Annullamento in Cassazione e statuizioni civili
L’art. 622 c.p.p. statuisce che la Corte di cassazione, nel caso in cui annulli le disposizioni o i capi riguardanti l’azione civile ovvero accolga il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvii gli atti al giudice civile. Nonostante l’apparente linearità della disposizione, essa, in realtà, tra previsioni che connettono effetti penali alle impugnazioni della parte civile ed una nutrita casistica che sfugge al suo campo di applicazione, nasconde una serie di insidie interpretative di difficile soluzione.
In base all’art. 622 c.p.p., se la Corte di cassazione annulla solamente le disposizioni o i capi riguardanti l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato – fermi restando ovviamente gli effetti penali della sentenza – rinvia, quando occorre, al giudice civile competente per valore in grado di appello anche se l’annullamento ha ad oggetto una sentenza inappellabile.
Tale disposizione, pur nell’apparente linearità, è particolarmente complessa ed ha dato luogo all’insorgere di indirizzi giurisprudenziali eterogenei su vari aspetti perché, oltre a dover essere coordinata con talune disposizioni che pure regolano gli effetti delle iniziative della parte civile, risulta in molti casi inoperante.
Richiamando una distinzione elaborata dalla dottrina nel codice 1930, ma ancora attuale, infatti, tra effetti restitutori e prosecutori, l’art. 622 c.p.p. deve anzitutto ritenersi inapplicabile in tutte le ipotesi in cui la Corte di cassazione debba annullare la sentenza per un error in procedendo che comporti la necessaria regressione del procedimento. Tali casi si presentano, ad esempio, quando il giudice di merito, pur avendo condannato l’imputato ai fini penali, abbia omesso qualunque decisione sulla richiesta di restituzione o di risarcimento del danno ovvero sulla liquidazione delle spese: trattandosi di omessa pronunzia e, dunque, di un difetto di motivazione che determina nullità ai sensi dell’art. 125 c.p.p., il rinvio della Corte dovrà avvenire necessariamente a favore del giudice penale1.
Al fine di delimitare l’effettivo ambito di applicazione della fenomenologia sottesa all’art. 622 c.p.p. occorre distinguere differenti situazioni.
2.1 Le impugnazioni della parte civile con effetti penali
Un primo gruppo di ipotesi che va delineato è quello nel quale l’art. 622 c.p.p. certamente non può trovare applicazione. Ad esso si ricollegano quelle previsioni che riconoscono all’impugnazione della parte civile anche effetti penali. Sebbene in seguito alle modificazioni apportate al regime delle impugnazioni ad opera della l. 20.2.2006, n. 46, sia stato abrogato l’art. 577 c.p.p. che consentiva alla persona offesa per i reati di ingiuria e diffamazione che si fosse costituita parte civile di impugnare la sentenza anche a fini penali, il danneggiato che abbia esercitato nel processo penale l’azione risarcitoria o restitutoria conserva ancora, in taluni casi, un potere di impugnazione esplicante effetti penali.
La prima ipotesi è quella di cui all’art. 38 d.lgs. 28.8.2000, n. 274 che, con riferimento al procedimento dinanzi al giudice di pace, statuisce che il ricorrente che abbia chiesto la citazione a giudizio dell’imputato a norma dell’art. 21 può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l’impugnazione del pubblico ministero. È ovvio come, in tale ipotesi, l’accoglimento del ricorso non renderà applicabile l’art. 622 c.p.p. in quanto esso determinerà un annullamento con rinvio del procedimento al giudice di pace.
Una seconda ipotesi nella quale, in ragione degli effetti penali che si riconoscono alla impugnazione della parte civile, l’art. 622 c.p.p. non opera è, invece, di creazione giurisprudenziale. Si tratta degli effetti dell’accoglimento del ricorso per cassazione ex art. 606 c.p.p. proposto avverso le sentenze di non luogo a procedere pronunciate in udienza preliminare dalla persona offesa costituita parte civile, secondo quanto previsto dall’art. 428, co. 2, c.p.p. Poiché, in base all’art. 652 c.p.p., la sentenza pronunciata in esito all’udienza preliminare non esplica alcun effetto extrapenale e, dunque, la parte civile non avrebbe alcun interesse a ricorrere per cassazione, la giurisprudenza, al fine di dare un significato alla previsione, ha riconosciuto che, in tali casi, il ricorso esplichi anche effetti penali. Ne consegue che, in caso di accoglimento dell’impugnazione, la Corte, nell’annullare la sentenza di non luogo a procedere, dovrà necessariamente disporre la trasmissione degli atti al tribunale cui appartiene il giudice dell’udienza preliminare che ha emesso la sentenza impugnata2.
