GIORDANO, Annibale Giuseppe Nicolò
Nacque ad Astalonga, frazione di San Giuseppe d'Ottajano (oggi San Giuseppe Vesuviano), il 20 nov. 1769 da Michele, medico nella corte di Ferdinando IV, e Maria Gaetana Tenore. Dimostrando una precoce vocazione agli studi, sia scientifici sia umanistici, a quattordici anni fu "condotto dal padre in Napoli e affidato alle cure dell'allora già famoso Nicolò Fergola" (Amodeo, II, p. 59). Appena trentenne, il Fergola era già un affermato matematico e didatta; vertice della scuola sintetica euclidea napoletana, nei primi anni Settanta aveva aperto uno studio nella città, destinato a divenire uno dei centri più prestigiosi dell'istruzione privata nel Napoletano.
Il G. mostrò presto il suo talento; già nel 1786 poté presentare - a conferma delle ricerche del Fergola sul valore universale della geometria analitica e la bontà del metodo esposto nel suo Nuovo metodo da risolvere alcuni problemi di sito e di posizione - una memoria alla Reale Accademia delle scienze di Napoli intitolata Continuazione del medesimo argomento (apparsa negli Atti della R. Accademia di scienze e belle lettere, Napoli 1788, pp. 139-155). Il lavoro gli fruttò un sussidio reale mensile e il diritto a partecipare alle sedute accademiche, ma il suo nome assunse risonanza nella comunità scientifica l'anno seguente, quando fu invitato a occuparsi della soluzione del cosiddetto problema di Cramer: "Inscrivere in una circonferenza un triangolo i cui lati passino per tre punti dati". Il G. risolse di slancio il problema, costato 36 anni di inutili ricerche a Giovanni Castiglione e infiniti tentativi a Anders Johan Lexell, con una "nitida sintesi" (Amodeo) che, esposta nelle sue Considerazioni sintetiche sopra di un celebre problema piano e risoluzione di alquanti altri problemi affini, "fece conoscere il valore di questo giovanetto in tutta Europa" (Amodeo - Cola, p. 11) accreditandolo come un "novello Pascal".
Il presidente della Società italiana delle scienze (Accademia dei XL), Anton Maria Lorgna, richiesto d'un giudizio, inserì il lavoro nel quarto volume delle Memorie della Società (1788, pp. 4-17), precisando la data in cui gli era pervenuto (2 ott. 1787) e l'età dell'autore ("solo sedici anni"). L'imprecisione sull'età accrebbe l'attenzione verso l'enfant prodige delle matematiche e ne diffuse rapidamente la fama, ma indusse anche in errore testimoni rigorosi quali il Croce, che porrà la sua nascita nel 1771. Solo nel 1912 il ritrovamento da parte di Silvio Cola dell'atto di battesimo del G. nell'archivio della parrocchia di S. Giuseppe in San Giuseppe Vesuviano, chiarì definitivamente che la nascita era da retrodatare (Amodeo - Cola, p. 9).
