MAGNANI, Anna
Nacque a Roma, il 7 marzo 1908, da Marina Magnani, sarta, originaria di Fano, e da padre ignoto.
Secondo la versione più accreditata sembra che la M. non abbia mai conosciuto il padre, che sarebbe stato di origini calabresi. La madre lasciò ben presto la cura della bambina alla nonna, per trasferirsi ad Alessandria d'Egitto, dove si sarebbe formata una famiglia (di qui le illazioni sulle origini esotiche della Magnani). Nella casa della nonna, in via S. Teodoro, tra il Campidoglio e il Palatino, la M. trascorse un'infanzia serena, circondata dall'affetto di cinque zie e uno zio, oltre a quello della nonna, della quale per tutta la vita serberà un ricordo grato e commosso. Un'infanzia segnata però, inevitabilmente, dall'assenza della madre, che la M. ritrovò, ormai adolescente, troppo tardi per recuperare un rapporto di cui fortemente aveva avvertito la mancanza.
La M. frequentò scuole regolari fino al secondo anno del liceo, poi s'iscrisse al conservatorio di S. Cecilia per studiare pianoforte. Nel 1926 passò alla Reale Scuola di recitazione Eleonora Duse, annessa al conservatorio, dove ebbe come insegnanti Ida Carloni Talli, per recitazione, e S. D'Amico, per storia del teatro. L'anno successivo, trascorsi pochi mesi dall'inizio del secondo corso, notata durante un saggio, la M. venne scritturata dalla compagnia Niccodemi - Vergani - Cimara. In repertorio testi di S. Lopez, E.-M. Labiche, W.S. Maugham, G. Feydeau, G. D'Annunzio, oltre che, ovviamente, quelli del primo titolare della compagnia, D. Niccodemi. Dal gennaio del 1930, sempre con la compagnia Niccodemi, partecipò a Triangoli di D. Falconi e O. Biancoli, spettacolo di nuovo genere, una sorta di "fantasia musicale" molto vicina alla rivista, interpretata però da attori di prosa. Nell'estate dello stesso anno passò alla compagnia del teatro Arcimboldi con G. Zambuto.
A dispetto dell'inconsistenza dei primi ruoli la M. si fece ben presto notare per il carattere e la spiccata personalità; in particolare l'interpretazione della ballerina in Un uomo, una donna e un milione (Milano, Arcimboldi, 5 dic. 1930) la segnalò all'attenzione dei due principali critici teatrali italiani R. Simoni e S. D'Amico. Raggiunse, dunque, in breve tempo ruoli di primo piano o da protagonista in spettacoli di successo, dimostrando, con grande eclettismo, di essere a proprio agio sia nelle parti drammatiche sia in quelle brillanti, nel teatro leggero e di rivista come in quello di prosa.
Nel 1932 il grande successo di Tifo di C.M. Poncini e R. Biscaretti (Torino, politeama Chiarella, 18 maggio 1932; compagnia di A. Gandusio) le guadagnò la prima copertina su Il Dramma. Nell'ottobre dello stesso anno ebbe la sua prima "serata d'onore", al teatro Argentina di Roma, con L'acquolina in bocca (25 ott. 1932) di Pares-Veber-Von Paris. Sempre nel 1932 apparve nello stesso teatro in L'amore mascherato di S. Guitry (15 ottobre); nel 1935 nella rivista di M. Galdieri I milioni con Pina Renzi e i De Rege (Roma, teatro Eliseo, 12 maggio, compagnia del teatro Eliseo), nel 1938 La foresta pietrificata di R.E. Sherwood (Roma, teatro delle Arti, 2 marzo), nel 1939 in Anna Christie di E. O'Neill (stesso teatro, 28 maggio), questi ultimi due per la regia di A.G. Bragaglia e le scene di E. Prampolini.
