CACCAVELLO, Annibale
Nacque probabilmente a Napoli, verso il 1515, da Giovan Battista, originario di Massa Lubrense, importatore di marmi da Carrara e imprenditore di lavori di marmorari.
Della sua operosità artistica ci ha lasciato egli stesso dettagliati ragguagli con il Diario - o piuttosto libro di conti - su cui dal 1547al 1567 annotò tutte le operazioni finanziarie relative così alle commissioni di lavoro come a investimenti in beni immobiliari ed a concessioni di denaro in prestito.
Sulla base dei peculiari caratteri formali di quelle opere che in tal modo, o da altre fonti archivistiche, risultano irrefutabilmente documentate e che sono giunte fino ai giorni nostri, la moderna critica (soprattutto per merito di A. Venturi e del Bologna) ha potuto avanzare ipotesi assai plausibili anche sull'attività giovanile del C., anteriore appunto al 1547, cercando particolarmente di individuare i suoi interventi nel contesto dei lavori che il suo maestro Giovanni da Nola condusse a Napoli con l'aiuto della propria numerosa bottega.
Così appare convincente ritenere di mano del C. sia le figure del Cristo risorto, di S. Francesco e S. Nicola da Bari e dei due Angeli che stanno al culmine della tomba di Sigismondo Sanseverino nella chiesa dei SS. Severino e Sossio, sia parte cospicua dei rilievi raffiguranti episodi storici nel basamento della famosa tomba di don Pedro de Toledo in S. Giacomo degli Spagnuoli, sia infine il rilievo con la Caduta di s. Paolo a S. Maria delle Grazie a Caponapoli, che un documento del 1539 riferisce a Gian Domenico d'Auria, altro notevolissimo allievo di Giovanni da Nola, ma che appare piuttosto come l'opera in cui per la prima volta è in atto il sodalizio tra il d'Auria stesso e il C., con netta prevalenza dell'impronta di quest'ultimo. A queste opere possono collegarsi, databili forse proprio alla fase degli esordi dell'artista, le Virtù e i rilievi della cassa (Predica di Cristo; S. Caterina d'Alessandria; Anacoreti in meditazione)del pulpito di S. Agostino alla Zecca.
Si segue, attraverso tutti questi lavori, un abbastanza coerente sviluppo di formulazione stilistica che muove ancora dal plasticismo teneramente espanso, affiorante in delicate soluzioni luministiche, di un Diego de Siloe, per bordeggiare poi - ovviamente - la più incisiva maniera di Giovanni da Nola (mantenendo tuttavia sempre, nell'ambito della bottega di questo, una posizione relativamente indipendente), fino a trovare infine i tratti di una più propria fisionomia nell'interpretare l'esempio della plasticità robusta, a volte perfino enfatica ma già comunque connotata in senso manieristico, del Montorsoli il quale, con Francesco del Tadda, aveva scolpito per la chiesa napoletana di S. Maria del Parto la tomba di Iacopo Sannazzaro (1537).
Proprio sull'avvio montorsoliano, ravvivato forse anche dalla conoscenza di altre opere lasciate dal toscano nel meridione, si rende invero distinguibile la parte avuta dal C. nella ricordata tomba di don Pedro de Toledo, e si preciserà ancor meglio il suo intervento nel primo dei lavori menzionati nel Diario, ilcomplesso della cappella Caracciolo di Vico in S. Giovanni a Carbonara, per il quale egli aveva preso obbligazione nell'aprile 1547, assieme a Gian Domenico d'Auria. Qui, oltre la lapide dedicatoria retta da due puttini, esplicitamente ricordata dall'artista stesso, è sicuramente attribuibile a lui (Venturi) anche il basamento della tomba di Antonio Caracciolo, ove le robuste figure di fauni e tutto l'impaginato decorativo palesano l'adesione entusiastica ai modelli del Montorsoli; e forse è opera sua anche (Bologna) la figura di S.Luca evangelista che è stata realizzata nella predella dell'altare.
