Ansia
Affine all'angoscia, cui l'unisce anche l'etimologia (viene dal latino tardo anxia, derivato di anxius, "ansioso", a sua volta da angere, "stringere"), l'ansia è uno stato psicologico che dal punto di vista soggettivo comporta sensazioni spiacevoli e minacciose, con effetti di diminuzione o scomparsa del controllo volontario e razionale della personalità. Si accompagna a modifiche fisiologiche e a reazioni comportamentali che generalmente hanno la funzione di evitare le emergenze ansiogene. Esistono, accanto a quelle di tipo psicopatologico, altre ansie che vanno intese come un sentimento primario, primordiale, connesso per essenza all'essere umano, dato con esso. Anche negli animali si verificano simili stati comportamentali, associati a modifiche fisiologiche tipiche delle risposte di fuga o di lotta. Numerosi studi sperimentali hanno messo in luce gli aspetti biologici, i meccanismi di apprendimento e i processi cognitivi implicati nelle manifestazioni d'ansia.
I.
L'ansia, che si tratti di uomini o di animali, ha valenze positive, in quanto rappresenta un campanello d'allarme nei confronti di situazioni potenzialmente nocive e induce reazioni dell'organismo e comportamenti adatti a fronteggiare eventi e dinamiche ansiogene. Evitare o sfuggire alle situazioni negative, cioè a quelle che generano ansia, rappresenta un comportamento adattivo utile in termini di sopravvivenza della specie. Tuttavia nell'uomo, ma anche negli animali, l'ansia trapassa spesso dai suoi aspetti adattivi, cioè utili, ad altri non adattivi, in quanto le reazioni ansiose vengono generalizzate a una serie di situazioni 'neutre'. Solitamente sono l'ambiente e gli stimoli che provengono dall'esterno a provocare l'ansia, però in alcuni casi essa può avere origine da stimoli interni - per es., un'accelerazione o una decelerazione del ritmo cardiaco, un aumento dell'acido lattico o dell'anidride carbonica - che non sono connessi a una reale situazione di rischio, ma innescano reazioni ansiose. È per tali motivi che i ricercatori studiano l'ansia a livello animale: gli studi comparati possono infatti non solo gettare luce sui segnali interni ed esterni che inducono le reazioni d'ansia e sui meccanismi psicobiologici coinvolti nei comportamenti ansiosi, ma anche sui trattamenti farmacologici che possono ridurre le reazioni d'ansia e quindi spezzare un circolo vizioso in cui lo stato d'ansia viene esteso a situazioni non ansiogene o a tutti i vissuti di un individuo.
2.
Lo studio degli stati d'ansia negli animali è legato a due tipologie di 'modelli' sperimentali, in cui gli stimoli ansiogeni sono rispettivamente legati a fattori 'interni' o 'esterni'.
a) Modelli legati a fattori enterocettivi (stimoli interni). In queste situazioni sperimentali si utilizzano farmaci che generano stati ansiosi. Il prototipo di tali sostanze è un farmaco che ad alte dosi induce convulsioni: il pentilenetetrazolo o cardiazolo. Quando viene somministrato in piccole dosi nell'uomo, esso induce forti situazioni di disagio, l'impressione che qualcosa di catastrofico possa avvenire da un momento all'altro. Anche nell'animale di laboratorio il pentilenetetrazolo causa forti sensazioni d'ansia, rivelabili sia in termini di comportamenti spontanei (irrequietezza, aggressività o tendenza a ritrarsi), sia in termini di modifiche di comportamenti già indotti. Per es., un animale che sia stato in precedenza condizionato ad autosomministrarsi tranquillanti (ansiolitici del tipo delle benzodiazepine) per ridurre le tensioni che provengono da stimoli ansiogeni, quando viene iniettato con pentilenetetrazolo aumenta notevolmente la quantità di tranquillanti che si autosomministra.
Anche altre sostanze come la stricnina, l'anfetamina o le beta-carboline inducono sensazioni di ansia negli animali, che possono venire ridotte o annullate attraverso la somministrazione o l'autosomministrazione di ansiolitici. Gran parte di tali effetti sono legati all'azione delle sostanze ansiogene sul recettore di un particolare mediatore nervoso, il GABA (γ-aminobutyricacid, acido gamma-ammino-butirrico): su di esso agiscono non soltanto le benzodiazepine, che esercitano la loro azione ansiolitica, ma anche molecole endogene che inducono ansia, le beta-carboline e sostanze come il pentilenetetrazolo. Altre sensazione di ansia intensa possono essere provocate da un aumento del lattato (acido lattico prodotto, per es., dal lavoro muscolare) e del biossido di carbonio: ciò può scatenare nell'uomo la cosiddetta sindrome di attacchi di panico e nell'animale comportamenti di ansia intensa. Lo studio di queste dinamiche tra mediatori nervosi, fattori umorali e comportamenti ansiosi nell'animale ha consentito di comprendere meglio il ruolo di mediatori nervosi - GABA, noradrenalina e serotonina - nei fenomeni ansiosi e di produrre sostanze ansiolitiche più selettive.
b) Modelli legati a stimoli esterocettivi (fattori esterni). Gli etologi hanno messo a punto diversi modelli animali degli stati ansiosi, legati, rispettivamente, alla situazione ambientale, alle esperienze precoci, ai fattori cognitivi, alle predisposizioni genetiche. Per quanto riguarda la situazione ambientale, essa può risultare ansiogena a seconda delle caratteristiche e delle dinamiche sociali della specie considerata: in genere i roditori, che vengono usati in laboratorio nelle ricerche di psicobiologia, dimostrano ansia quando vengono immessi in un ambiente nuovo, sprovvisto di ripari, fortemente illuminato.