La risonanza europea della soluzione del problema di Cramer, noto da allora come problema del Giordano, risulta anche da quanto scritto nella Géométrie de position di Lazare-Nicolas Carnot: "Ottajano, à l'âge de seize ans, trouva non seulement une solution synthétique extrêmement élégante de ce Problème, mais il lui donna toute la généralité possible en l'appliquant aux polygones inscrits d'un nombre quelquonque de côtés" (p. 383). L'Amodeo e il Croce, nel ricordare questo luogo, chiarirono il perché dell'insolita citazione del nome del protagonista: "La memoria era intestata ad Annibale Giordano di Ottaiano: e ciò spiega come il Carnot, ed altri scrittori francesi dopo di lui, chiamino il Giordano col nome di Ottaiano!" (Amodeo - Croce, p. 255). Si aprirono così per il G. le porte delle maggiori istituzioni del Regno. Nel 1789 divenne professore nell'Accademia militare della Nunziatella, poi socio residente della Reale Accademia delle scienze, infine esaminatore per l'Accademia militare e l'Accademia di Marina. In questi riconoscimenti ebbe un ruolo il suo maestro, come chiarì l'anonimo (individuato da Amodeo nel monaco filoborbonico Luigi Telesio) estensore d'una Appendicetta all'Elogio di Niccolò Fergola, apparsa a Napoli nel 1836, dove si legge che il Fergola lasciò scritto "in un pezzuolo di carta, la quale io tengo e custodisco gelosamente", questa nota: "Quando io proposi al Collegio nostro militare D. Annibale Giordano, feci conoscere pubblicamente ai Francesi ed all'Alta Italia, che il più geometra insegnava fra noi. E con evitarvi il concorso liberai quel collegio da D. C… L… massimo scellerato" (Appendicetta, pp. 27 s.). Il "massimo scellerato" indicato con le sole iniziali era don Carlo Lauberg, scienziato, già frate e poi massone, di sette anni più anziano del G., che con lui condivise buona parte delle vicende cui andò incontro nella seconda parte della sua stagione napoletana. Nel 1790 i due aprirono a Napoli, al numero 2 del vico Giganti, un'Accademia di chimica e matematica, scoprendo in breve che "erano fatti per intendersi sopra un altro campo" (Amodeo - Cola, p. 12): quello delle nuove idee che dalla Francia cominciavano a giungere nel Regno.
In quei mesi il G. partecipò agli incontri organizzati nella sua casa alla Platea della Salata da Eleonora de Fonseca Pimentel, per leggere il Moniteur francese e "intrattenersi in lunghe conversazioni" sull'evoluzione della Grand Nation, dove "si stava ristrutturando una nuova società, ispirata ai principi di libertà, di uguaglianza democratica e di sovranità popolare" (Schiattarella, p. 122). Il portato culturale e politico della Rivoluzione del 1789 riempì d'entusiasmo i due matematici, che cominciarono a non vedere "il benessere all'infuori della libertà di pensiero, di studi e di azioni" (Amodeo - Cola, p. 12).
Così ben presto la scuola "nella quale si discutevano e promulgavano le teorie del chimico francese [Lavoisier] insieme alle idee giacobine" (Borrelli, p. 759), si trasformò in luogo di propaganda rivoluzionaria. Fu frequentata da Mario Pagano, Emmanuele De Deo, Francesco Lomonaco, Ettore Carafa e molti altri destinati a divenire i primi giacobini napoletani. "Primo accademico protettore" divenne, nel maggio 1792, il reggente della Gran Corte della Vicaria "ch'è quanto dire capo della polizia giudiziaria e politica del Regno di Napoli" (Nicolini, 1935, pp. 11-13), cioè Luigi de Medici, principe d'Ottajano, amico e protettore della famiglia del Giordano.
Nella prefazione ai Principii analitici delle matematiche di Annibale Giordano e Carlo Lauberg, pubblicati a Napoli nel 1792 (che, anche per gli avvenimenti che lo coinvolsero in seguito, furono l'ultima pubblicazione scientifica del G.), si leggeva: "Finalmente la Morale vien riguardata come l'analisi delle affezioni sviluppate dal bisogno e dei mezzi per dirigerle; e la Politica si ristringe al solo problema di trovare la soddisfazione dei nostri bisogni in quella dei bisogni pubblici. Quindi se la Fisica, se la Metafisica, la Morale, la Politica altro non sono che l'analisi degli effetti dell'attività della materia, della sensibilità dell'uomo, e della direzione di questa sensibilità relativamente al bisogno del medesimo, come la Matematica è l'analisi della quantità; essendo questa una scienza esatta, dovranno altresì tale riguardarsi le prime, quando si vogliono considerar senza mistero, e nel giusto punto di veduta" (Amodeo - Cola, p. 15).
