Annibale (Anibale)
Figlio di Amilcare Barca, nacque a Cartagine intorno al 247 a.C. Assunto nel 221 il comando delle forze cartaginesi in Ispagna, proseguì l'opera di conquista della penisola iberica. Nel 219 prese e distrusse Sagunto, alleata di Roma già prima del 226. Dichiarata la guerra da parte dei Romani (218), A. lascia la Spagna, valica i Pirenei, attraversa a marce forzate la Gallia, supera le Alpi e scende in Italia.
Qui giunto attraverso il passo del Monginevra con audacia e ‛ orgoglio ', che D. ricorda in Pd VI 49-51 (Esso [il sacrosanto segno] atterrò l'orgoglio de li Aràbi / che di retro ad Anibale passaro / l'alpestre rocce, Po, di che tu labi), sconfigge gli eserciti consolari romani alla Trebbia e al Trasimeno (217), e finalmente a Canne, in Apulia (216).
A Canne l'esercito romano fu annientato: dei due consoli, Emilio fu ucciso; Varrone fuggì a Venosa. Il disastro di Canne trae dalla parte di A. Bruzi, Sanniti, Lucani e, sopra tutti, Capua.
Da Capua A. invia a Cartagine il fratello Magone, che, a testimonio della strage cannense, ordina, secondo il racconto di Livio (XXIII XII 1) di riversare nel vestibolo della curia gli anelli aurei, tratti dalle dita dei Romani caduti, dei quali " tantus acervus fuit, ut metientibus dimidium super tris modios explesse sint quidam auctores ".
La notizia delle moggia di anelli è riportata da D. con un esplicito richiamo al testo liviano (come Livïo scrive, che non erra), in If XXVIII 10-12, e più estesamente, ma senza indicazione della fonte, in Cv IV V 19. Sennonché, in quest'ultimo passo, il numero delle moggia espressamente indicato (avendo perduti tanti cittadini che tre moggia d'anella in Africa erano portati) e, innanzi tutto, l'accenno agli eventi, che seguirono in Roma alla sconfitta di Canne (panico, proposta di abbandonare l'Italia, opposizione decisa di Scipione), giustapposti e riuniti in unica successione, dimostrano che le fonti da cui D. attinge sono certamente diverse da quella liviana. Livio, infatti, riduce a uno il numero delle moggia (" fama tenuit, quae propior vero est, haud plus fuisse modio ", XXIII XII 2), e non mette in connessione quest'evento con gli altri: ciò che, invece, puntualmente accade in Orosio (Hist. IV 16), dove il numero delle moggia è stabilito a tre (così anche Agostino CIV. III 19) e dove al panico dei cittadini e alla volontà di lasciare l'Italia si contrappone l'atteggiamento risoluto di Scipione.
Ma, mentre A. estende fra il 213 e il 212 il proprio dominio sulle città dell'Italia meridionale, i Romani cominciano a riguadagnare il terreno perduto, e nel 211 riescono a occupare Capua, il cui assedio era continuato nonostante la marcia di A. fin sotto le mura di Roma.
A quest'incursione su Roma del duce cartaginese si oppose, secondo il racconto di Livio (XXVI XI, passato poi in Orosio IV 17, e in Agostino CIV. III 20), un violentissimo temporale, che D. ricorda in Mn II IV 9, a testimonio dell'intervento divino nella realizzazione dell'impero romano. Ancora una volta, e per espressa dichiarazione dell'autore, il testo dantesco si riferisce al racconto della guerra annibalica (così, e secondo il suggerimento del Vinay, va intesa l'espressione in Bello punto) com'è tramandato da Livio: " subita et intolerabili grandine perturbante victores victoriam sequi non potuisse Livius in Bello punico inter alia gesta conscribit ".
La conquista di Siracusa e l'alleanza con gli Etoli, sempre nel 211, assicurano il progressivo rovesciamento della situazione. Sicché, dopo il ristabilimento delle cose di Spagna (209-205) e dopo ancora la vittoria al Metauro (207), Publio Cornelio Scipione porta la guerra in Africa (205). Nel 203 Scipione investe Utica, e i Cartaginesi richiamano A. in patria. Lo scontro decisivo avvenne l'anno seguente (202) a Naraggara, presso Zama. La vittoria restò ai Romani; Cartagine fu costretta a chiedere la pace. Dopo la pace, A. si dedica all'opera di ricostruzione in patria, ma nel 195 è costretto ad abbandonare Cartagine dalle continue rimostranze romane. Esule alla corte di Antioco III, prima, e di Prusia, re di Bitinia, poi, si uccise nel 183 per sfuggire ai Romani, che ne chiedevano l'estradizione.
La vittoria romana del 202 è ricordata da D. in If XXXI 115-118 0 tu [Anteo] che ne la fortunata valle Í che fece Scipon di gloria reda, quand'Anibàl co' suoi diede le spalle, / recasti già mille leon per preda; mentre lo scontro diretto fra Scipione e A. è riferito in Mn II IX 18, a confermare quod romanus populus per duellum acquisivit Imperium: ergo de iure acquisivit (§ 21).
Un'altra citazione di A. si trova in Ep XI 21 Romam... nunc Annibali nedum alii miserandam.