Un test classico come l'open field (campo aperto) si basa appunto su queste caratteristiche ambientali, che inducono l'animale a bloccarsi negli angoli o lungo le pareti del perimetro che circonda il 'campo', in preda a un blando stato d'ansia. Sotto l'effetto dei tranquillanti gli animali si muovono invece al centro del campo, lo esplorano e non hanno reazioni fisiologiche tipiche dell'ansia. Sono anche ansiogene le situazioni in cui un animale viene immesso in un gruppo di altri animali che si conoscono tra di loro o quelle in cui un topolino o un ratto viene separato dal suo gruppo. Altra situazione ansiogena è quella legata alla separazione del piccolo dalla madre: entrambi emettono richiami nella fase iniziale della separazione, che viene definita 'fase di protesta' e che non è dissimile da quella che J. Bowlby (1953) descrive in rapporto alle dinamiche che si verificano nella specie umana nel corso delle separazioni traumatiche tra il piccolo e la madre. Tale separazione è stata studiata nei primati da H.F. Harlow e S. Suomi, i quali hanno dimostrato che essa induce stati ansiosi, potenzia la ricerca di sostituti materni (manichini inanimati che simulano le forme di un animale adulto, porta a stereotipie e comportamenti disadattati. Anche nei roditori esperienze precoci di tipo traumatizzante possono produrre un aumento dei comportamenti ansiosi nell'adulto.A livello animale esistono modelli d'ansia legati all'interpretazione di esperienze frustranti, cioè a fattori cognitivi: una delle tecniche più studiate è quella definita della 'scimmia executive', implicata in decisioni di tipo 'manageriale'. Il modello sperimentale si basa sull'utilizzazione di due scimmie, entrambe sottoposte a un'esperienza stressante come il ricevere stimoli 'negativi' - un brusco soffio d'aria sul muso o un blando shock elettrico - non dolorosi ma fastidiosi. Tra le due scimmie quella 'manager' può rinviare nel tempo l'evento stressante, mentre l'altra non può far nulla per allontanare lo stimolo negativo: è proprio la prima che manifesta gradualmente un crescente stato ansioso, che è legato alla sua attività 'decisionale' e che, col tempo, si generalizza anche ad altre situazioni.
Resta infine da osservare che la reattività agli stimoli ambientali, alle situazioni stressanti e in generale alle novità, dipende strettamente da fattori individuali, soggetti a caratteristiche genetiche. Ciò ha portato alla selezione di ceppi di cani calmi o ansiosi, e soprattutto di ceppi di roditori che manifestano alte o basse risposte d'ansia in presenza di nuovi ambienti o di intrusi, come i ceppi di Maudsley, selezionati dagli studiosi di psicologia comparata inglesi. La selezione di ceppi ansiosi o non ansiosi ha consentito di approfondire il ruolo sia del sistema limbico coinvolto nelle reazioni emotive, sia dei recettori del GABA e della noradrenalina, più o meno evidente a seconda dei ceppi. Anche nei primati sono state selezionate popolazioni di scimmie più o meno resistenti ai traumi ambientali, dotate di comportamenti ansiosi o rilassati.Utilizzando questi ceppi è stato messo a punto un modello sperimentale di ansia definito learned helplessness (reazioni apprese di rinuncia e impotenza): in questi casi l'animale non è in grado di sfuggire, opporsi o controllare una situazione ansiogena, per cui col tempo può sviluppare sia uno stato depressivo sia uno stato di ansia, o entrambi. Tale modello presenta notevoli analogie con gli svariati casi in cui nell'uomo si sviluppano risposte ansiose o altre forme di nevrosi, determinate dall'impossibilità di esercitare un controllo sugli eventi attraverso decisioni autonome. Nei modelli sperimentali suddetti, che si parta da ceppi selezionati o da animali che reagiscono a specifiche condizioni ambientali, si verificano alterazioni della neurochimica cerebrale, tipiche degli stati d'ansia: è perciò evidente che esse possono provocare uno stato d'ansia o essere la conseguenza di una lettura ansiosa della realtà.
I.
Tutti gli organismi, compresi gli individui della nostra specie, tendono alla sopravvivenza, cioè a rimanere in vita e a trasmettere la vita alla generazione successiva. Il modo in cui agiamo per raggiungere questo scopo è piuttosto elementare: cerchiamo quelle situazioni che concorrono alla sopravvivenza e alla riproduzione. D'altra parte, tentiamo di evitare tutto ciò che potrebbe minacciare il nostro benessere e quello della nostra progenie. Ciò non significa che gli esseri viventi valutino sempre e deliberatamente ogni loro azione in termini di sopravvivenza: non appena un organismo percepisce una minaccia ai suoi interessi vitali, reagisce con immediatezza e istintivamente. Negli esseri umani, come anche in altri mammiferi, la percezione del pericolo è accompagnata da risposte fisiologiche, come l'aumento del battito cardiaco e della sudorazione, da risposte psicologiche, come il focalizzarsi dell'attenzione sulla fonte del pericolo, e dalla tendenza a sfuggire alla situazione che si avverte come pericolosa.