2.2 L’impugnazione delle sentenze di condanna
Un secondo gruppo di ipotesi che deve essere esaminato al fine di verificare l’effettivo campo di applicazione dell’art. 622 è quello concernente le sentenze che abbiano condannato l’imputato. La lettura di tale disposizione, infatti, guida l’interprete a considerare separatamente l’impugnazione di una sentenza che sia stata annullata limitatamente alle sole disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile – e che, dunque, in base all’art. 538 c.p.p., abbiano affermato anche la responsabilità penale dell’imputato – dall’impugnazione della parte civile contro una sentenza di proscioglimento.
Al fine di delimitare con maggior precisione l’ipotesi in esame, si deve ancora osservare che, qualora accanto all’annullamento dei capi concernenti l’azione civile vi fosse anche quella dei capi penali – situazione che si verificherebbe qualora avverso la medesima sentenza vi fosse impugnazione del pubblico ministero o dell’imputato – con l’annullamento della decisione verrebbe anche disposto il rinvio degli atti al giudice penale e l’immanenza della parte civile ne determinerebbe la presenza in tale sede3.
Nel caso di sentenza di condanna l’eventualità di una scissione della regiudicanda civile rispetto alla regiudicata penale sembra ridursi, a ben vedere, a pochi casi che ricorrono allorquando sull’affermazione di responsabilità penale non vi sia più alcuna questione.
La prima ipotesi, piuttosto teorica (ma contemplata dall’art. 574, co. 1, c.p.p.), in cui un simile fenomeno potrebbe constatarsi, ricorre allorquando l’imputato proponga impugnazione solo contro i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno e contro la rifusione delle spese processuali: ove la Corte di cassazione accogliesse il suo ricorso, non potendo modificare gli effetti penali, dovrebbe rinviare gli atti al giudice civile4.
La seconda ipotesi, più concreta, si potrebbe prospettare nel caso in cui la parte civile abbia impugnato una sentenza che, pur avendo affermato la penale responsabilità dell’imputato, avesse escluso la responsabilità civile di quest’ultimo: l’eventuale accoglimento del ricorso della parte civile non intaccherebbe le altre statuizioni agli effetti penali e determinerebbe la prosecuzione del giudizio in sede civile.
La terza ipotesi, nella quale potrebbe operare la prevista trasmissione degli atti al giudice civile, è quella di un accoglimento del ricorso della parte civile riguardante il proprio concorso di colpa nella realizzazione dell’evento del reato in quanto, pure in tale situazione, non essendo implicati, ai sensi dell’art. 651 c.p.p., vincoli extapenali ulteriori rispetto a quelli della sussistenza del fatto e della sua illiceità, la valutazione del contributo causale alla realizzazione dell’evento può essere rimesso al giudice civile5.
Ponendo ora attenzione sulla seconda parte dell’art. 622 c.p., occorre mettere in luce come questo risulti oscuro non solo nella parte in cui prevede il rinvio degli atti al giudice civile nell’ipotesi dell’annullamento della sentenza di proscioglimento in seguito a ricorso della parte civile, ma anche nella parte in cui prevede che il rinvio possa essere disposto solo nella misura in cui occorra.
3.1. Le sentenze di proscioglimento
Al fine di rispondere a taluni degli interrogativi sollevati dall’art. 622 c.p.p., occorre preliminarmente interrogarsi su quali possano essere gli spazi riservati alla parte civile per coltivare un’impugnazione avverso una sentenza di proscioglimento dell’imputato.
A stretto rigore, infatti, si deve rilevare come, poiché l’interesse ad impugnare di cui all’art. 568, co. 4, c.p.p. non possa essere valutato in senso teorico o astratto richiedendo di essere misurato confrontando il contenuto della decisione impugnata con il possibile risultato conseguibile se la domanda esplicata con l’atto di impugnazione fosse accolta6, occorra tenere conto di due differenti situazioni a seconda della formula impiegata dalla sentenza di proscioglimento allorquando venga impugnata dalla parte civile.
