Ansia
L'a. è uno stato psicologico dell'essere umano sperimentato in relazione a pericolo reale o potenziale, immediato o imminente. Si manifesta con sintomi fisici, psichici e con evitamento; è considerata un meccanismo attraverso il quale gli individui si adattano a diverse condizioni ambientali (Gross, Hen 2005). L'importanza funzionale dell'a. presuppone l'esistenza di un suo definito substrato neuroanatomico e neurofisiologico. L'informazione sensoriale associata allo stimolo ansiogeno viene trasmessa dalle vie sensoriali esterne e viscerali al talamo per giungere alla porzione basolaterale dell'amigdala attraverso due circuiti neuronali paralleli: una via rapida sottocorticale diretta proveniente dal talamo dorsale; una via lenta corticale che comprende la corteccia somatosensitiva primaria, l'insula, il giro del cingolo anteriore/corteccia prefrontale (LeDoux 2000). I disturbi d'a., di panico, fobici, ossessivi, postraumatici, classificati secondo il Diagnostic and statistical manual of mental disorders, sarebbero il risultato di uno squilibrio nel controllo del circuito corticale rispetto a quello sottocorticale. Uno dei principali fronti di ricerca ha riguardato l'ansia di tratto, intesa come tendenza dell'individuo a provare l'a. sia in condizione di stress sia di non stress, e gli stati emotivi negativi correlati. L'a. di tratto, considerata anche sinonimo di neuroticismo, costituisce uno dei cinque grandi fattori della personalità (i cosiddetti big five della letteratura anglosassone).
Negli anni Ottanta e Novanta del 20° sec., sulla base di ampi studi su gemelli mono- e dizigoti, allevati insieme o separatamente, si concluse che a fattori genetici fosse ascrivibile approssimativamente il 31% delle differenze individuali sull'a. di tratto. Oltre al significativo contributo della trasmissione genetica, si era ipotizzato che i soggetti con alta a. di tratto mostrassero una più intensa reattività fisiologica dei soggetti con bassa a. di tratto, specie in condizioni di stress. Si è osservato che il gruppo dei soggetti con bassa a. di tratto comprendeva un significativo sottogruppo con accentuato stile di difesa, costituito dai cosiddetti repressori (identificabili con scale di personalità). Così, per es., i livelli di cortisolo salivare in condizioni di stress non differivano fra soggetti con alta o bassa a. di tratto; una volta però scorporati i repressori, i veri soggetti con bassa a. di tratto riportavano livelli di cortisolo significativamente inferiori ai soggetti con alta a. di tratto.
Contemporaneamente a questa importante differenziazione fra veri e apparenti soggetti con bassa a. di tratto, si è proceduto con l'investigarne le basi cognitive, identificando negli individui con alta a. di tratto fattori attentivi (attenzione preferenzialmente verso stimoli minacciosi) e interpretativi (interpretazione in modo minaccioso di situazioni e stimoli ambigui). La tendenza a ricordare preferenzialmente informazioni allarmanti (fattore mnestico) è risultata più fortemente presente nel caso della memoria implicita (che non passa cioè per la coscienza), che in quello della memoria esplicita (Williams, Watts, MacLeod et al. 1988). Una notevole mole di dati supporta l'associazione dell'a. di tratto con queste tendenze cognitive (bias). Sono anche stati effettuati con successo esperimenti di manipolazione dei bias cognitivi, che hanno provato come questi ultimi possano produrre l'a., e non soltanto accompagnarsi a essa.