Questi tre tipi di reazione definiscono, secondo gli scienziati, l'ansia: una risposta che contiene dunque aspetti fisiologici (aumento del battito cardiaco), cognitivi (la concentrazione) e comportamentali (la fuga). La reazione ansiosa, nella varietà delle sue manifestazioni, ha una forte base biologica. La ricerca sugli animali e sugli uomini suggerisce che l'evoluzione abbia preprogrammato gli organismi a reagire al pericolo con l'ansia; mostra inoltre come i delicati sistemi fisiologici implicati nel meccanismo dell'ansia interagiscano fra loro. Indubbiamente, nell'ansia c'è molto più che semplici componenti fisiche di tipo genetico e fisiologico. L'esperienza dell'apprendimento determina in quali circostanze l'individuo diventa ansioso e i processi cognitivi vengono chiamati in causa in rapporto all'informazione che si ha del pericolo. Non tutti i membri di una specie sono egualmente ansiosi e questo certamente si applica agli esseri umani: noi ci distinguiamo nella nostra tendenza ad avere paura di un particolare pericolo. Alcuni di noi si spaventano più facilmente di altri e in tal caso molti studi suggeriscono che si tratti di una mutazione genetica.
La ricerca sui gemelli ha costituito lo strumento più usato per indagare in che misura i fattori genetici possano spiegare le variazioni nell'ansia. I gemelli identici, monozigotici (MZ), condividono i geni e l'ambiente socioculturale. I gemelli non identici, dizigotici (DZ), possiedono un patrimonio genetico che si sovrappone solo parzialmente, mentre condividono l'ambiente nella stessa misura dei gemelli monozigotici. Se la somiglianza a livello di ansia, fra gemello e cogemello, è maggiore nei monozigotici che nei dizigotici, ciò implica ragionevolmente l'esistenza di fattori genetici coinvolti in questo processo. Una serie di studi, basati su una varietà di indici di ansia, dimostra realmente che i gemelli monozigotici si somigliano di più dei gemelli dizigotici, anche nel caso di disturbi d'ansia. Ciò significa che se un gemello si qualifica come paziente sofferente di un disturbo d'ansia, le possibilità che il cogemello riceva la stessa diagnosi o una comparabile sono circa del 7% nel caso della coppia dizigotica e approssimativamente del 35% nel caso dei gemelli monozigotici.
2.
Mentre il comportamento emozionale è per larga parte regolato da strutture cerebrali più profonde e relativamente antiche, il lobo frontale della corteccia è coinvolto nell'ansia umana. Non a caso la chirurgia distruttiva di parti di esso riduce l'ansia nei pazienti affetti da questi disturbi. I 'mattoni' più importanti del cervello sono i neuroni o cellule nervose. Collegati in reti altamente complesse, trasmettono le informazioni attraverso sostanze chimiche che fungono da messaggeri: i neurotrasmettitori (v.). Se ne sono identificati almeno cinquanta tipi, che si differenziano notevolmente a seconda della localizzazione: di essi, alcuni sono legati a una particolare struttura anatomica, altri sono disseminati lungo tutto il cervello. Quando parliamo di ansia, i tre neurotrasmettitori più importanti sono la noradrenalina (chiamata anche 'norepinefrina'), la serotonina, il GABA. Quest'ultimo è un neurotrasmettitore inibitore che riduce la probabilità di attivare le cellule nervose; diversamente dalla noradrenalina e dalla serotonina, esso è localizzato in tutto il cervello. Le prove più evidenti di una connessione del GABA con l'ansia provengono dagli studi farmacologici, specialmente quelli sulle benzodiazepine, farmaci ansiolitici che rafforzano gli effetti del GABA provocando una riduzione dell'ansia, il rilassamento dei muscoli e sonnolenza; essi esercitano inoltre un'azione anti-convulsivante. La noradrenalina è usata dai neuroni detti adrenergici; si forma sia nel sistema nervoso centrale sia in quello periferico.
Per quanto riguarda la noradrenalina del cervello, il 70% di essa si trova in una piccola zona blu (locus coeruleus) situata in una parte del cervello antica e profonda evolutasi nel corso del tempo. Anche nel locus coeruleus ci sono relativamente poche cellule adrenergiche, ma ciascuna di esse si diffonde poi ampiamente entrando in contatto con almeno altri 100.000 neuroni. Poiché i percorsi noradrenergici ricoprono vaste superfici del cervello, non sorprende che la noradrenalina sia implicata in tante attività, come il sonno e la veglia, l'attenzione, l'apprendimento, l'eccitazione, l'umore e l'ansia. La stimolazione elettrica del locus coeruleus produce negli animali reazioni simili alla paura, mentre la stimolazione farmacologica della stessa area, per es. tramite alte dosi di yohimbina, crea un'ansia soggettiva negli uomini. Un po' più in alto del locus coeruleus ci sono i nuclei Raphe, dove troviamo il neurotrasmettitore serotonina. Come la noradrenalina, questa si diffonde in molte altre aree del cervello e nella colonna vertebrale.