Nell’ipotesi in cui la sentenza pronunciata in seguito a dibattimento ovvero in seguito a giudizio abbreviato accettato dalla parte civile sia di assoluzione dell’imputato con formula perché il fatto non sussiste o non lo abbia commesso ovvero perché lo stesso abbia agito nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, avendo essa efficacia di giudicato nel successivo giudizio civile ai sensi dell’art. 652 c.p.p., il danneggiato ha certamente piena legittimazione ad impugnare la decisione al fine di ottenere la rimozione dell’effetto preclusivo.
È evidente, tuttavia, come nell’evenienza considerata, l’art. 622 c.p.p. parrebbe inapplicabile. La parte civile che abbia impugnato una sentenza assolutoria con una formula che vincoli la successiva iniziativa in sede civile, infatti, al più potrà aspirare ad ottenere una pronuncia che elida gli effetti pregiudizievoli della sentenza assolutoria, consentendole di intraprendere il giudizio civile senza incorrere negli effetti vincolanti derivanti dal giudicato penale. Ciò in quanto all’accoglimento pieno della sua domanda in sede penale osta il principio contenuto nell’art. 538, co. 1, c.p.p.7, per il quale soltanto in caso di sentenza condanna il giudice si pronuncia anche sulla domanda per le restituzioni e sul risarcimento del danno. Un rinvio in sede civile al giudice di appello, in tale ipotesi, parrebbe, dunque, del tutto superfluo in quanto il danneggiato dovrebbe agire ex novo nella sede propria per far affermare la fondatezza delle sue pretese.
A tale riguardo, non può essere trascurato come la giurisprudenza non sembri seguire tale impostazione ed abbia affermato che la Corte di cassazione, nel caso in cui accolga il ricorso della parte civile e dunque annulli ai soli fini civili una sentenza di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento, possa rinviare al giudice civile competente in grado di appello. Tale devoluzione avverrebbe, di norma, senza condizionamenti di sorta e comprenderebbe sia il compito di accertare la fondatezza della pretesa risarcitoria sia, eventualmente, il quantum debeatur8.
Qualora, poi, la formula proscioglitiva fosse diversa da quelle considerate dall’art. 652 c.p.p., delineare un’ipotesi di trasmissione degli atti al giudice civile sembrerebbe ancora più arduo.
Va considerato, a tale riguardo, che, nel caso in cui la sentenza contenga una formula assolutoria che non esplichi effetti extrapenali, verrebbe a mancare un interesse concreto della parte civile a proporre ricorso per cassazione. Poiché, infatti, in tali casi, la decisione non pregiudicherebbe il successivo giudizio e, in base al principio di accessorietà contenuto nell’art. 528 c.p.p., la domanda per le restituzioni ed il risarcimento non potrebbe essere decisa, è chiaro che, quando l’imputato sia stato assolto con formula diversa da quelle di cui all’art. 652 c.p.p., la parte civile non ha interesse ad impugnare la sentenza di assoluzione. Ciò in quanto non può più ottenere – in assenza di una concorrente impugnazione del pubblico ministero – una pronuncia di condanna cui possa conseguire quella risarcitoria o restitutoria.
Si deve osservare, tuttavia, come, anche in questo caso, a diverse conclusioni si giunge seguendo un differente indirizzo affermato da una parte della giurisprudenza e di recente implicitamente avallato delle Sezioni Unite9. In base a tale orientamento, infatti, l’affermazione assolutoria dell’imputato, pur intangibile agli effetti penali, non impedirebbe ovviamente al danneggiato di ottenere comunque una dichiarazione della responsabilità dell’assolto ai fini penali per un fatto previsto dalla legge come reato. In tali ipotesi, evidentemente, poiché la parte civile avrebbe un interesse ad impugnare la sentenza ed a coltivare la sua iniziativa sino in Cassazione, la Corte, nel caso in cui accogliesse il ricorso proposto dal danneggiato, dovrebbe rinviare gli atti al giudice civile in applicazione la disposizione di cui all’art. 622 c.p.p.
3.2 La sentenza assolutoria pronunziata in seguito a declaratoria di estinzione del reato
La griglia delle situazioni in cui la previsione di cui all’art. 622 c.p.p. può trovare applicazione deve confrontarsi con le ipotesi nelle quali il giudice dell’impugnazione, in seguito ad impugnazione proposta dall’imputato, debba dichiarare l’estinzione del reato per amnistia o per prescrizione. In tale evenienza, infatti, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., la corte di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare la causa di estinzione, devono comunque decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili delle disposizioni e dei capi civili che concernono gli interessi civili.
