PIERANGELI, Anna Maria
PIERANGELI (Pier Angeli), Anna Maria. – Nacque a Cagliari il 19 giugno 1932 da Luigi e da Enrica Romiti.
Fu conquistata dal cinema sin da giovanissima – passione condivisa con la gemella Maria Luisa, più tardi anche lei attrice con il nome d’arte di Marisa Pavan – grazie a una madre che in gioventù aveva sognato di calcare il palcoscenico e amava acconciare le sue figlie a mo’ di Shirley Temple.
Di famiglia altoborghese originaria di Pesaro, i Pierangeli si erano trasferiti in Sardegna freschi di matrimonio, stabilendosi dapprima a Oristano poi a Cagliari dove Luigi, ingegnere e architetto, dirigeva lavori di bonifica. Nel 1935 la famiglia si era spostata a Roma. Figlia prediletta e amatissima di un padre severo e di gran fascino, Anna Maria trascorse la sua prima infanzia in un mondo dorato, che restò travolto dallo scoppio della guerra. Nel 1942 si pensò di trasferirla a Milano, ospite di Enrico Mattei, intimo amico di Luigi e padrino di Anna Maria, ma la sua permanenza durò solo pochi giorni. Le abitudini familiari ripresero a guerra conclusa.
Nel novembre del 1947 era intanto nata Patrizia e quella nascita, con la complicità di una brutta pleurite di Anna Maria, rese il legame che da sempre la univa a suo padre ancora più esclusivo, tanto che ora sognava di diventare un architetto e si iscrisse a una scuola d’arte. Tuttavia, nella primavera del 1948, rientrando a casa fu avvicinata da un uomo che le propose una parte in un film. Si trattava di Vittorio De Sica e, proprio nei giorni che precedettero l’appuntamento, la Pierangeli fece l’incontro che cambiò la sua vita. Tempo prima aveva accompagnato il padre in un appartamento che l’architetto aveva affittato a una diva del cinema muto. La donna, Rina De Liguoro, si ricordava ancora di lei, tanto che aveva pensato di presentarla a un amico regista, Leonide Moguy, che stava cercando una giovane cui affidare il ruolo di protagonista per Domani è troppo tardi (1949), la stessa parte che aveva pensato per lei il protagonista maschile del film, Vittorio De Sica. Accompagnata dalla madre, una timidissima Anna fece il suo primo ingresso a Cinecittà. La determinazione di Enrica vinse ogni resistenza di Luigi e, a distanza di qualche mese, fu richiesta dallo stesso regista per Domani è un altro giorno (1950).
Entrambi i film portavano sullo schermo un argomento spinoso, quello dell’amore e «dell’educazione sessuale degli adolescenti» (La Stampa, 18 luglio 1951). Il primo si impose come miglior film italiano al Festival di Venezia (1950). L’interpretazione della Pierangeli, misurata e malinconica, le fece conquistare il Nastro d’argento (1951) come miglior attrice protagonista e le spalancò le porte di Hollywood.
In quei mesi, lo sceneggiatore statunitense Steward Stern era in Italia per scegliere gli esterni e un’attrice cui affidare il ruolo di protagonista di un suo soggetto, Teresa (1951), per la Metro Goldwin Mayer. Conobbe Anna Pierangeli nella primavera del 1950, tramite Silvio D’Amico, e ne restò incantato. Le riprese del film che fu diretto da Fred Zinnemann durarono alcuni mesi. Prima si girò in Italia, poi il set si spostò a Hollywood. La Pierangeli e la madre atterrarono a New York il 16 giugno 1950, qualche giorno prima del diciottesimo compleanno di Anna. La potente macchina del cinema hollywoodiano si mise subito in moto trovandole un nome d’arte, che fu scelto separando in due il suo cognome: da quel momento sarebbe stata Pier Angeli. Un nome da ragazzo, che non amò mai.
Terminate le riprese, madre e figlia fecero rientro in Italia, giusto in tempo perché cominciassero quelle del secondo film di Moguy. Il 18 settembre 1950 il padre morì di infarto. Nel dicembre 1951 le donne Pierangeli lasciarono definitivamente l’Italia. La MGM offrì ad Anna un contratto settennale, unica attrice italiana che riuscì a strapparlo. In quello stesso 1951 fu data a New York la prima di Teresa.
