NINCHI, Annibale
– Nacque ad Ancona nel 1819 da Vincenzo e da Gesualda Ragni.
Appartenente a un’agiata famiglia borghese, completò gli studi laureandosi in legge all’Università di Roma. A 25 anni fece il suo ingresso nella Sacra Rota e nel consiglio di amministrazione della Banca romana, costituita nel 1835 da finanzieri francesi. Cospiratore e patriota come il fratello Ginesio, nel 1845 risultò fra i promotori nella città natale della congiura detta ‘di Rimini’, ma protezioni e aderenze altolocate lo salvarono da conseguenze giudiziarie.
Con l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni Maria Mastai Ferretti, la sua carriera politica poté dispiegarsi senza problemi. Dopo la trasformazione in senso costituzionale dello Stato pontificio, fu eletto al Consiglio dei deputati nel 1848 per il collegio di Acquapendente (Viterbo). All’indomani della fuga di Pio IX a Gaeta, difese le istanze di un liberalismo radicale propenso a trovare nel ricorso alla sovranità popolare la soluzione al vuoto di potere originatosi con la partenza del papa-re.
Promotore del circolo popolare romano, nella seduta parlamentare dell’11 dicembre 1848, affermò che, essendo cessata la «sovranità del pontefice» su cui si basava lo Statuto, il popolo doveva riacquistare i suoi «naturali diritti» e nominare, conseguentemente, i propri rappresentanti a suffragio universale (maschile) diretto (Assemblee del Risorgimento..., 1911, p. 223). Allo stesso tempo si oppose alla nomina della giunta di Stato e all’evoluzione rivoluzionaria da cui sarebbe nata la Repubblica romana. Collaborò con il moderato Terenzio Mamiani a un’iniziativa diplomatica nei confronti della Francia e a un’idea di ripristino del governo costituzionale pontificio da parte dei municipi e della guardia nazionale che si rivelarono vane. Successivamente si schierò con il comitato di guerra e partecipò alla difesa della Repubblica per poi riconvertirsi rapidamente, insieme ad Alessandro Orsi, alla causa monarchica.
Nel decennio successivo si dedicò all’attività legale, mentre, anche grazie a una fruttifera attività di allevamento di bestiame, la sua famiglia si segnalava fra le più in vista e benestanti di Ancona. Nel 1859 riapparve sulla scena politica, compiendo alcune missioni nelle Marche e in Alta Italia per conto del comitato nazionale unitario e sedendo nella giunta provvisoria di governo guidata per pochi giorni da Michele Fazioli. Dopo la liberazione delle Marche da parte delle truppe piemontesi e l’insediamento ad Ancona del commissario generale straordinario Lorenzo Valerio (1° ottobre 1860), fece parte della commissione municipale che in tempi brevi adottò le misure più urgenti e coerenti con il nuovo regime. Fu anche membro del comitato promotore dell’Ordine.Corriere delle Marche, il quotidiano anconetano voluto da Valerio come portavoce ufficiale del nuovo governo e quale bollettino per i decreti e gli atti della gestione commissariale.
Trasformato il suo studio legale in uno dei principali riferimenti di parte liberale moderata della vita pubblica anconetana, seppe sfruttare la congiuntura offerta dalle prime consultazioni politiche dell’Italia unita per conquistarsi un seggio alla Camera. Dopo l’opzione per il collegio di Torino da parte di Cavour, eletto deputato di Ancona il 27 gennaio 1861, riuscì a superare l’altro candidato liberale, il possidente Giovanni Bonomi, nella votazione suppletiva del 7 e 14 aprile dello stesso anno; fu dunque il primo deputato nazionale del capoluogo marchigiano.
Alla Camera sedette a destra, seguendo gli orientamenti cavouriani e, sulla base degli intendimenti espressi nel corso della campagna elettorale, partecipò attivamente ai lavori parlamentari. Fautore di una visione politica laica, favorevole a componenti essenziali della ‘città dorica’ quali la comunità ebraica e fornito di salda competenza giuridica e finanziaria, si distinse in aula sia per diversi progetti di legge – in particolare quello del gennaio 1862 sulle pensioni ai membri delle corporazioni religiose soppresse – sia per alcuni discorsi, fra i quali quello del 20 aprile 1863, relativo al bilancio del ministero di Grazia e Giustizia, con cui ribadì la necessità di una netta separazione tra Stato e Chiesa, e quelli del 10 e 11 febbraio 1865, con cui espresse, in chiave liberale e antistatalista, forti critiche nei confronti del nuovo Codice civile, ritenuto illogico, privo di valore scientifico e corruttore dei più autentici valori risorgimentali.