Nell’ambito di tale previsione si possono ricondurre più ipotesi che richiedono di essere considerate distintamente.
La prima ricorre allorquando la causa di estinzione intervenga nel giudizio di cassazione instaurato a seguito di ricorso proposto dall’imputato avverso sentenza di condanna. In tale evenienza, parrebbe che la Corte non possa limitarsi a pronunciare la sopravvenuta causa di improcedibilità ai sensi dell’art. 129, co. 1, c.p.p. La previsione contenuta nell’art. 578 c.p.p., da un lato, ed il diritto al proscioglimento nel merito di cui all’art. 129, co. 2, c.p.p., dall’altro, inducono a ritenere, infatti, che l’accoglimento del ricorso produca conseguenze differenti a seconda del motivo ritenuto fondato.
Nell’ipotesi considerata, qualora la Corte rilevi un difetto di motivazione sulla responsabilità dell’imputato, mancando la possibilità di pervenire ad un definitivo accertamento intorno a tale punto, non potrà limitarsi ad annullare i capi civili della sentenza e a trasmettere gli atti al giudice civile scindendo la regiudicanda sui capi penali da quelli civili, ma dovrà annullare in toto la decisione e disporre la prosecuzione dinanzi al giudice penale affinché questo valuti il punto sul quale è intervenuta la censura10.
Diversamente, come è ovvio, avverrebbe nel caso in cui la Corte, esaminando nel merito il ricorso, rinvenisse un error in iudicando in relazione alla sussistenza della responsabilità civile da reato ovvero alla determinazione del danno in quanto, in entrambe tali ipotesi, la statuizione sulla responsabilità – sia pur ormai rilevante esclusivamente a fini civili – sarebbe intangibile e l’annullamento potrebbe colpire solo le statuizioni civili.
Qualora, poi, la causa di improcedibilità intervenisse nel giudizio di appello, occorre distinguere il caso della sentenza di secondo grado che abbia confermato la responsabilità (solo civile) dell’imputato da quella che, invece, l’abbia esclusa.
Nella prima evenienza, infatti, specularmente a quanto appena esaminato, l’imputato conserverebbe comunque la facoltà di proporre ricorso per cassazione anche agli effetti penali, non potendogli essere negato il diritto – implicitamente ammesso dall’art. 129, co. 2, c.p.p. – di ottenere il proscioglimento nel merito. Ne consegue che la Corte, qualora accogliesse il ricorso in punto di responsabilità, dovrebbe annullare la sentenza e rimettere gli atti al giudice penale; qualora lo ritenesse fondato in relazione alle sole statuizioni civili, dovrebbe annullare la decisione limitatamente a queste ultime e rimettere gli atti al giudice civile.
Diversamente, invece, nel caso in cui la corte di appello, in seguito ad impugnazione, riformasse la sentenza di primo grado ed assolvesse l’imputato: la parte civile, infatti, si troverebbe nuovamente nelle situazioni già considerate e, nella misura in cui la successiva impugnazione fosse ritenuta ammissibile (v. supra, § 3.1), la corte, nel caso di accoglimento del ricorso della parte civile, essendo ormai tutti gli effetti penali divenuti intangibili, nell’accogliere il ricorso, dovrebbe disporre il rinvio al giudice civile.
3.3 Il giudizio rescissorio
Le scarne indicazioni contenute nell’art. 622 c.p.p. lasciano irrisolti molteplici aspetti concernenti il giudizio rescissorio.
In base alla citata disposizione, infatti, anche se l’annullamento riguardi una sentenza penale inappellabile, deve essere disposto il rinvio dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale è chiamato a compiere il riesame della controversia nei limiti tracciati dal giudicato penale11. Esso, tuttavia, tace sui criteri per individuare il giudice ad quem, sulle regole di giudizio alle quali esso si dovrà attenere e sulle forme di introduzione del nuovo giudizio. Nel silenzio della legge, in dottrina, si ritiene che possano essere applicate le disposizioni contenute nel codice di procedura civile12.