Per molto tempo si è ritenuto che bassi livelli di serotonina fossero associati con gli abbassamenti dell'umore e con la depressione, ma la ricerca farmacologica più recente indica che il funzionamento della serotonina può essere importante per capire l'ansia e i suoi disturbi. I farmaci che aumentano la disponibilità della serotonina non solo migliorano l'umore, ma attenuano anche l'incidenza e l'intensità degli attacchi di panico, sono efficaci nel trattamento dell'aggressività, mentre, come effetto collaterale, provocano un abbassamento della libido. Ciò suggerisce che la serotonina abbia a che fare con l'organizzazione del comportamento istintuale, sia che esso si esprima nella forma di aggressività diretta verso gli altri, sia che si manifesti invece nella forma di aggressività verso se stessi, come, per es., nel caso della depressione, dell'ansia improvvisa e intensa, dell'impulso a mangiare smodatamente e delle spinte sessuali. La serotonina e la noradrenalina certamente interagiscono, ma non si conoscono compiutamente i meccanismi dell'interazione.Le modificazioni fisiologiche negli stati d'ansia non sono limitate al cervello. Il cervello e il midollo, che costituiscono il sistema nervoso centrale, sono collegati a tutti gli altri organi attraverso il sistema nervoso autonomo. Questo, a sua volta, si distingue in sistema nervoso simpatico e sistema nervoso parasimpatico. Il sistema nervoso simpatico ha come trasmettitori l'adrenalina e la noradrenalina. Una volta che il cervello attiva le parti simpatiche del sistema nervoso autonomo, la (nor)adrenalina viene rilasciata nel sangue con il conseguente aumento del battito cardiaco, con la dilatazione delle pupille, l'inibizione delle ghiandole lacrimali, l'apertura delle vie respiratorie. L'insieme di queste risposte, mediate dalla (nor)adrenalina, costituiscono quella 'reazione di emergenza' di tipo fisiologico che noi viviamo come paura. Il sistema nervoso parasimpatico si oppone in vari modi alla sua controparte simpatica. Se si attiva questo sistema, il neurotrasmettitore acetilcolina viene rilasciato nel sangue e si possono osservare diminuzione del battito cardiaco, restringimento delle pupille, secrezione delle ghiandole lacrimali, costrizione delle vie respiratorie. Mentre il sistema nervoso simpatico si attiva nei casi di emergenza, quando si rende appunto necessaria una reazione, il sistema parasimpatico produce una risposta di rilassamento.
La reazione di emergenza dispone perfettamente l'organismo a rispondere al pericolo. Appena il pericolo diminuisce, il sistema nervoso parasimpatico prende il sopravvento e organizza una risposta di rilassamento come, per es., un rallentamento del battito cardiaco e un abbassamento della pressione sanguigna.
L'impianto biologico è altamente adattivo, nel senso che ci consente di reagire adeguatamente al pericolo, ma le vie neurali implicate nell'ansia spesso si attivano in assenza di un pericolo reale (falsi allarmi) e ciò può essere invalidante per l'individuo. Generalmente i falsi allarmi si verificano nel caso in cui il sistema di emergenza è ipersensibile (il locus coeruleus per es. può, tramite un'attività iperattiva e noradrenergica, espandersi anche alla presenza di tensioni molto leggere), o nel caso in cui, attraverso i processi di apprendimento, i soggetti associano stimoli innocui con una qualche catastrofe. Anche se l'origine dei falsi allarmi è psicologica, ciò non significa che il processo escluda fattori fisiologici. Come abbiamo visto, l'associazione degli eventi viene fatta nelle zone corticali. La memoria del soggetto può contenere una rappresentazione erronea di quali eventi siano pericolosi (per es. i ragni), ma questo non è un problema di cervello; viceversa, se l'individuo è costantemente ansioso a causa della relativa indisponibilità del GABA, questo rappresenta in effetti un problema cerebrale reale.
3.
L'ansia come risposta a una situazione di minaccia può essere un risultato evolutivo e può avere una base fisiologica. L'ansia si riferisce anche a un fatto mentale, è un'emozione che può essere sentita e la sensazione va di pari passo con i pensieri. Le teorie psicologiche sull'ansia sono state a lungo dominate dal pensiero di Freud. Secondo l'approccio psicoanalitico freudiano, l'ansia è generata dal conflitto tra le pulsioni del desiderio inconscio e l'interdizione della norma, è un segnale di risposta delle difese dell'Io contro l'irrompere degli impulsi dell'Es.
Gli aspetti mentali dell'ansia sono stati oggetto di studio della psicologia cognitiva. Una delle domande centrali è come l'emozione e l'umore (sentirsi depresso o ansioso) si relazionino ai pensieri. Per quanto riguarda le diverse emozioni, tra cui l'ansia, sono stati documentati fenomeni di 'congruenza umorale'. Ciò significa che i pensieri deprimenti ('sono una persona di nessun valore') o ansiogeni ('è probabile che io abbia un tumore') non solo si traducono in uno stato d'animo depresso e ansioso, ma influiscono sul modo in cui l'individuo pensa.È un dato ormai certo che l'ansia ha conseguenze sull'attenzione (v.). La nostra capacità di occuparci di certe cose è limitata e l'attenzione ha bisogno di essere selettiva. L'ansia è accompagnata dalla tendenza a occuparsi selettivamente di questioni che hanno a che fare con il pericolo, poiché le informazioni minacciose vengono privilegiate rispetto a quelle emozionalmente neutre. È illuminante in tal senso il cosiddetto test di Stroop modificato, in cui i soggetti ricevono un foglio con una serie di parole isolate, scritte in colori diversi e di significato emozionalmente neutro o ansiogeno.
