GIUSTINIANI (Giustiniani Moneglia), Ansaldo
Nacque nel 1502 a Chio la colonia del Levante della Maona dei Giustiniani, da Baldassare di Ansaldo di Lancellotto. Si ignora il nome della madre del G.: in tutti gli alberi genealogici è lasciato uno spazio bianco tratteggiato, probabilmente perché non nobile. Ebbe cinque fratelli: Stefano, Giovan Battista, Gerolamo, Francesco e Pietro.
Il G. apparteneva a uno dei due rami Moneglia confluiti nella famiglia Giustiniani, quello vecchio degli "artefici guelfi" arrivati a Genova da Moneglia, nella Riviera di Levante, all'inizio del Trecento.
Tra Chio, Genova e Pavia, il G. conseguì un'ottima preparazione nelle lettere greche e latine; poi completò brillantemente e rapidamente gli studi di legge a Padova, così da essere iscritto già nel 1526 al Collegio dei giudici nell'ateneo di Genova. Mise a frutto l'uso raffinato della lingua latina, di cui andava fiero, nelle importanti ambascerie che gli furono affidate fin dalla giovinezza, nei discorsi ufficiali e, più tardi - negli anni dell'introduzione a Genova dell'Inquisizione postridentina -, anche in dispute di ermeneutica biblica. Proprio il prestigio culturale e giuridico nonché un legame diretto con Carlo V, di cui era consulente in materia di diritto, dovettero consentirgli, nell'ambito politico cittadino, uno spazio super partes, di equilibrata autonomia anche nei confronti del pur ammirato Andrea Doria. Questo atteggiamento del G. troverà il riconoscimento più significativo nel 1547, in uno dei frangenti più drammatici della congiura dei Fieschi contro i Doria.
La notte tra il 2 e il 3 gennaio, con la città sconvolta al diffondersi della notizia dell'uccisione di Giannettino Doria, il Senato, riunito in emergenza, affidò a sei cittadini il compito di ritrovare Gian Luigi Fieschi, scomparso e di cui si sospettava la morte. Il G. era uno dei sei, con Ettore Fieschi, Agostino Lomellini, Ambrogio Spinola.
Nel bel racconto del Bonfadio, annalista ufficiale della Repubblica, i sei, arrivati con molta gente armata nella piazza di S. Siro, mandarono un drappello in avanscoperta a Girolamo Fieschi per chiedergli notizie sicure sul destino del fratello e per parlamentare con lui. Girolamo, sopraggiunto "tutto furibondo", prima attaccò con i suoi uomini il gruppo dei sei ambasciatori ferendo il Lomellini, quindi, riconosciuti Ettore Fieschi e il G., accettò di parlare solo con loro, allontanandosi poi dalla città con i suoi "satelliti".
Altri importanti mediatori, il Pansa in primo luogo, subentreranno nei giorni successivi e altre decisioni matureranno da parte del Senato, condizionato da Andrea Doria, come da parte dei fuorusciti Fieschi, ma nel clima concitato delle prime ore forse fu proprio l'intervento del G. e di Ettore Fieschi a impedire il precipitare della situazione in una drammatica guerra civile.
L'autorevolezza del G. poggiava ormai su almeno quindici anni di importanti incarichi diplomatici. Il primo risaliva all'ottobre 1533, presso il papa Clemente VII diretto a incontrare a Marsiglia, scortato da una flotta di 24 galee francesi, il re Francesco I.
In un momento di tregua del conflitto franco-asburgico, e di proclamata volontà di riconciliazione di Francesco I anche con Genova, il governo volle omaggiare in modo vistoso il viaggio del papa: perciò furono inviati a Portovenere per solenni accoglienze quattro ambasciatori di prestigio: con il G. erano Iacopo Grimaldi, Vincenzo Pallavicino, Francesco Doria Invrea. Di nuovo, all'annuncio sicuro della tregua sottoscritta tra la Francia e Carlo V alla fine del 1537, il G. fu inviato all'imperatore per difendere gli interessi di Genova nel corso dei negoziati.
Il 2 dic. 1537 le istruzioni-memoriale furono consegnate al G., che rimase lontano da Genova tre anni (con un intervallo tra il marzo e il giugno 1538), passando per Parigi e rimanendo, tra il gennaio e il luglio 1540, a Bruxelles e a Gand, al seguito della corte imperiale. Dall'ultima sede, con una lettera del 3 apr. 1540, il G. riferiva con rammarico che alcuni banchieri genovesi avevano rifiutato immotivatamente un prestito a Carlo V, nonostante l'elevato interesse offerto dall'imperatore. Rientrato a Genova, dopo l'intervento mediatore attuato la notte della congiura dei Fieschi, il G. dovette avvicinarsi ulteriormente al vecchio Doria, apprezzandone sempre più la personalità. Nel 1553 il principe-ammiraglio ottantacinquenne assunse la conduzione delle operazioni in Corsica per recuperare l'isola, ribellatasi sotto la guida di Giordano Orsino e di Giampiero Corso, militarmente aiutati dalla Francia.
