche accuse, rappresentandola come responsabile della rovina della monarchia bizantina; anche gli storici moderni usano spesso il linguaggio del violento Niceforo Gregora, quando è da pensare, invece, che l'imperatrice fosse sopraffatta dalle fazioni bizantine e fosse nell'impossibilità, come straniera e come intimamente cattolica, di resistere e d'imporsi. D'altra parte, il Cantacuzeno mostrò ben presto di non voler regnare come collega di Giovanni V, ma di pretendere tutto il potere per sé; non soltanto, ma giunse persino a cancellare il nome del Paleologo dalle formule delle preghiere e degli atti pubblici. Nel 1354, in una situazione completamente rovinosa per l'Impero bizantino, invaso dai Turchi alleati del Cantacuzeno e schiacciato dalle tasse, necessarie per sostenere le spese della guerra civile, divampata nuovamente violenta quando l'usurpatore aveva voluto assicurare al figlio Matteo la successione al trono, determinando la reazione del Paleologo, alleatosi con i Genovesi, la lunga crisi trovò finalmente la sua soluzione. Giovanni V entrò in Costantinopoli, obbligò il Cantacuzeno ad abdicare e a ritirarsi in un convento. Così A. poté sognare di riprendere l'antica politica di unione delle Chiese: e forse a nuove trattative mirava il viaggio che compì dopo il 1355 in Occidente. Ma su di esso, come sugli ultimi giorni di vita di A., nulla di preciso si conosce.
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