Nel 1550, ancora in società con Gian Domenico d'Auria, il C. eseguì la "cona", cioè la pala d'altare a rilievo con la Madonna col Bambino in gloria e anime purganti per la chiesa di S. Caterina a Capua (ora nel Museo Campano di quella città): in tale occasione dovendo - per volere del committente - prendere a modello un analogo rilievo forse di Gerolamo Santacroce che era in S. Aniello a Caponapoli, il C. ripiegò subitamente sui gracili modi della locale tradizione del primo Rinascimento, risalendo perfino ai suoi iniziali contatti con Diego de Siloe. Ma già l'anno dopo, 1551, lavorando ai sepolcri di Odetto di Foix conte di Lautrec e di Pietro Navarro, in S. Maria la Nova, il C. si reinserì nel filone delle già sperimentate e più moderne tendenze stilistiche collegate con il manierismo toscano.
Ora per altro, proprio nell'occasione di questi sepolcri di personaggi famosi a Napoli, egli dà personale apporto all'elaborazione d'un tipo di monumento celebrativo che riprende modelli piuttosto correnti e divulgati dallo stesso Giovanni da Nola, ma che pure si sviluppa in un senso che si direbbe declamatorio, per l'infittirsi degli ornati che dispiegano il caratteristico repertorio della "maniera", per il risalto delle modanature, per il macchinoso e magniloquente sovrapporsi degli elementi che incorniciano i sarcofagi e le effigi dei defunti: un tipo di monumento celebrativo, occorre notare, che perdurerà nel Meridione ancora nel sec. XVII, sotto vesti stilistiche barocche.
L'interesse sempre più accentuato per quello che finirà per diventare una specie di cliché compositivo andò per altro a discapito delle vere e proprie qualità dello stile, che si diluirono negli scenografici effetti d'insieme. Ciò si nota bene nella tomba di Luigi Acciapaccia in S. Caterina a Formello, iniziata nel 1552, e nella tomba di Alfonso Basurto, generale di Carlo V, in S. Giacomo degli Spagnuoli (1554), mentre il monumento di Galeazzo Caracciolo nella cappella Caracciolo di Vico in S. Giovanni a Carbonara, attribuito al C. dal Venturi, altro non è che una prova della divulgazione presso le maestranze locali, e piuttosto sotto l'influsso del d'Auria che del C., di quegli schemi compositivi di cui s'era fatto cenno sopra.
Alcuni anni dopo, nel 1557, il C. compare di nuovo a fianco di Gian Domenico d'Auria, ed ora stranamente quasi subordinato ai modi di questo, nella modesta tomba di Hans Walter von Hiernheim, altro condottiero imperiale, anch'essa in S. Giacomo degli Spagnuoli; ma riaffermò tosto la propria distinta personalità quando, sempre associato coi d'Auria, eseguì il sepolcro di Scipione Somma in S. Giovanni a Carbonara (iniziato appunto in quell'anno 1557) e tornò al suo ridondante plasticismo. Ancora per questa medesima cappella dei Somma scolpì, secondo il Bologna, la parte superiore del rilievo a capo altare con l'Assunta (la parte sottostante con gli Apostoli meglio concorda invece con la maniera del d'Auria, al quale tutta l'opera è tradizionalmente attribuita), e probabilmente anche le statue di S. Agostino e S. Giovanni Battista all'esterno della cappella stessa.
Si nota pure, in queste ultime opere, come l'inizio d'un progressivo scadimento, per un attenuarsi del vigore plastico e il cedimento invece a un modellato molle, su cui giocano labili effetti luministici. L'artista pare ora non esser neanche più in grado di assolvere tutte le commissioni che pure accetta, e lascia così più vasto campo ai numerosi collaboratori, tra i quali erano già di frequente il fratello Disiato (che non sembra però abbia fatto altro che lavori del tutto complementari) e Salvatore Caccavello che invece realizzò in proprio più d'una opera tra le tante per cui il C. aveva a suo tempo preso impegno.
Nel 1563 il C. portò a compimento - come ancora una volta risulta dal Diario - la tomba di Porzia Capece Rota in S. Domenico Maggiore: ma è talmente arduo distinguere gli accenti formali che gli sono propri dalla generale impronta data al complesso degli altri monumenti della cappella da Gian Domenico d'Auria, che il Bologna ha perfino dubitato dell'effettivo intervento del C. nel lavoro.
