VIVANTI, Annie
VIVANTI, Annie (Anna Emilia). – Nacque a Londra il 7 aprile 1866, dove il padre, seguace degli ideali mazziniani, si era rifugiato dopo i moti di Mantova del 1851. Fu figlia di Anselmo (1827-1890), patriota mantovano di origine ebraica, e di Anna Lindau (1828-1880), scrittrice tedesca, sorella dei letterati Paul e Rudolph, nota soprattutto per il volume di scritti di viaggio, A journey to Crete, Costantinople, Naples, and Florence: three months abroad (Londra 1865).
Vivanti, che aveva molti fratelli e sorelle – due in Giappone (Arnaldo e Ferruccio), un altro in Argentina (Anselmo Luis), una in Sud Africa (Eva) e i più vicini Luisa e Italo – visse dividendosi tra l’Italia, l’Inghilterra, la Svizzera e gli Stati Uniti, dove il padre, commerciante di seta, ricoprì il ruolo di presidente della Società dei reduci delle patrie battaglie e della Camera di commercio italiana di New York.
Si stabilì poi in Italia per studiarvi canto e, dopo aver vissuto alcune esperienze come artista di teatro, esordì nel mondo letterario con la raccolta poetica Lirica (Milano 1890), pubblicata da Treves con la prefazione di Giosue Carducci. L’opera riscosse subito un vasto successo e segnò l’inizio di un’intensa e duratura relazione professionale e sentimentale con Carducci, conosciuto nel 1889. Nel 1891 Vivanti pubblicò il primo romanzo, Marion artista di caffè-concerto (Milano). Quest’opera, che non ottenne il successo di critica sperato, contiene già in sé molte delle caratteristiche della sua successiva produzione: la capacità di concentrare nelle immagini il senso del racconto, la tendenza al tono lirico e la preferenza per una narrazione contenuta, più vicina al racconto che al romanzo.
Dopo il matrimonio con il patriota irlandese John Chartres nell’aprile del 1892, Vivanti visse a lungo tra Gran Bretagna e Stati Uniti, dando inizio a una fitta produzione in inglese di racconti (Perfect, 1896; En passant, 1897; Houp-là, 1897; A fad, 1899), romanzi (The hunt for happiness, 1896; Winning him back, 1904) e opere teatrali (That man, 1898; The ruby ring, 1900). Al periodo americano è legato anche un doloroso scandalo, scatenato dal suicidio di un giovane innamorato della scrittrice, Sidney Samuel, avvenuto a Portland nel dicembre del 1900.
Escluso il dramma La rosa azzurra, messo in scena intorno al 1899, la scrittrice si allontanò per qualche anno dalla letteratura in italiano. Fin dall’inizio del suo percorso furono evidenti la sua vocazione all’internazionalità e una particolare e composita formazione culturale. Se è possibile indicare nella poesia di Heinrich Heine e nelle suggestioni tardoromantiche, dal modello carducciano a quello riconducibile alla scapigliatura riscontrabili entrambi in Lirica e in Marion artista di caffè-concerto, i suoi principali riferimenti, è altrettanto evidente il piglio deciso e in parte fuori dal coro delle sue opere.
Vivanti trovò il successo di pubblico e di critica soprattutto grazie alla narrativa, realizzando opere al confine tra romanzo, autobiografia e moderno best seller, al cui successo contribuirono il costante riferimento a dati appartenenti alla propria biografia, una scrittura affinata grazie all’esercizio giornalistico e alle ricche relazioni intrattenute nella società intellettuale dell’epoca.
La figlia Vivien, nata a Torino il 25 giugno 1893, divenne una famosa violinista sotto la guida dell’autorevole maestro Otakar Ševčik. Anche grazie a quest’esperienza, Vivanti tornò alla letteratura, con il racconto The true story of a wunderkind (1905) e, in particolar modo, con The devourers, romanzo uscito in inglese nel 1910 e, l’anno successivo, in Italia, per Treves, il quale garantì all’autrice il successo e una nuova visibilità. Seguirono nuove edizioni con Quintieri, Bemporad e Mondadori, un vasto successo in tutta Europa e traduzioni in cèco, finlandese, olandese, polacco, romeno, spagnolo, svedese, tedesco e turco. Il romanzo, ripercorrendo la storia di una famiglia, affronta il tema del Genio destinato a ‘divorare’ anche chi più ama, motivo che trova in quest’opera un’interessante declinazione al femminile: il motivo è presente in Bygmestere Solness di Henrik Ibsen e in La course du flambeau di Paul Hervieu (A. Vivanti, I divoratori, a cura di C. Caporossi, con uno scritto di G. Brandes, Palermo 2008, pp. 525-533 e 529). I divoratori innovano il romanzo popolare e di grande consumo in termini mai banali, con una sapiente costruzione narrativa.