Sollecitati a indicare velocemente il colore delle varie parole, ignorandone l'aspetto semantico, i soggetti ansiosi mostrano difficoltà ad astrarsi dalle informazioni minacciose contenute in determinate parole e impiegano un lasso di tempo più lungo per nominarne i colori. Non solo l'attenzione ma anche l'interpretazione del segnale è influenzata dall'ansia. Se l'ansia è una reazione a qualche stimolo, secondo gli psicologi non è questo che provoca la paura, ma l'interpretazione che a esso viene attribuita. L'idea che la paura sia evocata dall'interpretazione di un segnale, piuttosto che dal segnale stesso, sembra logica e di buon senso, ma ciò che si discute è se l'ansia venga sempre preceduta da interpretazioni paurose. Esistono comunque dati sperimentali abbastanza certi secondo i quali soggetti molto ansiosi mostrano la tendenza a interpretare stimoli ambigui in modo minaccioso.
4.
Uno dei modi fondamentali in cui gli organismi apprendono è il cosiddetto condizionamento classico (v. apprendimento; condizionamento). Gli organismi sono portati naturalmente, ossia senza apprendimento, a rispondere a stimoli specifici. Per es., se ricevono una scossa dolorosa, essi rispondono con un'accelerazione cardiaca. In questo caso non è coinvolto alcun apprendimento. Gli stimoli che provocano risposte non apprese sono chiamati stimoli incondizionati. Gli organismi tendono a non rispondere ad altri stimoli neutri, chiamati stimoli condizionati. L'aspetto nodale del condizionamento classico è che, se uno stimolo condizionato predice attendibilmente il verificarsi di uno stimolo incondizionato, l'organismo comincia subito a rispondere allo stimolo condizionato (I. Pavlov).
Le paure e le fobie nell'uomo derivano anch'esse dal condizionamento classico. In un esperimento fu mostrato a un piccolo di otto mesi un topo bianco e il piccolo non manifestò alcun segno di paura. Poi, quando cercò di prendere il topo, i ricercatori fecero un gran rumore colpendo con un martello una sbarra di acciaio sospesa. Il bimbo cominciò ad avere paura del topo, e tale paura si estese ad altri stimoli che ricordavano il topo: un coniglio, del cotone ecc. divennero tutti stimoli condizionati e sollecitarono una reazione di paura.
Quando ai soggetti fobici si chiede l'origine delle loro paure, circa il 50% riferisce uno scenario condizionante, il 10% afferma di aver ricevuto informazioni paurose sull'oggetto della fobia e il 15% sostiene di essere diventato ansioso dopo aver visto altri reagire in modo spaventato. Il gruppo rimanente, piuttosto cospicuo, non ricorda alcun evento che abbia preceduto lo sviluppo della fobia. Tutto ciò fornisce un supporto alla teoria del condizionamento classico sull'origine della paura fobica, ma suggerisce anche che si può diventare fobici per altre vie. Il condizionamento classico non indica solo quali esperienze possano produrre una fobia, ma anche quali fattori possano immunizzare contro uno sviluppo fobico. Da studi di laboratorio risulta che, se uno stimolo condizionato viene presentato più volte senza uno stimolo incondizionato (per es., un topo sente un suono 200 volte senza che niente accada dopo il suono), mentre più tardi lo stesso viene associato con uno stimolo incondizionato, il condizionamento viene inibito (inibizione latente). Se il cane ha imparato che un suono (stimolo condizionato) predice una scossa (stimolo incondizionato), l'animale si comporta in modo spaventato quando sente quel suono. Ma se, più tardi, il suono viene prodotto un paio di volte senza che segua la scossa, il cane impara che il suono non predice il dolore e la paura sollecitata dal suono svanisce. Questo processo di risposta ridotta a uno stimolo condizionato non più seguito da uno stimolo incondizionato viene chiamato 'estinzione'.
Perché non tutte le fobie recedono spontaneamente? Di nuovo, la ricerca sugli animali ci offre un indizio. Immaginiamo che un topo venga messo in una gabbia con un pavimento a reticolo. Il cibo è posto sul pavimento. Ogni tanto suona un cicalino e subito dopo il pavimento è percorso da corrente elettrica che continua finché il topo viene portato fuori dalla gabbia. Presto l'animale reagisce al suono in modo forte (per es. con l'accelerazione del battito cardiaco). Poi viene messo un bordo lungo tutta la gabbia e il topo impara velocemente che la scossa elettrica che segue al cicalino può essere evitata saltanto sul bordo non appena si sente il cicalino. Successivamente l'apparecchiatura che provoca la scossa viene eliminata dalla gabbia, ma naturalmente il topo non lo sa. Di nuovo suona il cicalino. Con un riflesso immediato il topo salta ancora sul bordo e rimane là finché non viene tolto dalla gabbia. È da notare che, dal punto di vista dello sperimentatore, il comportamento di evitamento (saltare sul bordo) è irrazionale: il cicalino non segnala di per sé alcun male possibile. È anche da rilevare che il comportamento del topo ricorda quello dei fobici: entrambi reagiscono con paura di fronte a un elemento non dannoso ed entrambi rivelano un irrazionale comportamento di evitamento. Dunque, è proprio questo che impedisce che si verifichi l'estinzione. Saltando sul bordo, il topo non impara che il cicalino non predice più il dolore e la paura non viene estinta. Questo è un primo meccanismo che spiega il permanere delle paure fobiche. Ma vi è un secondo meccanismo: lo stimolo condizionato stimola l'ansia e questa è uno stato negativo che l'evitamento riduce.