Uno degli snodi significativi della carriera della M. fu quello che, all'inizio degli anni Quaranta, la portò a fare compagnia con Totò (A. De Curtis), rendendola diva incontrastata della rivista italiana. La compagnia Totò - Magnani, oltre a contare sull'immensa bravura dei due protagonisti, sin dall'inizio poté godere dell'apporto di Galdieri, forse il miglior autore di teatro leggero dell'epoca.
Nella coppia la M. mise a punto un tipo non convenzionale di soubrette: non bella, dotata di un filo di voce, peraltro intonatissima, ma piena di comunicativa e di un'umanità evidenziata e arricchita dalla coloritura romanesca che ben si amalgamava con la napoletanità della "maschera" Totò. E forse fu proprio la rivista che, liberando la M. dai vincoli di una recitazione più "strutturata", la aiutò a maturare e definire i caratteri di una personalità artistica dotata di presenza aggressiva e ricca di umori popolari, in parte corrispondente al carattere della donna M., certamente non comune nel panorama dello spettacolo italiano di quegli anni. I lavori messi in scena furono una sfilza di successi, da Quando meno te l'aspetti (Roma, teatro Quattro Fontane, 25 dic. 1940), di cui restano indimenticabili la scena de "Il gagà e la gagarella" e il prefinale in cui la M. interpretava la "fioraia del Pincio"; a Volumineide (Ferrara, teatro Verdi, 20 febbr. 1942); Che ti sei messo in testa? (Roma, teatro Valle, 5 febbr. 1944); Con un palmo di naso (stesso teatro, 26 giugno 1944).
In parallelo la M. aveva da tempo intrapreso la carriera cinematografica; la prima apparizione è del 1934, ne La cieca di Sorrento di N. Malasomma, cui fece seguito, lo stesso anno, Tempo massimo di M. Mattoli. Comparve poi in Trenta secondi d'amore (1936) di M. Bonnard, in Cavalleria (1936) di Goffredo Alessandrini (che la M., nel marzo del 1935, aveva sposato e da cui in seguito si separò senza più risposarsi), in La principessa Tarakanova (1938) di F. Ozep e M. Soldati. Ma erano sempre e soltanto particine, e si dovrà attendere almeno Teresa Venerdì di V. De Sica, del 1941 - la M. è Loletta Prima, soubrettina volgarotta, interessata e supponente ma anche animosa e straripante sulla scena e nella vita - per vederla in un ruolo diverso dallo stereotipo di sciantosa e di "donna del peccato" in cui fino allora i registi l'avevano confinata.
Difficilmente avrebbe potuto andare diversamente: era l'epoca dei "telefoni bianchi" e il tipo di donna incarnato dalle dive che andavano per la maggiore, diafane e incorporee ovvero esotiche, era molto distante dall'ineludibile corporea vitalità della futura Nannarella.
Nel 1942 le fu proposto un primo grande ruolo come protagonista di Ossessione per la regia di L. Visconti. La M. accettò, celando il fatto di essere incinta. I ritardi della lavorazione la privarono, a causa della gravidanza avanzata, del ruolo di Giovanna, che fu affidato a Clara Calamai. La M. l'avrebbe ricordata sempre come una grande occasione mancata. Il 29 ottobre dello stesso anno, dalla relazione con M. Serato, nacque il figlio Luca. Del 1943 sono La vita è bella di C.L. Bragaglia, Campo de' Fiori di Bonnard, con A. Fabrizi, e L'ultima carrozzella di Mattoli. Sono film di ambiente popolare, spesso bozzettistici, in cui la M. resta prevalentemente sul versante comico della sua recitazione; tuttavia tanto il personaggio della popolana sanguigna e generosa, quanto l'accoppiata con Fabrizi, si possono leggere come una sorta di anticipazione di quello che, nel 1945, a Liberazione avvenuta, sarebbe stato il ruolo che la consacrò grande interprete a livello nazionale e internazionale: la sora Pina di Roma, città aperta.