Fino a quel momento, in Italia, Vivanti aveva scritto per un pubblico circoscritto, ma con quest’opera conquistò un successo duraturo seppure non privo di critiche. Nel romanzo dipinse una storia scandita al femminile, con chiari riferimenti autobiografici, facendo sapientemente leva su sentimenti materni largamente condivisi. Gli eventi si susseguono fra continui colpi di scena, descrizioni ridotte al minimo, un particolare spazio dato alle emozioni e ai sentimenti espressi direttamente dai personaggi, senza filtri.
Dalla commedia al dramma, il continuo variare dei registri – al confine tra generi diversi – conferì una particolare cifra stilistica al romanzo, che ancora oggi resta una delle opere maggiori e più fortunate della scrittrice. In seguito si aprì per lei una nuova stagione artistica, segnata dal prevalere di toni realistici. Pubblicò nel 1912 Circe, il romanzo ispirato alla vicenda della contessa russa Maria Tarnowska, all’epoca considerata una vera e propria femme fatale, processata nel 1910 a Venezia come mandante dell’omicidio di uno dei suoi tanti amanti. Tra le sue opere si ricordano anche alcune fiabe per bambini (Sua altezza, 1924; Il viaggio incantato, 1935), novelle (le raccolte Zingaresca, 1918; Gioia!, 1921; Perdonate Eglantina, 1926) e scritti giornalistici che testimoniano l’impegno politico della scrittrice, schieratasi in più occasioni dalla parte delle nazionalità oppresse, convinta sostenitrice dei movimenti indipendentisti antinglesi. In Mea culpa (1927) denunciò il colonialismo inglese in Egitto a difesa delle rivendicazioni nazionalistiche, già sostenute con determinazione nel romanzo Terra di Cleopatra (1925), reportage dall’Egitto insorto contro il dominio inglese. Le sue opere riscossero un grande successo sia di pubblico sia di critica – si ricordano le recensioni di Benedetto Croce, Giuseppe Antonio Borgese, Georg Brandes e Paul Heyse – e furono poi tradotte in molte lingue.
Grande viaggiatrice, attenta testimone di diversi contesti culturali, appassionata osservatrice di Paesi e tradizioni europei e internazionali, Vivanti espresse un atteggiamento contraddittorio verso la natale Inghilterra, mentre sentì vicina la mentalità americana ed elesse l’Italia a patria ideale. Durante la prima guerra mondiale, prese posizione a favore dell’Italia sulle più importanti testate inglesi (The Times, Westiminster gazette, Nineteenth century), sposando la causa nazionalista negli anni successivi, vicina poi a Benito Mussolini nella prima fase del fascismo. Tali posizioni emergono negli scritti pubblicati su diverse testate, tra cui Il popolo d’Italia e L’idea nazionale. A fianco del marito, si batté in nome dell’indipendenza irlandese, prendendo parte alla delegazione inviata a Versailles nel 1919.
La guerra e l’impegno politico segnarono le opere di questi anni, dai drammi L’Invasore (1915), sul tragico tema degli stupri in Belgio durante l’occupazione tedesca – motivo presente anche in Vae victis! (1917) –, e Le bocche inutili (1918) – incentrato sul dissidio interno del protagonista fra il sacrificio in nome della patria e le ragioni personali – a Naja tripudians (1920), dove decisa è la denuncia contro la società corrotta del dopoguerra. Dal romanzo Vae victis!, inoltre, il regista Raffaello Matarazzo nel 1955 trasse il film Guai ai vinti! (con Pierre Cressoy, Lea Padovani, Anna Maria Ferrero, Clelia Metania; sceneggiatura di Achille Campanile, Matarazzo, Mario Monicelli, Piero Perotti, Giovanna Soria), ma ne spostò l’ambientazione dal Belgio all’Italia dopo la disfatta di Caporetto, e cambiò in modo significativo il finale.