Secondo Ninchi, il nuovo testo esaltava «l’onnipotenza dello Stato» e riconsegnava al clero la funzione di guida morale della società, escludendo tra l’altro la possibilità del divorzio. Egli rigettava altresì la norma di ispirazione «vetero-patriarcale» che sottometteva il cittadino, fino al venticinquesimo anno d’età, al consenso dei «vecchi» nella scelta matrimoniale, e che ratificava la condizione di minorità giuridica della donna (Sul nuovo codice civile del Regno d'Italia. Discorso, Ancona 1865, p. 30).
Queste posizioni, proprie di una personalità brillante e combattiva che alternava prudente realismo a slanci riformatori, gli alienarono parte dei consensi nel notabilato locale e furono all’origine degli otto consecutivi, e fallimentari, tentativi di ritornare (fra 1865 e 1876) alla Camera, nella quale non venne più rieletto. Non riuscì a entrare nel Consiglio provinciale, mentre fino al 1877 fu membro del Consiglio comunale di Ancona.
In questo consesso si occupò degli interessi economici e imprenditoriali, penalizzati dall’abolizione del porto franco e dallo spostamento del baricentro delle attività marittime e commerciali in favore di Venezia; del diritto del capoluogo a utilizzare le acque del fiume Musone per il futuro acquedotto (proposta divenuta legge in Parlamento il 1° settembre 1865); dell’istituzione in città dei magazzini generali e della conseguente soppressione di tutti i depositi privati e doganali (posizione che lo portò a polemizzare con il sindaco Francesco Matteucci e con l’indirizzo monopolista della giunta municipale). Nell’ottobre 1872 propose l’abolizione dell’educazione religiosa nelle scuole. L’istanza, in un primo momento accolta, fu poi cassata dal Consiglio comunale scolastico, in maggioranza conservatore.
Clamorosa, e destinata a suscitare nuove polemiche, fu la posizione assunta nell’autunno 1876, in occasione della visita ad Ancona di Agostino Depretis. Al presidente del Consiglio ricordò che il municipio aveva coerentemente lavorato dopo l’Unità al progetto statale di fare di Ancona «un importante centro militare e mercantile col quale neutralizzare la concorrenza dell’Austria nell’Adriatico», ma gli eventi del 1866 e l’ingresso di Venezia nella comunità nazionale avevano mutato le strategie governative, circostanza che autorizzava, a suo dire, il dar luogo a una «specie di azione di danni a carico dello Stato» (Corriere adriatico, 4 e 5 agosto 1877).
Severo censore delle spese superflue, in quello stesso ottobre 1876 si espresse in Consiglio comunale contro l’incremento della tassa sul bestiame, suscitando critiche e discussioni per i suoi evidenti interessi in materia.
Morì di ‘violenta tifoide’, nella sua casa nel centro di Ancona, il 2 agosto 1877.
Non ebbe figli. Fu suo nipote il suo omonimo che diede origine a una discendenza di attori.
Fonti e Bibl.: Necr. in Corriere adriatico, 4 e 5 agosto 1877; Le Assemblee del Risorgimento, Roma, II, Roma 1911, pp. 223-225; M. Ciani - E. Sori, Ancona contemporanea 1860-1940, Ancona 1992, ad nomen; M. Severini, La rete dei notabili. Clientele, strategie ed elezioni politiche nelle Marche in età giolittiana, Venezia 1998, p. 118; Id., Protagonisti e controfigure. I deputati delle Marche in età liberale (1861-1919), Ancona 2002, pp. 15-18, 150; G. Santoncini, L'unificazione nazionale nelle Marche. L'attività del Regio commissario generale straordinario Lorenzo Valerio 12 settembre 1860-18 gennaio 1861, Milano 2008, pp. 152 s.; M. Severini, N.A., in Dizionario degli Avvocati di Ancona, a cura di N. Sbano, Ancona 2009, pp. 227-230; Le Marche e l’Unità d’Italia, a cura di M. Severini, Milano 2010, ad ind.; M. Guzzini, Passato quotidiano. Storia e storie del «Corriere adriatico» dal 1860 al 1914, Macerata 2011, pp. 72 s.; Storia di una trasformazione. Ancona e il suo territorio tra Risorgimento e Unità, a cura di G. Giubbini - M. Tosti Croce, Ancona 2011, p. 60.