Se, a giudizio del Nicolini, "nel maggio 1792, quale che fosse il loro estremismo teorico, il Lauberg e il Giordano miravano ancora, nel campo pratico, a un semplice temperamento della monarchia assoluta" (Nicolini, 1935, p. 14), "la successiva fase rivoluzionaria del [loro] pensiero" che, comunque, "non sembra presentare quella densità di riflessione che si può ritrovare in un Pagano, bensì piuttosto una forte matrice emozionale rispetto sia al clamoroso evolversi della situazione francese ed europea, sia agli entusiasmi e all'ardore degli amici più giovani", fu impressa soprattutto dal G. (cfr. Galasso, p. 517). Nel dicembre dello stesso 1792 giunse nel golfo di Napoli una flotta francese guidata dall'ammiraglio Louis de Latouche-Tréville, a seguito del mancato riconoscimento da parte della corte borbonica della Repubblica francese e del suo ambasciatore. Giunte nella capitale del Regno il 16 dicembre, al momento di far ritorno in patria le navi furono costrette da una tempesta a sostare in rada fino al 29 genn. 1793. Questa sosta forzata si trasformò in occasione di contatti tra l'ammiraglio giacobino e i patrioti napoletani. Tra i molti che salirono sulla "Languedoc", la nave del Latouche-Tréville, furono Antonio Jerocades, Giuseppe Cestari, il Lauberg e il G., col fratello Michele Girolamo.
Se "da questo contatto molto fermento passò dalle menti francesi nelle giovani menti napoletane" (Amodeo - Cola, p. 19), la trasformazione dei giovani illuministi in ardenti giacobini ebbe il suo primo riscontro nell'agosto dello stesso 1793 quando, nella cosiddetta cena di Posillipo, sul modello delle logge massoniche nacque una Società patriottica segreta. Da questa mosse il G. nel fondare (29 genn. 1794) il Club centrale dei giacobini, che presto si scisse in due: il Romo (repubblica o morte) presieduto da Andrea Vitaliano e il Lomo (libertà o morte) che, promosso dal G. insieme con Rocco Lentini, si proponeva di raggiungere la libertà con una riforma della monarchia in senso rappresentativo. Ma già il 21 marzo il doppiogiochista Donato Froncillo svelò la cospirazione; nell'immediata reazione borbonica sessantacinque giovani congiurati furono arrestati, e tra loro i fratelli Giordano, che rinchiusi nella torre del Castel dell'Ovo, fra il 3 e il 4 settembre tentarono la fuga. Michele Girolamo riuscì nell'intento mentre il G., ferito, fu ripreso la notte stessa. Cominciarono così i processi che portarono al G. una condanna di venti anni da scontare nel castello dell'Aquila, e mandarono al patibolo Emmanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani. A capo del tribunale era quel Luigi de Medici che aveva "allevato in casa" (Amodeo - Cola, p. 21) Michele Girolamo e Annibale Giordano. Per quest'amicizia e per un certo moderatismo - malvisto soprattutto da parte del suo avversario, il ministro John Acton - il de Medici, presto sospettato di collusione con i giacobini, finì egli stesso sotto processo e rimase prigioniero nel forte di Gaeta fino al 1798.