Conseguentemente, per la determinazione della competenza per materia dovranno essere applicati gli artt. 10 ss. c.p.c. (ed occorrerà fare riferimento alle richieste formulate ai sensi dell’art. 523, co. 2, c.p.p. per stabilire la somma richiesta dall’attore); per quanto concerne quella territoriale dovrà farsi applicazione dell’art. 383 c.p.c.13 Anche per l’introduzione del giudizio rescissorio, in difetto di alcuna indicazione, occorrerà richiamare le norme del codice di rito e, in particolare, l’art. 392 c.p.c. in forza del quale la parte interessata al giudizio rescissorio dovrà riassumere con citazione la causa entro tre mesi dal deposito della motivazione della sentenza della Corte di cassazione14.
Quanto alle regole di giudizio che dovranno essere adottate nel processo civile, ragioni di coerenza inducono a ritenere che esse andranno ricavate dal codice civile e da quello di procedura civile. Sebbene siano state proposte in dottrina letture diverse15 e sebbene non sia del tutto priva di inconvenienti (a cagione della eterogeneità dei mezzi di prova consentiti nelle due sedi e delle diverse regole di giudizio previste dai due codici di rito), tale soluzione è quella seguita dalla giurisprudenza la quale considera quello di rinvio avanti al giudice civile designato ai sensi dell'art. 622 c.p.p. come un giudizio civile di rinvio del tutto riconducibile alla normale disciplina di quella espressa dagli art. 392 ss. c.p.c.16
==Note==
1 Così Cass. pen., 16.1. 2013, n. 13713; Cass. pen., 7.12.2012, n. 5764 (entrambe in relazione ad ipotesi di omessa motivazione sui motivi); Cass. pen., 24.1.2013, n. 7519 (in un caso di omessa decisione sulle spese). In dottrina, cfr. Lavarini, B., Azione civile nel processo penale e principi costituzionali, Torino, 2009, 150.
2 Cass. pen., 4.2.2008, n. 21735. Sul punto, volendo, Diddi, A., L’impugnazione per gli interessi civili, Padova, 2011, 181-183.
3 Cass. pen., 21.4.1997, Cii.
4 Ancora Diddi, A., op. cit., 276.
5 Bargi, A., Il ricorso per cassazione, in Gaito, A., a cura di, Le impugnazioni penali, II, Torino, 1998, 653; sul punto cfr. Dinacci, F.R., Il giudizio di rinvio nel processo penale, Padova, 2002, 233.
6 Cass. pen., 22.1.2003, n. 23114; Cass. pen., S.U., 21.6.2012, n. 35599.
7 Così Cordero, F., Procedura penale, IX ed., Milano, 2012, 1166.
8 Cass. pen., 30.1.2013, n. 11994; Cass. pen., 11.7.2012, n. 35922.
9 Cass. pen., S.U., 20.12.2012, n. 6509; conf. ex multis, Cass. pen., 23.1.2003, n. 13326; contra, tra le tante, Cass. pen., 30.11.2001, n. 11990.
10 Così, Cass. pen., 6.6.2012, n. 26863; Cass. pen., 27.2.2008, n. 15653; contra, però, nel senso che, in tali casi, sarebbe possibile un duplice annullamento, senza rinvio a fini penale e con rinvio ex art. 622 c.p.p. a fini civili, pare la giurisprudenza prevalente: ex plurimis, Cass. pen., 29.11.2011, n. 886; Cass. pen., 22.3.2011, n. 17100.
11 Cass. civ., 14.7.1997, n. 6416.
12 Su tali aspetti, cfr. Diddi, A., op. cit., 278 ss.
13 In proposito, nel vigore del codice 1930, Petrella, G., Le impugnazione nel processo penale. Trattato teorico pratico, II, I singoli mezzi di impugnazione, Milano, 1965, 530; oggi, Bargi, A., op. cit., 654; contra, però, Dinacci, F.R., op. cit., 239.
14 Cfr. Cass. civ., 12.6.1997, n. 5287.
15 Lavarini, B., op. cit., 157, secondo la quale il giudizio di rinvio dovrebbe essere trattato e deciso con le forme del giudizio penale.
16 Cfr. Cass. civ., 9.8.2007, n. 17457, che ha esaminato la valenza indiziaria dei dati raccolti alla stregua dell’art. 2729 c.c. ed ha utilizzato come criteri di valutazione di ammissibilità del successivo ricorso proposto avverso la sentenza pronunciata nel giudizio rescissorio quelli propri del processo civile.