In altre parole, si è riusciti ad andare oltre il livello degli studi correlazionali, affacciandosi al livello degli studi causali. Sul piano teorico, è da segnalare la formulazione da parte di M. Eysenck (2004) di una teoria quadrifattoriale dell'a. di tratto, in cui sono riconosciute quattro distinte fonti di informazione: 1) ambiente esterno, 2) propria attività fisiologica (per es., il battito cardiaco), 3) proprio comportamento, 4) rappresentazioni dei possibili eventi futuri negativi. Secondo questo approccio innovativo, i soggetti con alta a. di tratto sarebbero caratterizzati, specie in circostanza stressante, da bias attentivi e interpretativi in tutti e quattro i fattori menzionati. I repressori, invece, avrebbero bias di segno inverso, ossia tenderebbero a evitare di rendersi conto di stimoli minacciosi, se concomitanti a stimoli neutri, e a interpretare in modo non pericoloso situazioni ambigue; i repressori sarebbero, cioè, individui che minimizzano i rischi della situazione (esterna o interna) con cui sono confrontati. Le persone con bassa a. di tratto sarebbero immuni da bias attentivi o interpretativi. Secondo la teoria di Eysenck, al prevalere dei singoli fattori corrispondono forme cliniche diverse dei cosiddetti disturbi d'a.: ai bias cognitivi per gli stimoli ambientali corrispondono le fobie specifiche (verso animali, cose, situazioni); ai bias cognitivi verso sintomi fisiologici propri il disturbo di panico; ai bias verso il proprio comportamento la fobia sociale; ai bias verso possibili eventi negativi futuri, il disturbo ossessivo-compulsivo (specie nella forma in cui il soggetto esagera le terribili conseguenze dei propri atti).
Il disturbo d'a. generalizzata, in questo modello, sarebbe costituito dalla coesistenza di tutti o quasi i bias elencati, mentre i repressori potrebbero essere inquadrati nell'ambito di un tentativo di autoterapia. Alcuni esperimenti indicano come la processazione dell'informazione ansiogena nei repressori avvenga in due fasi: dapprima avrebbe luogo un'interpretazione dello stimolo ambiguo nei termini di pericolo (con conseguente attivazione fisiologica e comportamentale), seguita subito dopo da una fase di evitamento (che determinerebbe il mancato divenire coscienti della pericolosità dello stimolo). Anche modelli cognitivi differenti da quello di Eysenck distinguono fra due vie di processazione della paura/ansia, distinguendo, per es., una via automatica (che porterebbe all'attivazione fisiologico-comportamentale) e una schematica, basata su rappresentazioni complesse (che sarebbe responsabile della risposta evitante).
L'evidenza sperimentale depone per un bias attentivo verso stimoli minacciosi, grazie al quale il soggetto si accorgerebbe del pericolo e attiverebbe le conseguenti risposte autonomiche e motorie, prima di esserne cosciente. D'altra parte, il ruolo causale dei bias attentivi nel determinismo dell'a. di tratto è stato posto in discussione da modelli cognitivo-motivazionali, che ascrivono alla valutazione/interpretazione della pericolosità dello stimolo il ruolo causale primario; pur essendo aperta una vivace dialettica sull'argomento, i risultati sperimentali sembrano accreditare un ruolo primario ai bias interpretativi su quelli attentivi (Wilson, MacLeod 2003).
Nella vasta letteratura sui disturbi d'a., va segnalato un dato sull'interazione gene-ambiente: i bambini maltrattati tendono a sviluppare in età adulta disturbi ansioso-depressivi, ma questa tendenza viene a mancare se i bambini sono portatori di una variante allelica del gene codificante per il trasportatore della serotonina (Caspi, Sugden, Moffitt et al. 2003). In pratica, una certa configurazione genetica svolgerebbe una funzione protettiva rispetto all'influenza di fattori di rischio psicosociali, come il maltrattamento infantile. Tecniche di risonanza magnetica funzionale nell'uomo e istochimiche sull'animale consentono di precisare meglio le strutture cerebrali maggiormente coinvolte nelle reazioni di ansia-paura.
bibliografia
J.M. Williams, F.N. Watts, C. MacLeod et al., Cognitive psychology and emotional disorders, Chichester (England) 1988, 19972.
J.E. LeDoux, Emotion circuits in the brain, in Annual review neuroscience, 2000, 23, pp. 155-84.
A. Caspi, K. Sugden, T.E. Moffitt et al., Influence of life stress on depression: moderation by a polimorphism in the 5-HTT gene, in Science, 2003, 301, pp. 386-89.
E. Wilson, C. MacLeod, Contrasting two accounts of anxiety-linked attentional bias: selective attention to varying levels of threat intensity, in Journal of abnormal psychology, 2003, 112, pp. 212-18.
M. Eysenck, Trait anxiety, repressors and cognitive biases, in Cognition, emotion and psychopathology, ed. J. Yiend, Cambridge 2004, pp. 49-67.
C. Gross, R. Hen, The developmental origins of anxiety, in Nature reviews neuroscience, 2005, 5, pp. 545-52.