Una delle leggi fondamentali dell'apprendimento (la cosiddetta legge dell'effetto) implica che qualsiasi comportamento che sia seguito dalla diminuzione di uno stato spiacevole si ripeterà nel futuro con maggiore probabilità di altri. In questo caso quindi il comportamento che evita il confronto con lo stimolo, essendo ricompensato dalla diminuzione dell'ansia, sarà rafforzato. Come già rilevato, la risposta a uno stimolo condizionato sparisce se lo stimolo condizionato si presenta senza uno stimolo incondizionato: in questo caso si verifica l'estinzione. Nell'esempio precedente del topo dopo molti suoni di cicalino (stimoli condizionati) non seguiti dalla scossa (stimoli incondizionati), l'associazione cicalino-scossa, nella memoria del topo, sarà sostituita dal ricordo del cicalino-senza scossa e avrà luogo l'estinzione: sentire il cicalino non comporta più eccitazione o tentativi di evitamento.
Per quanto riguarda i disturbi d'ansia negli uomini sono stati accertati meccanismi analoghi: l'evitamento dello stimolo spiacevole, il rafforzamento di queste modalità comportamentali per la diminuzione dell'ansia, l'incapacità conseguente di estinguere quest'ultima. Quindi le implicazioni per il trattamento delle paure umane e delle fobie sono evidenti. Se la persona fobica è esposta ripetutamente all'elemento di paura e se si trattiene dall'evitamento o dalla fuga, ci si dovrebbe aspettare una duratura diminuzione dei malesseri di tipo fobico. In effetti, le terapie comportamentali basate sul principio dell'estinzione sono molto efficaci nel trattamento dei disturbi d'ansia.
L'ansia come fenomeno psicopatologico è ubiquitaria; si manifesta soprattutto con modalità abnormi, sovente invalidanti e ostacolanti la libera espansione dell'esistenza. Nella storia della psichiatria, vari sistemi diagnostici sono stati proposti per classificare i disturbi psichiatrici, ma attualmente il sistema di gran lunga più influente è il Diagnostic and statistical manual (1994), dell'Associazione americana di psichiatria, la cui quarta edizione (DSM-IV) identifica molti tipi di disturbi.In due disturbi d'ansia, il disturbo da ansia generalizzata e il disturbo da attacco di panico, l'ansia non viene provocata da specifici elementi esterni. Nel primo caso, i pazienti soffrono di un'ansia diffusa, irrazionale, rispetto a un'ampia gamma di circostanze. L'ansia è accompagnata da tensione muscolare, che lascia la persona sofferente, spaventata e tesa. Il soggetto sperimenta un'iperattività del sistema nervoso simpatico, respiro rapido, palpitazioni.
Da un punto di vista cognitivo, i pazienti sono vigili e scrutano l'ambiente per individuare le fonti di un'eventuale minaccia: si spaventano facilmente, sono irritabili e hanno difficoltà a concentrarsi. I termini desueti 'ansia con sensazione di galleggiamento' o 'ansia diffusa' riflettono il fatto che il livello di ansia è costantemente elevato e riguarda vari aspetti. Questo disturbo è piuttosto comune e i 2/3 di coloro che ne sono affetti sono donne. Nel disturbo da panico (v. panico) viene sperimentata un'ansia intensa che permane per un lasso di tempo che va da qualche minuto a più di un'ora. Gli attacchi sembrano scaturire dal nulla e sono perciò imprevedibili. In questi momenti il soggetto è esposto a sensazioni molto forti (palpitazioni, capogiro, dispnea, formicolio alle mani e ai piedi, sudorazione, sensazioni di scollamento dalla realtà), è estremamente spaventato, teme di compiere gesti inconsulti (gridare, scappare via), di svenire, di morire di infarto. Nei paesi occidentali il 4% della popolazione (ma la percentuale può arrivare al 7%) soffre di tale disturbo e ciò fa di questi pazienti la categoria psichiatrica più diffusa. La maggioranza degli individui affetti da questo disturbo è costituita da donne, e il disturbo generalmente inizia nella prima fase dell'età adulta. Se gli attacchi di panico si verificano per lo più in luoghi pubblici, il paziente si definisce sofferente di disturbo da panico con agorafobia (da ἀγορά, "piazza").
Il DSM-IV definisce le fobie (v. fobia) come una sorta di evitamento distruttivo e mediato dalla paura di stimoli e situazioni assolutamente prive di pericolo. Il tipo di fobia è identificato dalla parola greca che denota la natura dell'oggetto temuto: la paura di volare, 'aerofobia', la paura dei ragni, 'aracnofobia' ecc. Gli oggetti fobici possono essere inanimati (la paura dell'altitudine o dei temporali), o identificati in membri di un'altra specie (la paura dei serpenti). I soggetti possono soffrire anche di una fobia sociale: molti individui sperimentano una quota di stress quando vengono sottoposti a esame, ma questa paura diventa estrema e invalidante nei fobici sociali. Il fobico sociale teme, per es., di parlare in pubblico e tenta di dissimulare la paura schermendosi dietro atteggiamenti scostanti.
