MENZIO, Anna (Wanda Osiris)
– Nacque a Roma il 3 giugno 1905, quarta figlia di Giuseppe, palafreniere di casa Savoia, e di Adele Pandolfi.
Terminate le elementari superiori, la M., che già dimostrava uno specifico interesse per il mondo dello spettacolo, iniziò a prendere lezioni di violino ma, con il trasferimento dei suoi a Milano, per aiutare la famiglia dovette impiegarsi presso una compagnia di assicurazioni, L’Abeille.
Abbandonato presto il lavoro d’ufficio, nel 1923 debuttò come ballerina nella rivista Il vile pedone di C. Rota, al teatro Eden di Milano; l’anno seguente, si trovò per la prima volta in compagnia con E. Macario, anch’egli agli inizi della carriera e attivo sulla piazza milanese, per alcune produzioni di avanspettacolo (fra cui Cani e gatti; Bisa e bosa, in dialetto milanese). In questi primi anni la M., come era d’uso, alternò la rivista con l’operetta, genere che frequentò più assiduamente dal 1930, quando fu scritturata, su indicazione del maestro E. Favi, per Vittoria e il suo ussaro, di P. Abraham, messo in scena dalla compagnia di E. Dezan; in questa occasione, per la prima volta, il nome d’arte della M. apparve con rilievo in locandina.
Stando a quanto raccontava la stessa M., sembra fosse stato proprio Favi a suggerirlo: Wanda, in luogo del più banale Anna, e Osiris, una sorta di impropria e alquanto casuale crasi dei nomi delle divinità egizie Osiride e Iside, a dare una nuance di magico esotismo.
Nel 1932 ebbe una parte nella rivista Il piccolo caffè, di cui Totò (Antonio De Curtis) era capocomico e interprete con Lina Gennari (Milano, teatro Excelsior). Dal 1933, con l’opera buffa Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di C. Rota con musiche di N. Piccinelli, cominciò a lavorare con una certa continuità nella compagnia Donati-Fineschi, che portava in scena operette e riviste. Pratica della scena, la M. non aveva tuttavia ancora raggiunto la piena padronanza dei suoi mezzi né chiaramente individuato il ruolo che più le si confacesse; in questa direzione la aiutò l’incontro con uno dei protagonisti del teatro leggero di quegli anni, M. Galdieri, grande scopritore di talenti, autore e regista prolifico di canzoni e riviste.
Questi la convinse a prendere lezioni di canto, per impostare e valorizzare la voce sottile e un po’ incerta, e di ballo (dalla coreografa Gisa Geert); ma in particolare il tipo di rivista messo in scena da Galdieri – uno spettacolo a struttura aperta e quadri staccati, libero dal condizionamento della trama, fondato principalmente sulla satira, leggera e garbata, del comico, su belle canzoni orecchiabili e sentimentali e sullo sfarzo dei numeri coreografici – prevedeva il ruolo fatto apposta per la M.: quello della vedette, non propriamente attrice o comica, né ballerina o cantante, ma in senso etimologico una «presenza» che, facendo un po’ di tutto, forse non a livello di eccellenza però sempre in modo eclatante, suscitava sensazione e riempiva la scena. Tale ruolo corrispondeva perfettamente non solo alle potenzialità ma anche all’istintivo sentimento del teatro della M., la quale su questa linea impostò abilmente il suo personaggio, utilizzando via via, e talvolta inventando, veri e propri artifici «da palcoscenico», a cominciare dai capelli platinati e il trucco pesante, colorato – cerone e cipria a rendere un incarnato scuro – in netto contrasto con il pallore delle ballerine di fila.
Nel 1937 la M. fu appunto la vedette di E se ti dice va! tranquillo vai! grande successo di Galdieri (Roma, teatro Quattro Fontane, compagnia Fineschi-Donati); nel 1938, Ma adesso è un’altra musica, ancora di Galdieri (ibid., teatro Valle, id.). Sempre nel 1938 la M. tornò in compagnia con Macario con il quale, negli anni a cavallo fra i Trenta e i Quaranta, tutti e due ormai famosi, formò la coppia di punta della rivista italiana «borghese», edulcorata ed elegante, con una forte propensione al kitsch.