L’aspetto angelico, l’intensità e la spontaneità con cui aveva messo in scena il ruolo della giovane sposa di guerra italiana la imposero immediatamente al pubblico e alla critica. Cominciarono gli inevitabili paragoni con le altre attrici europee, per lei furono spesi i nomi di Ingrid Bergman, Greta Garbo, Luise Rainer. Minuta, con due grandi occhi intensi e un sorriso pieno di luce, la Pierangeli era molto diversa dalle altre attrici italiane. Non portava trucco, non beveva, non fumava, non aveva il permesso di uscire con un ragazzo, tutt’al più si concedeva qualche gelato. Fu su quest’immagine stereotipata di ragazza non ancora donna che Hollywood puntò. Per convenienza professionale, Anna fu mantenuta in uno stato di fittizia minorità. La stampa cominciò anche a enfatizzare il ruolo predominante e possessivo che la madre aveva nella sua vita, professionale e privata.
A Hollywood perfezionò l’inglese grazie a Helen Sorel, che fu ben più di un’insegnante di recitazione. Si fece anche altre amiche, la più cara Debbie Reynolds, e si immerse in quel mondo inquieto in cui «per stare a galla ci voleva bravura, furberia e intelligenza» (Longardi - Toffetti, 2003, p. 29), come ebbe a scrivere la madre al direttore dell’ufficio stampa della MGM Italia. Per la Metro fu accanto a Stewart Granger nella commedia The light touch (L’immagine meravigliosa, 1951), a Gene Kelly in The devil makes three (I lupi mannari, 1952). In Equilibrium, ultimo di tre episodi di The story of three loves (Storia di tre amori, 1953) recitò insieme a Kirk Douglas; fu ancora con Vittorio Gassman in Sombrero (1953) e l’anno successivo con Lana Turner in The flame and the flesh (La fiamma e la carne, 1954), ma soprattutto con Paul Newman in The silver chalice (Il calice d’argento, 1954), poi in Somebody up likes me (Lassù qualcuno mi ama, 1956), in cui interpretò la moglie di Rocky Graziano, il suo personaggio più pieno e più riuscito.
A metà degli anni Cinquanta la sua vita correva svelta come una favola. Viveva ancora con la madre e le sorelle in una villetta sulle colline di Hollywood, ma era invitata a tutte le prime importanti. I giornali davano conto di ogni suo amore, vero o presunto, cominciato o subito finito per gli interventi diretti di Enrica. Da quello per Kirk Douglas a quello per James Dean, della cui leggenda divenne parte integrante. Dopo la morte dell’attore (30 settembre 1955), i particolari della loro relazione, perfetta per Hollywood, acquistarono così tanta importanza da fare di ‘Pier’ l’unico vero grande amore di Dean. Il 24 novembre 1954, mentre ancora si raccontava delle loro passeggiate romantiche, Anna sposò a sorpresa Vic Damone, benvoluto dalla famiglia: «il ragazzo ha 27 anni, è un bravo cantante, è buono, è italiano e con un bellissimo avvenire» (Longardi - Toffetti, 2003, p. 34). La mattina delle nozze, presenti i più bei nomi di Hollywood, Dean si fece trovare sul piazzale della chiesa. Restò fino al momento dell’immancabile bacio degli sposi, poi si allontanò in sella alla moto indossando il giubbotto di pelle che aveva ricevuto in dono da Anna. Un anno dopo nacque Perry. Nonostante i Damone apparissero sorridenti in tutti i rotocalchi, il matrimonio non fu felice. Al tempo delle nozze anche Vic era sotto contratto con la MGM. Insoddisfatto, riuscì a convincere anche la moglie a rompere l’accordo, cosicché l’ultimo film che la Pierangeli fece per la Metro fu Merry Andrew (Il principe del circo, 1958), accanto a Danny Kaye.
Senza la protezione della MGM la vita a Hollywood divenne difficile. ‘Pier’ cominciò a conoscere la durezza di un mondo di cui sino allora aveva visto solo la facciata. Il matrimonio con Damone si chiuse nell’inverno del 1958. Nella domanda di separazione si parlò di «grandi sofferenze mentali» e di numerosi «atti di crudeltà subiti». Dopo aver ottenuto il divorzio la Pierangeli lasciò l’America. Partì di notte, portando Perry con sé, nonostante il veto della Corte di Santa Monica. Scoppiò uno scandalo. L’accusa di rapimento riempì per giorni le pagine dei giornali.
Una volta in Europa girò S.O.S Pacific (1959) e The angry silence (La tortura del silenzio, 1960). Nel 1960 fece rientro in Italia. Recitò in I moschettieri del mare (1961) e fu nuovamente accanto a Granger in Sodom and Gomorra (Sodoma e Gomorra, 1962).
La si rivide ancora in diversi altri film (da l’Ammutinamento, del 1961, sino all’ultimo, un horror girato nel 1971), quasi tutti minori. Negli anni della ‘dolce vita romana’ di lei parlavano ormai più i cronisti mondani che non i critici cinematografici. Nelle fotografie che la ritraevano in compagnia di tanti giovani talenti emergenti si faticava a riconoscere la ragazzina sbarazzina e sognante che dieci anni prima era sbarcata a Hollywood.