Si è molto discusso sul ruolo del G. in quei mesi. Numerose fonti lo indicano come uno dei più attivi delatori dei cospiratori, e il Colletta lo descrisse così: "professore di matematica, egregio per ingegno, malvagio per natura, usato e accetto in casa Medici" (Colletta, I, p. 179). Questo suo ruolo è stato molto ridimensionato dall'Amodeo (che pure prima, nel saggio Carlo Lauberg ed A. G., scritto con B. Croce, aveva parlato del "notissimo duplice tradimento del Giordano": p. 254) - e da Silvio Cola nella loro Riabilitazione. Secondo questi autori unica vittima della delazione del G. fu lo stesso Medici, obiettivo d'una azione mirante ad assicurare alla giustizia il "più astuto dei congiurati", che non aveva esitato a mandare al patibolo delle giovani vite pur di salvare la propria. I due autori della Riabilitazione giunsero a domandarsi perché biasimare il G. "che mirò a salvare tanti altri suoi compagni di fede" (p. 21). L'ipotesi è suggestiva, ma non possono essere ignorati testimoni come il Simioni (II, pp. 221 s.) che fanno ammontare a ben 259 i denunziati dal G. nelle deposizioni rese dopo l'arresto. In ogni caso egli passò quattro anni in prigionia, finché nel dicembre 1798 la colonna francese del generale Philibert-Guillame Duhesme conquistò l'Aquila. Fu il fratello Michele Girolamo, unitosi ai Francesi dopo la fuga da Napoli, a liberarlo. Così, al seguito del generale Jean-Étienne Championnet, il 23 gennaio il G. "venne in Napoli e fu veduto in Toledo a cavallo, armato, colla penna al cappello tricolorata" (Sansone, p. 317). Qui partecipò attivamente alla vita della Repubblica proclamata dai patrioti napoletani il 21 genn. 1799. Fu addetto al comitato militare, membro della segreteria di Guerra e del comitato rivoluzionario, poi capo della contabilità della Marina. Caduta la Repubblica nel giugno, fu di nuovo imprigionato e, dopo il mancato rispetto degli accordi di capitolazione da parte dei Borbone, rinchiuso in Castel Nuovo. Narrò poi il Colletta che, trovatosi in cella con altri diciotto (tra i quali Francesco Mario Pagano, Domenico Cirillo e Giuseppe Albanese), il G. di nuovo organizzò un tentativo di fuga che però fu sventato mentre già era "sul termine il lavoro [e] si rallegravano della speranza di libertà" (Colletta, II, p. 107).
Il 27 genn. 1800 fu condannato a morte dalla giunta di Stato, con sentenza confermata dal re. Il De Nicola, riportando la notizia nel suo Diario, tracciò un veloce profilo del G.: "costui fu il primo che s'intese arrestato quando cominciò a sentirsi parlare tra noi di Giacobinismo, e nella sua casa si teneva Glub [sic] sotto il nome di Accademia di chimica. Fuggì dal castello, indi fu causa prima dell'arresto di Medici, ora si finge matto nel castello" (p. 417). Tuttavia l'esecuzione del G., fissata per il 1° febbraio, non avvenne e fu commutata in prigionia nell'isola di Favignana, dove rimase fino al luglio 1801 quando, per il trattato di Luneville tra Napoleone e Ferdinando IV, fu data libertà ai detenuti politici.
I responsabili del fallimento del tentativo di evasione non sono mai stati individuati con certezza (Pietro Calà Ulloa negli Annotamenti al Colletta considerò una favola il tentativo stesso), né sono state chiarite le ragioni della mancata esecuzione della condanna capitale comminata al Giordano. Ancora il Colletta delineò un probabile scenario degli eventi riferendo che furono "due prigioni, lo stesso Annibale Giordano, provetto ne' tradimenti, e Francesco Bassetti, generale della repubblica, [a palesare] al comandante del forte le avanzate pratiche [per la fuga] in premio di salvezza. E difatti diciassette subirono infima sorte; i due vissero vita infame, corta il Bassetti, lunga e non misera il Giordano" (Colletta, II, p. 108). Anche Francesco Lomonaco definì i due "i soli vili che indultaronsi e scovrirono i patrioti occulti" (Lomonaco, p. 61). Amodeo e Cola, mancando documenti atti "a schiarir questo punto", hanno invece avallato la "tradizione che si conserva nel paese natio" (tratta dall'elogio del G. di N. Cottet), che lo disse salvato dal diretto intervento della regina Maria Carolina, "amante del padre di Annibale" (Amodeo - Cola, p. 23). Il Telesio considerò l'ipotesi inattendibile e immaginata dal Cottet, al quale così si rivolse: "avendo fantasticato tutta la notte, la mattina poi scrivendo e colla mente confusa, tante bubbole schiccaste non cautamente" (Appendicetta, p. 25).