Portarono in scena: nel 1938, Piroscafo giallo (Roma, teatro Valle) e Follie d’America (Macerata, Sferisterio) ambedue di Bel Ami (pseud. di A. Francini); nel 1939, Trenta donne e un cameriere di M. Marchesi e G. Di Napoli (Milano, teatro Mediolanum); nel 1940, Carosello di donne di Ripp (L. Miaglia) e Bel Ami (Roma, teatro Valle); nel 1941, Tutte donne di M. Amendola (ibid.) e Primavera di donne di Macario e C. Rizzo; nel 1942 l’ultimo, e forse il migliore, spettacolo con Macario, Una sera di festa, di Giuliano.
Carisma ed eccesso divennero i fondamenti degli spettacoli della M. – strutturalmente sempre uguali a se stessi –, concretati attraverso particolarità e rituali che connotavano tutte le sue apparizioni sulla scena e la rendevano immediatamente riconoscibile al pubblico: un guardaroba sfarzoso, curato personalmente dalla M. con l’aiuto dello stilista Folco e della sarta Lucia Boetti, a contrasto e come segno distintivo rispetto al poco, o pochissimo, cui erano ridotti i costumi delle ballerine di fila; scenografie sempre più esagerate (in Follie d’America la M. compariva all’interno di un enorme carillon dorato; ovvero, in Tutte donne, usciva da un gigantesco astuccio di profumo); le discese dalle scale (tradizione vuole che sia stata un’idea di Macario proprio per Follie d’America), scale che anch’esse nel corso del tempo si sarebbero fatte più monumentali e maestose, fino a riprodurre, tra le altre, quelle di Montmartre o di Trinità dei Monti; e ancora, il lancio al pubblico di rose, rigorosamente baccarat, senza spine e profumate di Arpège.
Interrotto il sodalizio con Macario, nella prima metà degli anni Quaranta la M. contribuì a lanciare un altro comico destinato a grande successo: C. Dapporto, con cui, nel 1943, mise in scena Sogniamo insieme (Roma, teatro Valle) e Che succede a Capocabana (Milano, teatro Lirico); seguirono, nel 1944, L’isola delle sirene e La donna e il diavolo (ibid.) e, nel 1945, Gran varietà, ultima collaborazione con Dapporto.
In Che succede a Capocabana esordì un’altra trouvaille targata «Wandissima» (l’adozione del superlativo con cui la M. veniva festeggiata alla ribalta dai suoi numerosi e fedeli fans fu attribuita a Dapporto, ma più probabilmente si dovette al giornalista e autore teatrale O. Vergani): i «boys», una fila di ballerini in smoking o frack, pesantemente truccati, che facevano ala alle apparizioni della prima donna, talvolta sorreggendo il suo lungo strascico.
Sensibile all’evoluzione dei gusti del pubblico, sia pure sempre nella chiave del «suo» genere di rivista, nel dopoguerra la M., sotto l’egida di un nuovo impresario tendenzialmente megalomane come lei, R. Paone, si affidò alla coppia P. Garinei - S. Giovannini (G&G), autori emergenti di quegli anni. Tra il 1946 e il 1950, la M. fu protagonista di alcuni grandi allestimenti di G&G: Si stava meglio domani (al fianco di G. Agus, con il quale ebbe, nel privato, una lunga relazione); Domani è sempre domenica (costato 30 milioni, cifra esorbitante per l’epoca, e tradotto in tedesco, ebbe, eccezionalmente per l’epoca, una breve tournée oltre confine, a Zurigo); Al Grand Hotel (la M. era affiancata, oltre che da Agus, da Dolores Palumbo, G. Porelli, Vera Carmi, R. Rascel e i Nicholas Brothers); Sogni di una notte di questa estate; Il diavolo custode (dove interpretava Elena di Troia e Lucia Mondella). Nel 1951 al Sistina di Roma rinnovò il sodalizio con Galdieri in Galanteria mentre, nuovamente con Garinei e Giovannini, fu in scena, nel 1952, in Gran baraonda e l’anno seguente in Made in Italy, un’ultima volta al fianco di Macario. Nella stagione 1954-55, al Nuovo di Milano, la M. presentò Festival.