Il film, diretto da R. Rossellini, segnò l'avvio del sodalizio, artistico e privato, più importante nella vita della M., e se Rossellini può, a ragione, essere considerato il capofila del neorealismo, la testa pensante capace di tradurre le nuove idee, il nuovo clima culturale in opere, la M. va certo considerata il volto e il cuore di quello che è stato uno dei momenti più alti del cinema italiano. Una considerazione questa che si presta a una doppia lettura, perché se è vero che Roma, città aperta segna uno dei vertici della carriera cinematografica della M., è vero anche che il ruolo di Pina avrebbe condizionato, almeno in parte, il futuro dell'attrice: la popolana scarmigliata, generosa, tutta istinto e passione divenne ben presto il nuovo cliché che, ruolo dopo ruolo, registi e sceneggiatori le cucirono addosso.
Comunque il coro degli elogi per l'interpretazione della M. comprese nomi altisonanti, da U. Barbaro ad A. Bazin e, nel 1946, le fruttò il suo primo Nastro d'argento. Intanto la M. continuava a frequentare il palcoscenico: sia la rivista, che aveva ripreso ad affrontare i temi di satira politica e di costume (su copioni di P. Garinei e S. Giovannini fu protagonista a Roma di: Cantachiaro, regia di O. Biancoli, con E. Viarisio, C. Ninchi, Olga Villi [teatro Quattro Fontane, 1 sett. 1944]; Soffia so', regia di Mattoli, con Ninchi, A. Sordi, Marisa Merlini [ibid., 13 genn. 1945]); Cantachiaro 2, regia di Mattoli, con G. Cervi e Viarisio [teatro Valle, 18 maggio 1945), sia la prosa (Scampolo di Niccodemi [teatro Eliseo, 6 dic. 1945], e di nuovo Anna Christie di O'Neill con la regia di O. Costa [ibid., 14 dic. 1945]).
Citiamo di proposito tali titoli a dimostrare come la competenza professionale della M. fosse fuori discussione: poteva passare con assoluta padronanza dalla commedia leggera, alla rivista, al dramma a tinte fosche, ma questo accadeva a teatro. Il cinema, salvo poche eccezioni, le riservò spesso ruoli stereotipati. D'altronde non si può negare come la M. non sia stata almeno in parte responsabile di questo dato di fatto: poche volte, infatti, riuscì a controllare l'impeto che la portava a impadronirsi del personaggio in maniera viscerale, a vivere il ruolo in maniera totale; il che, in qualche modo, condizionò il lavoro dei registi e degli sceneggiatori che si trovavano a dover fare i conti con la sua forte personalità e il suo carattere.
A Roma, città aperta seguirono una serie di pellicole di non grande rilievo (e che talvolta si salvano solo grazie all'interpretazione della M. e dei suoi partner), fra cui: Un uomo ritorna (1946), regia di M. Neufeld, con Cervi; Il bandito (1946), regia di A. Lattuada, con A. Nazzari; Abbasso la miseria! (1946) con N. Besozzi, Abbasso la ricchezza (1947) con V. De Sica, entrambi per la regia di G. Righelli. Con L'onorevole Angelina di L. Zampa (1947; i maggiori incassi di quell'anno) la M. ritrova - come "capopopolo" di un gruppo di "borgatare" che si ribellano al mercato nero - un ruolo, sospeso tra comicità e denuncia sociale, degno del suo carattere. Nel 1948 fu un'intensa Assunta Spina, regia di Mattoli (dal dramma omonimo di S. Di Giacomo), all'altezza di un coprotagonista del livello di E. De Filippo, e la moglie aggressiva e gelosa di M. Girotti in Molti sogni per le strade di M. Camerini. Seguì, diretto da Rossellini, L'amore, dittico formato da La voce umana (in effetti girato l'anno prima, nel 1947, sceneggiatura di Rossellini da La voix humaine, di J. Cocteau) e Il miracolo (soggetto e sceneggiatura di F. Fellini).
L'amore consentì alla M. di raggiungere i livelli forse più alti della sua arte; in particolare lo struggente e disperato monologo del primo episodio - il tentativo di una donna di trattenere al telefono l'amante che la sta lasciando -, in cui l'attrice esce, per una volta, dall'usuale cliché della popolana appassionata, rimane una delle vette interpretative dell'intera storia del cinema.