Comunque non furono davvero "miseri" gli ultimi anni del G., che visse "rispettato e onorato" (Amodeo - Cola, p. 2) in Francia, dove l'aveva raggiunto il fratello Michele Girolamo; nel 1824 fu naturalizzato, e assunse il cognome Jourdan. Fu geometra capo del catasto del Dipartimento dell'Aube fino alla morte, avvenuta a Troyes il 13 marzo 1835.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Segreteria di Guerra, f. 640 bis; Napoli, Biblioteca della Società napoletana di storia patria, Indice dei processi dell'inquisizione dei rei di Stato dal 1792 sin dopo il 1795 (ff. 26, 85); Anonimo [L. Telesio], Appendicetta all'Elogio di Niccolò Fergola scritto da un suo discepolo, Napoli 1836. Nel primo anniversario della scomparsa del G. apparvero in Francia tre suoi elogi: uno dell'avvocato G. Neveu-Lemaire (Éloge de feu Annibal-Joseph-Nicolas Jourdan, géomètre en chef du cadastre… de l'Aube…, Troyes 1836), quello ricordato di N. Cottet (Extraits de l'éloge historique de m. A.-J.-N. Jourdan, géomètre en chef du Département de l'Aube, Troyes 1836) e uno di P.-N. Dupuis stampato unitamente al precedente. Vedi inoltre: P. Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, [Firenze] 1848, I, p. 179; II, pp. 107 s.; P. Calà Ulloa, Intorno alla Storia del Reame di Napoli di Pietro Colletta. Annotamenti, Napoli 1877, passim; M. Rossi, Nuovaluce risultante dai veri fatti avvenuti in Napoli pochi anni prima del 1799, Firenze 1890, passim (in part. pp. 221 ss.); F. Amodeo - B. Croce, Carlo Lauberg ed A. G. prima e dopo la Rivoluzione del 1799, in Arch. stor.per le provincie napoletane, XIII (1898), 1, pp. 251-257; A. Sansone, Avvenimentidel 1799. Documenti. Sentenze della giunta di Stato, Palermo 1901, pp. 316-319; F. Amodeo, Vita matematica napoletana, Napoli 1905, I, pp. 123, 132-136, 138, 144, 176 s., 184, 215; II, pp. 10-12, 45, 58-73, 69, 90 s., 93, 98 s., 106, 138, 173, 193 s., 196, 321, 346, 352, 356, 361; C. De Nicola, Diario napoletano dal 1798 al 1825, I, Napoli 1906, pp. 153, 272, 339, 360 n., 417, 419; F. Amodeo - S. Cola, La riabilitazione del matematico napoletano A. G., in Atti dell'AccademiaPontaniana, s. 2, XVII (1912), pp. 1-28; A. Simioni, La congiura giacobina del 1794 a Napoli, Napoli 1914, passim; Id., Le origini del Risorgimento politico dell'Italia meridionale, Messina-Roma 1925, II, pp. 199 s.; G.M. Monti - A. Zazo, Da Roffredo di Benevento a Francesco De Sanctis. Nuovi studi sulla storia dell'insegnamento superiore a Napoli, Napoli 1926, pp. 39-105; P. Pieri, Una pretesa cospirazione a Napoli nel settembre 1799, in Rass. stor. del Risorgimento, XIV (1927), pp. 488 ss.; N. Nicolini, Luigi de Medici e il giacobinismo napoletano, Firenze 1935, pp. 79-99 e passim; B. Croce, Varietà di storia letteraria e civile, Bari 1935, I, pp. 201-209; N. Nicolini, Le origini del giacobinismo napoletano, in Rivistastorica italiana, LVI (1939), 1, pp. 10 s.; L. Cagnazzi, La mia vita, a cura di A. Cutolo, Milano 1944, p. 3; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti, ricerche, Bari 1953, pp. 26, 207, 221, 223, 237 s.; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, I, Milano 1956, p. 184; S. 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