Fu il G., in quell'occasione, a pronunciare l'orazione ufficiale per la consegna dello stendardo nella solenne messa in cattedrale. L'orazione, stampata a Genova nel 1553, di cui esistono almeno due copie, sfrutta lo stereotipo del difensore della libertà della Repubblica per proclamare Doria eroico conservatore e protettore di Genova.
Ancora con Ettore Fieschi, cui sembra vicino per collocazione politico-culturale, il G. fu impegnato in ambascerie tra il 1556 e il 1558: i due furono infatti inviati a Roma, con Giacomo Lercari e Battista Grimaldi, per le congratulazioni al nuovo pontefice Paolo IV. Nelle istruzioni ai quattro ambasciatori, come nella corrispondenza, che prosegue con il solo G. dall'agosto 1556 al settembre 1558, emergono tuttavia le preoccupazioni della Repubblica per la politica internazionale del nuovo pontefice e per le sue intransigenti posizioni teologiche. Alla notizia, prontamente fornita dal G. al suo governo, di una grave malattia che, nel settembre 1558, sembrava mettere a rischio la vita del papa, il G. fu sollecitato a rimanere a Roma per l'Indice dei libri proibiti. All'incarico dovette rispondere con l'abituale zelo, se il 31 marzo 1559 il cardinale Antonio Ghislieri (il futuro Pio V era stato lettore di teologia a Genova), nella lettera all'inquisitore di Genova per congratularsi dell'"obbedienza" della città, finalmente raggiunta dopo gli esempi di falò di libri proibiti operati a Milano, Venezia e Napoli, si lamentava del G. deridendone le pretese capacità di latinista e di interprete di testi sacri.
Nell'estate del 1559 il G. dovette rientrare a Genova, ma a Roma ritornò in ambasceria per l'elezione papale del Ghislieri, avvenuta a sorpresa il 7 genn. 1566: con Simone Spinola, Battista Cattaneo e Nicolò Doria, il G. ricevette le istruzioni il 29 aprile; la permanenza questa volta fu limitata al periodo maggio-giugno e alle congratulazioni di rito. Fu l'ultimo impegno pubblico documentato del G., che non figura neppure nello scontro politico tra nobili vecchi e nuovi del 1575 (furono pochi, a differenza di altre famiglie, i Giustiniani coinvolti) che avrebbe portato, con gli accordi di Casale del 1576, alla ricomposizione del gruppo dirigente della Repubblica.
Stilò il suo ultimo testamento il 3 ag. 1591 presso il notaio Innocenzo Carretto e morì a 94 anni, a Genova, nel 1596; fu sepolto nella chiesa di S. Maria di Castello. La lapide, nella navata destra, fu restaurata dai nipoti nel 1632.
Sposato con una Giustiniani, Battina di Bernardo, ebbe sei o sette figli maschi (Marcantonio, Fabrizio, Fabio, Benedetto, Orazio, Camillo e, forse, Vincenzo), tutti sacerdoti tranne Marcantonio e Camillo che proseguirono la discendenza. Il primogenito di Marcantonio, omonimo del G., nel 1643 presentava ricorso per l'ascrizione alla nobiltà.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss., 494, c. 44; Fidecommisseria Giustiniani, 275 bis/1; Genova, Biblioteca universitaria, Mss., C.VIII.16: Alberi genealogici Giustiniani (senza numerazione di pagine); Ibid., Biblioteca civica Berio, Mss. e rari, X.2.168: A. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 479; J. Bonfadio, Annali di Genova, II, Brescia 1759, pp. 167, 263, 373, 377; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, p. 585; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1854, p. 488; R.A. Vigna, Illustrazione storica, artistica ed epigrafica di S. Maria di Castello, Genova 1864, p. 285; L. Isnardi, Storia dell'Università di Genova, Genova 1864, pp. 40, 59; Spigolature, in Giorn. storico e letterario della Liguria, V (1904), p. 71; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1922, pp. 454, 494, 663; V. Vita-le, Diplomatici e consoli della Repubblica di Geno-va, in Annuario della Società ligure di storia patria, LXIII (1934), pp. 6 s., 108; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, pp. 275, 280; C. Cattaneo Mallone, La nobiltà genovese, in Storia dei Genovesi, V, Genova 1989, p. 262; A. Pacini, La Genova di A. D'Oria nell'impero di Carlo V, Firenze 1999, pp. 313 s., 496.