Ma il rapporto privato con Rossellini, che sempre era stato burrascoso, si stava rapidamente avviando alla fine e la M., meno presa dalla carriera, dedicò il suo tempo e le sue energie al figlio Luca, colpito dalla poliomielite. Nel 1949 interpretò Vulcano, diretto da W. Dieterle.
Vulcano, certo non un capolavoro, melodramma un po' bolso nato quasi come sfida e come risposta a Stromboli, terra di Dio, che Rossellini stava girando con Ingrid Bergman, fu segnato da un episodio penoso: la prima coincise con l'annuncio della nascita del figlio che la Bergman aveva avuto da Rossellini. Appresa la notizia, i giornalisti lasciarono la proiezione prima della fine, e il giorno successivo i giornali riportarono solo qualche trafiletto dedicato al film della M. mentre dedicarono ampio spazio al neonato figlio della coppia del momento.
Nel 1951 la M. tornò a una interpretazione di grande spessore, una fra le sue migliori: quella della madre in Bellissima di L. Visconti.
Il film scatenò un coro di lodi, da M. Gromo a C. Alvaro, da A. Moravia a L. Sechi; la Maddalena Cecconi di Bellissima - personaggio costruito da C. Zavattini a misura della M.: una madre "leonessa" che vuole prendersi le sue rivincite lanciando nel cinema la figlia bambina, "bellissima" per lei, ma che si tira indietro quando si accorge di quale pasta sia fatto quell'ambiente - venne da molti paragonata alla Pina di Roma, città aperta.
Nel 1952 uscirono Camicie rosse di G. Alessandrini e F. Rosi, e La carrozza d'oro di J. Renoir.
Per il primo, la storia di Anita Garibaldi ben più che di Giuseppe, eroe dei due mondi, il nome di Alessandrini fu generosamente imposto dalla M., informata della situazione difficile in cui l'ex marito versava in quel periodo. La carrozza d'oro, tratto da La carrosse du Saint Sacrément di P. Mérimée, prima pellicola in technicolor girata a Cinecittà, nonostante il grande sforzo produttivo e la firma di J. Renoir, non entusiasmò, quanto meno sul momento, la critica, ed ebbe lodi quasi solamente il lavoro della M., capace di superare con il fuoco del temperamento l'handicap di un fisico non proprio "du rôle", nelle vesti di una affascinante Colombina della commedia dell'arte, che conquista tutti i protagonisti maschili della pellicola.
Nel 1953 la M. andò negli Stati Uniti alla presentazione di Bellissima. Fu un grande successo e la sua fama Oltreoceano, fondata sull'interpretazione di Roma, città aperta, crebbe e si consolidò. Nello stesso anno uscì Siamo donne, film a episodi scritto da C. Zavattini in cui, nel quinto episodio, la M. recita, nella parte di se stessa, diretta ancora da L. Visconti. Sempre nel 1953 tornò al teatro di rivista e, nel dicembre, debuttò con una sua compagnia, in Chi è di scena? (Sanremo, teatro del Casinò, 21 dic. 1953) scritto e diretto da Galdieri. Verso la fine del 1954 iniziarono, negli Stati Uniti, le riprese de La rosa tatuata. Scritto da T. Williams proprio per la M., diretto da D. Mann, il film - che si salva dall'oblio quasi solo per la grande maestria dei protagonisti: una M. misuratissima e attenta a non colorire troppo il personaggio della vedova Serafina, e B. Lancaster - uscì nel 1955 e fruttò alla M. l'Oscar come migliore attrice (il primo assegnato a un attore italiano).
La parentesi americana comprende altri due lavori di minore riuscita anche dal punto di vista dell'interpretazione della M., nonostante due regie prestigiose e due grandi partner: Selvaggio è il vento di G. Cukor (1958), con A. Quinn e A. Franciosa, e Pelle di serpente diretto di S. Lumet (1960), con M. Brando; quest'ultimo film, benché tratto da Orpheus descending di T. Williams, autore anche della sceneggiatura, non seppe ripetere l'exploit de La rosa tatuata. Nel 1958, in Italia, la M. era stata la prostituta Egle, incarcerata alle Mantellate, in Nella città l'inferno di R. Castellani, con Giulietta Masina.