Ultima opera d'un certo impegno è la tomba di Giulio Caracciolo (Marsicano) in S. Giovanni a Carbonara (1566 e seguenti): e tuttavia anche qui, accanto a parti che confermano le doti originali del C. (e sono soprattutto il rilievo con la Presentazione al Tempio e l'impianto decorativo generale), altre, come la figura giacente del defunto e il Padre Eterno nella lunetta, sono ormai inerti riecheggiamenti dell'antico talento plastico dell'artista.
Nel 1566 il C. delegò il socio Salvatore Caccavello a concorrere a suo nome per l'appalto di esecuzione della fontana della Selleria: ma doveva già aver praticamente abbandonato ogni attività diretta; fece testamento il 22 marzo 1570 e morì probabilmente entro quello stesso anno.
Altre opere ancora esistenti che sono state a lui ragionevolmente attribuite (Bologna) sono la Madonna della Neve nella chiesa di S. Leoluca a Vibo Valentia e la decorazione della cappella del monastero di Aversa in cui ha ora sede l'Ospedale psichiatrico, mentre resta assai problematico il riferimento, sia pure ad un momento iniziale, della Madonna in gloria di legno della cattedrale di Maiori.
Nella fase centrale e certamente più significativa della sua attività il C. fu dunque "il più marcato interprete, a Napoli, del gusto manieristico recato nell'area mediterranea dal Montorsoli" (Bologna). E però va pure tenuto presente che quasi mai la sua individualità appare del tutto emergente dal complesso coro di esperienze stilistiche (o forse è meglio dire di riflessioni formali) che, seguitando principalmente l'impulso dato da Diego de Siloe, Gerolamo Santacroce e Giovanni da Nola, determinò a Napoli, intorno alla metà del Cinquecento, un diffuso clima di gusto, caratterizzato peraltro anche dagli apporti di altre personalità di non minore rilievo; dal ricordato Gian Domenico d'Auria a Giannantonio Tenerello, al senese Bernardino del Moro, che si contesero la eccezionalmente imponente quantità di commissioni per opere di scultura che furono allora ordinate dalla nobiltà e dagli ordini religiosi napoletani.
Disiato (o Desiato), fratello del C., è ricordato da questo nel suo Diario particolarmente come collaboratore alla esecuzione delle tombe di Odetto di Foix e di Pietro Navarro in S. Maria la Nova, tra il 1552e il 1557.Da altri documenti (Filangieri, 1939) risulta autore, nel 1552, delle colonnette scolpite che formavano la loggia dell'antico palazzo reale di Napoli sulla facciata volta verso la contrada di S. Lucia: opera, questa, ora non più esistente. Quella di Disiato fu, evidentemente, una modesta personalità di artefice, confusa nell'ambito della bottega del Caccavello.
Fonti e Bibl.: Il diario di A. C., a cura di A. Filangieri di Candida, Napoli 1896;C. Tutini, De' Pittori,scultori… regnicoli, a cura di B. Croce, in Napoli nobilissima, VIII (1899), pp. 78 s.;B. De Dominici Vite dei pittori scultori... napoletani, II, Napoli 1743, pp. 1136-142;B. Capasso, Appunti per la storia delle arti in Napoli, in Arch. stor. per le prov. nap., V (1882), pp.176 ss.; VI (1883), p. 538;G. Filangieri, Indice degli artefici…, Napoli 1891, I, pp. 70-72, 429; B. Croce, A. C. scultore napoletano del XVI sec., in Napoli nobilissima, V (1896), pp. 177-189;G. Ceci, Per la biografia degli artisti del XVI e XVII sec., ibid., XV (1906), pp. 116-118;A. Venturi, Storia dell'arte italiana, X, 1, Milano 1935, pp. 774-788;R. Filangieri di Candida, Rassegna critica delle fonti per la storia di Castel Nuovo, in Arch. stor. per le prov. nap., LXIV (1939), p. 276 (per Disiato); O. Morisani, Giovanni Miriliano da Nola, ibid., LXVI (1941), pp. 319, 325; Id., Saggi sulla scultura napoletana del Cinquecento, Napoli 1941, passim; F.Bologna, Problemi della scultura del Cinquecento a Napoli, in Sculture lignee nella Campania (catal.), Napoli 1950, pp. 170-175; O. Morisani, La scult. del Cinquecento…, in Storia di Napoli, V, II, Napoli 1972, pp. 763 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 331 ss.