Un altro disturbo d'ansia è quello ossessivo-compulsivo. Consiste di due componenti che ritroviamo nel nome stesso del disturbo: ossessioni e compulsioni.
Le ossessioni sono idee ricorrenti, impulsi o immagini che entrano nella coscienza e vengono vissute come fortemente avverse; d'altra parte il soggetto trova difficile o impossibile respingerle come intruse. Le ossessioni sono spesso connesse all'aggressività, al sesso o al blasfemo. Intrusioni ossessive sono piuttosto frequenti, tuttavia la maggior parte delle persone non ne è disturbata e le scaccia dalla mente come elementi irrilevanti del flusso di coscienza. I pazienti ossessivi sono invece molto disturbati da queste intrusioni e le possono vivere fino a cento volte al giorno.Negli individui sani l'intrusione negativa è infrequente. Le compulsioni sono atti comportamentali che si compiono in risposta a un pensiero minaccioso. Sono comportamenti ripetitivi, stereotipati, che la persona non vuole assumere ma non riesce neppure a evitare, resistendo all'impulso di agire in quel modo. Molte compulsioni sono legate all'igiene e motivate dalla paura di contaminarsi; altre riguardano il controllo reiterato, per es., della chiusura del gas, dell'acqua, delle serrature delle porte, e sono accompagnate da precisi rituali, quantificabili (chiudere qualcosa un determinato numero di volte).
Infine, un tipo di disturbo d'ansia è il cosiddetto disturbo da stress post-traumatico. Mentre altre diagnosi del DSM-IV sono svolte in termini di sintomi psichiatrici prescindendo dalle loro origini, diverso è il quadro del disturbo da stress post-traumatico. In questo caso, si è precipitati nel disturbo da una o più catastrofi che sono al di là della portata della sofferenza comune. Esempi sono l'essere tenuto in ostaggio, lo stupro, la guerra, l'assistere all'uccisione o alla tortura di qualcuno. Generalmente, il disturbo inizia subito dopo il trauma, ma si sostiene anche l'esistenza di una 'sindrome ritardata da stress post-traumatico'. Questa, tuttavia, sembra essere l'eccezione piuttosto che la regola.Tre tipi di sintomi caratterizzano il disturbo. Nel primo i pazienti rivivono il trauma in sogno, in flashback o se esposti a stimoli che rappresentano simbolicamente un aspetto della situazione traumatica. Nel secondo si registrano un interesse ridotto verso il mondo e il tentativo di evitare i pensieri, le sensazioni e le situazioni che ricordano alla persona il trauma subito. Nel terzo vi è una labilità emotiva che si manifesta in momenti di rabbia o in un forte trasalimento di fronte a elementi che si riferiscono al trauma.
Per quanto riguarda la spiegazione dei disturbi d'ansia, la teoria freudiana (v. angoscia) ha dominato il campo per lungo tempo. Tuttavia, nell'ultimo ventennio di questo secolo sono stati condotti numerosi studi sperimentali che hanno messo in luce gli aspetti biologici, i meccanismi di apprendimento, i processi cognitivi implicati in tali disturbi. Si possono distinguere due tipi di teorie: le 'teorie rappresentazionali' e le 'teorie di deficienza biologica'. Le prime trovano le loro radici nella teoria dell'apprendimento e nella psicologia cognitiva e sostengono che i disturbi d'ansia derivano da una rappresentazione non realistica e male adattiva del mondo. Nei casi di disturbi d'ansia, la rappresentazione stimolo condizionato-stimolo incondizionato non corrisponde alla realtà; lo stimolo condizionato attiva la rappresentazione di uno stimolo incondizionato catastrofico che in realtà non è tale o che comunque è improbabile che si verifichi (per es., la semplice vista di un ragno può attivare la rappresentazione dell'animale che salta sul soggetto, guardare in basso da una torre molto alta può indurre l'idea che si possa cadere giù, le mani sporche possono far paventare l'aggressione di una malattia). In base ai modelli rappresentazionali, qualcosa di analogo avviene nel caso di disturbi da panico. Questi infatti non sono situazionali, ma tendono a iniziare con la percezione di sensazioni corporee, di per sé stesse innocue, come, per es., sentirsi il battito cardiaco o avvertire un leggero tremore. Tali sensazioni sono lette dai pazienti come segnali di una catastrofe imminente. In questo caso lo stimolo condizionato è una sensazione interna.
I pazienti, comprensibilmente, cercano di evitare di esporsi allo stimolo condizionato: se c'è lo stimolo condizionato, essi prevedono che seguirà lo stimolo incondizionato. Se lo stimolo condizionato non può essere evitato, essi cercano attivamente di impedire il verificarsi del disastro temuto (stimolo incondizionato): il paziente compulsivo può lavarsi forsennatamente le mani, il paziente in panico che si sente il cuore può ridurre la sua attività motoria e stendersi per riposare. Rappresentano una situazione diversa le ossessioni e i disturbi da stress post-traumatico. Gli stimoli che suscitano paura, infatti, in questo caso sono suscitati da pensieri e da immagini. I soggetti cercano di respingere le intrusioni che suscitano orrore. In definitiva, le teorie rappresentazionali ritengono che i disturbi d'ansia siano il risultato di un elemento (stimolo condizionato) che attiva la rappresentazione di qualcosa di orribile (stimolo incondizionato). Poiché le persone ansiose evitano di esporsi allo stimolo condizionato, esse non imparano che di fatto lo stimolo condizionato non predice alcuna catastrofe. Una terapia plausibile potrebbe essere, quindi, quella di esporre il paziente allo stimolo condizionato temuto e fargli verificare in prima persona che questo non è seguito da uno stimolo incondizionato.