Dai primi anni Sessanta inizia un periodo in cui la M., oramai indubitabile "signora" del cinema italiano, sembrò incontrare difficoltà sempre maggiori nel trovare soggetti che la interessassero e finì poi per cadere spesso su scelte sbagliate. Certamente non è questo il caso dell'incontro con P.P. Pasolini, il quale, nonostante qualche attrito, finì per dare origine a un altro capolavoro: Mamma Roma (1962).
Il film - diseguale, discusso e discutibile - divise la critica e si rivelò un fallimento commerciale, ma rimane un manifesto di poetica e uno dei film più importanti dell'epoca. Il portamento attoriale della M., pur nella sua diversità, non contrasta e non disdice con la recitazione dei "ragazzi di vita" di Pasolini e la spavalda e disperata prostituta "mamma Roma", che in una sua dimensione piccolo borghese cerca di redimersi per amore di un figlio troppo tardi ritrovato, non sfigura al fianco delle maggiori interpretazioni precedenti dell'attrice.
Gli anni Sessanta videro anche l'ultimo ritorno al teatro della M., con le memorabili interpretazioni de La lupa di G. Verga (Firenze, teatro della Pergola, 24 maggio 1965) per la regia di F. Zeffirelli, e di Medea di J. Anouilh (Roma, teatro Quirino, 24 dic. 1966) diretta da G. Menotti. Tornò al cinema nel 1969 con Il segreto di Santa Vittoria, diretta da S. Kramer, con A. Quinn. Gli anni Settanta la videro protagonista di quattro film televisivi, scritti per lei e diretti da A. Giannetti: La sciantosa (1970), 1943: un incontro (1971), L'automobile (1971) e (Correva l'anno di grazia 1870 (1972), quest'ultimo ebbe una prima uscita nelle sale e apparve in televisione nel 1973. L'addio allo schermo è affidato a una breve apparizione, folgorante cammeo, in Roma di F. Fellini del 1972.
La M. morì a Roma il 26 sett. 1973.
Fonti e Bibl.: G. Bezzola, A. M., Parma 1958; L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, a cura di F. Faldini - G. Fofi, I-II, Milano 1979-81, ad ind.; G. Governi, Nannarella, il romanzo di A. M., Milano 1981; P. Carrano, La M., il romanzo di una vita, Milano 1982; A. M., a cura di A. Scannapieco, Venezia 1982; M. Hochkofler, A. M., Roma 1984; P. Pistagnesi, A. M., Milano 1989; E. Centore, Nannarella, la donna, la madre, l'attrice A. M., Roma 1993; G. Fofi, Più stelle che in cielo, Roma 1995, pp. 76-86; A. Anile - M.G. Giannice, La guerra dei vulcani, Genova 2000; L. Cantatore - G. Falzone, La signora M., Roma 2001; I. Moscati, A. M., Roma 2003; Ciao A. (catal.), a cura di M. Hochkofler - L. Magnani, Roma 2003; A. M.: quattro storie americane, a cura di C. Vaccarella - L. Vaccarella, Roma 2003; M. Hochkofler, A. M.: lo spettacolo della vita, Roma 2005; A. Magnani, La mia corrispondenza americana, a cura di C. Vaccarella - L. Vaccarella, Roma 2005. In particolare, per l'attività teatrale della M. si vedano ancora: Sentimental, a cura di R. Cirio - P. Favari, Milano 1975, ad ind.; S. De Matteis - M. Lombardi - M. Somarè, Follie del varietà, 1890-1970, Milano 1980, ad ind.; S. D'Amico, Cronache, a cura di A. D'Amico - L. Vito, Palermo 2001; Enc. dello spettacolo, VI, sub voce.