Residente da anni in Italia, seguita dal segretario Luigi Marescalchi, Vivanti fu costretta ad affrontare le diverse fasi del regime fascista e nel 1941 il provvedimento di domicilio coatto ad Arezzo, poiché cittadina britannica. Per intervento di Mussolini poté tornare a Torino, ma il peggioramento della sua salute e la notizia della morte dell’amatissima Vivien, suicidatasi a Brighton nell’autunno del 1941, la portarono in breve tempo alla morte, poco dopo la sua conversione al cattolicesimo.
Marì a Torino il 20 febbraio 1942, e qui fu sepolta al cimitero Monumentale. Sulla lapide della sua tomba si leggono incisi i versi di una fra le più note poesie di Carducci, a lei dedicata: «Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori / glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie» (Ad Annie, in G. Carducci, Rime e Ritmi, a cura di L. Banfi, Milano 1987, p. 28).
Opere. Per la produzione americana della scrittrice si veda: Racconti americani, a cura di C. Caporossi, con una nota di A. Folli, Palermo 2005. Per la poesia si veda: Tutte le poesie, a cura di C. Caporossi, Firenze 2006. Quest’ultima opera è il frutto di un’ampia ricognizione archivistica, realizzata grazie ai materiali presenti all’Archivio Marescalchi, alla Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, a Casa Carducci, al Centro studi Piero Gobetti di Torino, all’Archivio storico della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, al Fondo Bemporad dell’Archivio Giunti, all’Archivio storico del Corriere della Sera, alla Biblioteca civica Mazzini della Spezia, all’Archivio centrale dello Stato, alla British Library di Londra, al Paul Getty Museum, alla Biblioteca Bavarese di Monaco, alla Biblioteca nazionale di Praga e all’archivio della nipote di Annie Vivanti, Vivien Anne Marie Alberti d’Enno. Nell’ambito del progetto Italian women writers della Chicago University sono state digitalizzate alcune opere liberamente consultabili (http://www.lib.uchicago.edu/efts/ IWW/).
Fonti e Bibl.: Per il rapporto con Carducci si veda P. Pancrazi, Un amoroso incontro della fine Ottocento, lettere e ricordi di G. Carducci e A. Vivanti, Firenze 1951; G. Carducci - A. Vivanti, Addio caro Orco, lettere e ricordi (1889-1906), a cura di A. Folli, Milano 2004. Per la bibliografia critica si vedano almeno: A. Urbancic, «L’invasore» di A. V., in Donna. Women in Italian culture, a cura di A. Testaferri, Toronto 1989, pp. 121-129; B. Pischedda, Ritratti critici di contemporanei: A. V., in Belfagor, 1991, vol. 46, n. 1, pp. 45-64; A. Urbancic, L’io-narrante autobiografico di A. V., in Campi immaginabili, 1991, n. 1-2, pp. 145-152; G. Venturi, Serpenti e dismisura: la narrativa di A. V. da «Circe» a «Naja tripudians», in Les femmes écrivains en Italie (1870-1920): ordres et libertés, a cura di E. Genevois, Paris 1994, pp. 307 s.; C. Caporossi, Per rileggere A. V., in Nuova antologia, 2002, vol. 137, n. 2221, pp. 269-292; A. Urbancic, Picturing Annie’s Egypt. «Terra di Cleopatra» by A. V., in Quaderni d’italianistica, 2006, vol. 27, n. 2, pp. 91-104; A.L. Lepschy, A. V. as self-translator: the case of «The Devourers» and «Circe», in The Italianist, 31 December 2010, vol. 30, pp. 182-190; S. Cavallucci, Dramma, satira e denuncia sociale: la guerra raccontata da A. V., in Fillide. Il sublime rovesciato: comico umorismo e affini, 2014, n. 9; N. Soglia, L’orrore degli stupri di guerra nelle opere di A. V., in altrelettere, 11 gennaio 2016; S. Wood - E. Moretti, Annie Chartres Vivanti: trasnational politics, identity and culture, Vancouver 2016.