Le teorie della deficienza biologica si basano su tre pilastri. Anzitutto è provato che esiste una componente genetica nei disturbi d'ansia. In secondo luogo, ci sono certe sostanze chimiche che provocano sintomi da ansia in alcuni pazienti, ma non in altri soggetti, e ciò suggerisce che queste sostanze innescano anomalie patofisiologiche già presenti in certi pazienti, ma non in altri. Infine, certi farmaci sono efficaci nel trattamento dei disturbi d'ansia e ciò fa ritenere che questi disturbi abbiano una base patofisiologica. È abbastanza evidente che se un agente farmacologico specifico produce ansia nei pazienti che vi sono predisposti ma non nelle persone normali, la sostanza attiva un meccanismo patogenetico specifico dei soggetti malati. Il lattato di sodio è stata la prima sostanza che ha avuto effetti specifici sui pazienti soggetti a panico: a differenza di quelli sani e di altri pazienti che sperimentano un vasto spettro di sensazioni fisiche dopo la somministrazione di un infuso contenente il lattato, i pazienti predisposti sono gli unici a provare un'intensa ansia soggettiva. Altre sostanze che provocano effetti analoghi sono la caffeina, l'anidride carbonica inalata in alte concentrazioni, la yohimbina (una sostanza che aumenta l'attività noradrenergica nel cervello) e l'isoproterenolo, che attiva il ramo simpatico del sistema nervoso autonomo, ma non penetra nel cervello.
Una caratteristica importante di tutte le sostanze che provocano il panico è che esse producono le stesse sensazioni corporee temute dai pazienti predisposti al panico. Così, la paura soggettiva successiva alla somministrazione del lattato o dell'anidride carbonica può non essere dovuta a uno sregolamento fisiologico innescato dalle sostanze, ma piuttosto alla tendenza dei pazienti a rispondere con paura alle sensazioni corporee.Lo scopo della farmacoterapia non è quello di produrre i sintomi, ma di ridurli o eliminarli. Sono state identificate diverse classi di farmaci ansiolitici. Un primo gruppo è costituito dalle benzodiazepine, che potenziano l'emissione dell'acido gamma-amino-butirrico, riducendo in tal modo l'eccitazione neurale, e sono indicate soprattutto nei casi di disturbi da ansia generalizzata. La nuova generazione di benzodiazepine ad alta efficacia, come l'alprazolam, introdotta negli anni Novanta, a differenza delle precedenti, funziona bene nei disturbi da panico.
Una terza classe di farmaci che ha un effetto ansiolitico ormai consolidato è costituita dai cosiddetti antidepressivi triciclici (v. antidepressivi), fra cui l'imipramina è quella più studiata. La maggior parte dei triciclici agisce principalmente sui canali noradrenergici del cervello, ma i tipi più recenti influiscono anche sul sistema serotoninico. Un farmaco importante in tal senso è la clomipramina, che, allo stesso modo della imipramina, ha effetti antipanico, ma risulta anche efficace nel trattamento dei disturbi ossessivi compulsivi. Tra i farmaci ansiolitici di più recente sviluppo possono essere ricordati gli inibitori selettivi del rialzo della serotonina (SSRI, Selective serotonine re-uptake inhibitors). Questi farmaci bloccano il rialzo della serotonina e ciò dà luogo a una maggiore disponibilità del neurotrasmettitore. In particolar modo i pazienti che soffrono di disturbi da panico e di disturbi compulsivi ossessivi rispondono bene agli inibitori.Un'ultima domanda può riguardare, in un'ottica comparativa, la validità dei trattamenti psicologici e degli interventi farmacologici. Quale delle due terapie è più efficace? È difficile dare una risposta netta.
Pochi studi mettono direttamente a confronto le due terapie: alcuni hanno indicato la superiorità del trattamento farmacologico; d'altra parte, nei disturbi da panico-agorafobia e in quelli di tipo ossessivo compulsivo, i trattamenti psicologici tendono a dare risultati in qualche modo migliori. I vantaggi di quest'ultima terapia stanno nel fatto che essa consente un miglioramento più stabile, non ha effetti collaterali negativi e non provoca la dipendenza dal farmaco, come avviene nel caso delle benzadiazepine. Tuttavia, mentre la maggior parte dei medici può correttamente prescrivere farmaci ansiolitici e monitorare i loro effetti, la disponibilità di un trattamento psicologico adeguato è generalmente minore. È ancora presto per arrivare a conclusioni definitive. Nel frattempo è chiaro che, al declinare del 20° secolo, l'ansia e le sue manifestazioni sono fra i fenomeni più studiati in psichiatria e in psicologia clinica. Ed è altrettanto chiaro che gli sforzi compiuti nel campo della ricerca hanno dato i loro frutti: i disturbi d'ansia, con una terapia consona, sono diventati 'trattabili'.
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