Nel 1962 le difficoltà sembrarono rientrare, quando sposò il compositore Armando Trovajoli, maggiore di lei di una quindicina d’anni, da cui l’anno seguente ebbe Howard Andrew George.
Dopo una vacanza in California il piccolo Perry non le era stato più riconsegnato dal padre, ed era cominciata una lunga battaglia legale per il suo affidamento. Secondo Damone Anna lo aveva trascurato e «non si era curata di evitare che perdesse ogni coscienza del suo retaggio americano per farne un italiano» (La Stampa, 24 ottobre 1964). Nel 1965 lei ottenne di averlo in custodia per dieci mesi l’anno, ma le fu imposto di farlo studiare in una scuola americana.
Quattro anni dopo finì con un divorzio anche il suo secondo matrimonio. Iniziò allora la fase più buia. Di lei scrissero che aveva difficoltà finanziarie, guai con il fisco, e continue crisi depressive. Si parlò anche di un tentativo di suicidio, di eccessi nel bere e di frequenti ricoveri in clinica.
Nel 1971 lasciò l’Italia e tornò a Hollywood, ospite della Sorel. Ad attenderla questa volta non vi furono fanfare né fotografi. Pur tuttavia sembrò riprendere fiducia. Forse l’aspettava una parte nella serie televisiva Bonanza (che non seppe mai di aver ottenuto), forse ci sarebbe stato un nuovo film, e il suo agente stava lavorando per farle avere un piccolo ruolo in The Godfather.
Ma la mattina del 10 settembre 1971 la Sorel la trovò morta nella sua stanza, a Beverly Hills.
La notizia fece il giro del mondo. Si disse che era stato un suicidio e fu aperta un’inchiesta: il certificato del coroner, depositato il 3 novembre 1971, parlò di morte naturale, uno scompenso cardiaco dovuto a un’eccessiva dose di farmaci. Le esequie si tennero in una chiesa cattolica di Beverly Hills il 14 settembre. Ad accompagnare la sua salma si raccolse una piccola parte di Hollywood, qualche fotografo e qualche cineoperatore. Fu in seguito sepolta nel cimitero di Rueil-Malmaison, nei pressi di Parigi.
Anna Maria Pierangeli recitò in più di trenta film per il cinema e in una produzione televisiva (elenco completo in E. Lancia - R. Poppi, Dizionario del cinema italiano. Le attrici, Roma 2008, p. 288). La vita dell’attrice è stata inoltre messa in scena in Dean. A musical (London 1977); nelle pellicole Race with destiny (1997), James Dean (2001) e in Life, presentato al Festival del cinema di Berlino nel febbraio 2015.
Fonti e Bibl.: Una parte consistente delle memorie di Pierangeli è conservata dai suoi familiari. Per questi e altri documenti J. Allen, Pier Angeli. A fragile life, Jefferson 2002. Tra i numerosi articoli dedicati dalla stampa internazionale si vedano almeno M. Connolly, in Hollywood Reporter, 29 agosto e 22 ottobre 1951; T. Strauss, Hollywood natural, in Collier’s, 26 aprile 1952; H. Hopper, Fantastic and lovable, that’s Pier Angeli, in Chicago sunday tribune, 17 maggio 1953. Inoltre: E. Magri - A. Ongaro, Pietà per una ragazza che ha avuto troppo. Un’intervista a Enrica Pierangeli e Leonide Moguy, in L’Europeo, 1971, n. 39; R. Strait, Star babies, New York 1979, ad ind.; K. Douglas, The Ragman’s son: an autobiography, New York 1988, ad ind.; D. Reynolds, Debbie: my life, New York 1988, ad ind.; M. Righini, A.-M. P.: une madone à Babylone, Paris 1989; K. Segrave - L. Martin, The continental actress: european film stars of the postwar era, Jefferson 1990, p. 29; P. Alexander, Boulevard of broken dreams, New York 1994, p. 160; J. Steward, Italian film. A who’s who, Jefferson 1994, p. 235; D. Shipman, The great movie stars: the international years, Sydney 1996, p. 15; P. Casella, Hollywood Italian: gli italiani nell’america di celluloide, Milano 1998, pp. 192-194; M. Longardi - S. Toffetti, Più stelle che in cielo. Mezzo secolo tra Hollywood e Cinecittà, Roma 2003; S. Cassamagnaghi, Immagini dall’America: mass media e modelli femminili nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1960), Milano 2007, p. 246.