Spettacolo d’eccezione sulla carta, con autori quali Age (Agenore Incrocci), F. Scarpelli, D. Verde, Marchesi, presenze già affermate o di grande potenzialità nel cast, come il quartetto di comici R. Pisu, E. Pandolfi, N. Manfredi e A. Lionello, e la consulenza alla regia di L. Visconti nella sua unica prova nel teatro leggero, ottenne invece un tiepido successo, sintomo che il tipo di rivista che era nelle corde della M. stava ormai tramontando.
Di fatto il successo della seguente stagione 1955-56, La granduchessa e i camerieri (Milano, teatro Lirico), di Garinei e Giovannini, era già a tutti gli effetti una commedia musicale o musical, espressione di un nuovo genere di matrice anglosassone, in cui il personaggio della M. – con le sue scale, le mastodontiche coreografie, gli animali sul palcoscenico (un altro topos della leggenda della Wandissima che in scena si era accompagnata a tutto: dall’asino ai levrieri, al cammello), i boys, le ballerine in «puntino» – non poteva trovare posto. Dopo un paio di flop (Okay fortuna, 1956; I fuoriserie, 1957), il vero e proprio fiasco di Doppio rosa… al sex, di A. Grimaldi e G. Corbucci con R. Billi, nel 1958, segnò per la M., icona irripetibile e per qualche verso inspiegabile di un certo tipo di rivista, l’abbandono della scena.
Fece ancora qualche breve apparizione, poco più di partecipazioni «speciali» come nella ripresa di Buonanotte, Bettina, di Garinei e Giovannini, nel 1963, o ancora, nel 1974, in Nerone è morto? di M. Hubay, con F. Branciaroli e per la regia di A. Trionfo. Di scarsa importanza anche l’attività cinematografica: si ricordano, tra pochi altri, l’esordio nel 1940, in Non me lo dire di M. Mattoli, un’apparizione ne I pompieri di Viggiù (1949), sempre di Mattoli; poi Botta e risposta (1950) di M. Soldati e infine, nella parte di se stessa, in Polvere di stelle (1973), rivisitazione del mondo dell’avanspettacolo firmata dal suo vecchio ammiratore A. Sordi. Notevole invece l’attività discografica della M., benché esclusivamente collegata alle canzoni delle sue riviste, motivi quasi sempre romantici e a volte sdolcinati, eseguiti con una vocina tremula e un’improbabile pronuncia che allargava le vocali, tuttavia gradevoli e orecchiabili, evergreen indissolubilmente legate alla sua particolare interpretazione; fra i titoli più noti: Un po’ di luna, Tu musica divina, Sentimental, Ti parlerò d’amor, Le gocce cadono, ma che fa, A Capocabana, Ti porterò fortuna.
La M. morì a Milano l’11 nov. 1994.
Fonti e Bibl.: Necr., in La Repubblica, 15 nov. 1994; L. Ramo, Storia del varietà, Milano 1956, ad ind.; Sentimental, a cura di R. Cirio - P. Favari, Milano 1975, ad ind.; M. Morandini, Gli anni d’oro della rivista, Milano 1978, ad ind.; Follie del varietà. Vicende, memorie, personaggi (1890-1970), a cura di S. De Matteis - M. Lombardi - M. Somaré, Milano 1980, ad ind.; G. Afeltra, in Corriere della sera, 15 nov. 1985; A. Olivieri - A. Castellano, Le stelle del varietà, Roma 1989, ad ind.; Enc. dello spettacolo, VII, sub voce.
G. Pangaro