ANTEFISSA
. L'uso di rivestire i templi con terrecotte è antichissimo, di origine orientale, probabilmente assira; ma il dare a questi rivestimenti forma architettonica è greco.
Il nome antefissa (antefixa-orum) è latino: Antefixa dicuntur parva signa, corollae, aliaque huiusmodi ornamenta e opere figulino quae tectis aedium adfiguntur supra stillicidio (Festo, ap. Paul. Diac., 8). Non è quindi giusto chiamare antefissa anche gli antepagmenta, come fa il Wayte nel dizionario dello Smith. Antefissa è la tegola semicilindrica (coppo) terminale del tetto, che in greco si chiama καλυπτήρ, anzi, essendo essa terminata da un ornamento, καλυπτήρ ἀνϑεμώδης. In latino si possono anche dire imbrices extremi, distinguendosi poi secondo se erano formati a mano (protypa) o ricavati da forme (ectypa). Nel tetto greco l'antefissa, sia di pietra sia di terracotta, comparisce per tempo; per la terracotta centro importantissimo era Corinto.
Notiamo varie forme: 1° triangolare, come alcune trovate sull'Acropoli e altre a Corinto, a Orcomeno (queste nel Museo di Chaeronia), a Egina, ad Argo e specialmente a Termo (ora al Museo di Kephalovryso). Questa forma segue solo l'estremità del coppo, senza eccedere; gli ornamenti sono palmette e spirali; 2° senticircolare, come a Olimpia o nell'Ereo di Argo; a Basse, ad Atene (Museo dell'Acropoli); 3° a testa o meglio faccia di Gorgone, che ebbe larga diffusione; 4° a testa umana, o di tipo dedalico o con pilos, e ciò pure a Termo, a Corcira, tutte del sec. VII a. Cristo. Questo tipo a Termo si evolve durante il sec. VI, fino a varianti, dovute a restauro, del sec. V.
Ricordiamo anche il Tesoro di Gela (di Sicilia) a Olimpia (Paus., VI, 19), che però presenta caratteristiche da far pensare che questo edifizio, eretto nel 582 a. C. per celebrare la vittoria sui Cartaginesi, sia stato decorato da artisti siciliani, anziché della Grecia continentale, e quello dei Megaresi, pure a Olimpia, della seconda metà dello stesso sec. VI.
Per il tempo posteriore, in Grecia ricordiamo specialmente le antefisse con decorazione floreale di Homilion, illustrate dall'Arvanitopouros. Belle, tra le antefisse di marmo, quelle del Partenone, decorate da una palmetta.
Ma l'antefissa assume, per il grande uso della terracotta, una importanza tutta speciale, in Italia, e particolarmente nel tempio etrusco-italico, continuando esso e sviluppando, come in nessun'altra parte, la decorazione fittile dell'edifizio, rimasto di legno fino a tarda età. Com'è noto, si distinguono tre fasi del tempio, il cui tipo si estende per tutto il versante tirreno, dall'Etruria settentrionale a tutta la Campania. La 1ª fase (detta ionica) è della seconda metà del sec. VI a. C.: le piccole antefisse,, terminano o meglio chiudono nella loro superficie semicilindrica l'estremità dei coppi, con teste sia umane sia di Gorgone (a quest'ultimo tipo appartiene quella di Vignanello al Museo di Villa Giulia). La 2a fase (detta arcaica) che è poi quella del massimo fiore del tempio etrusco, dagli ultimi decennî del secolo VI a tutto il V a. C., presenta forme ormai perfette di antefissa. Essa non differisce naturalmente dagli altri coppi, termina all'estremità interna con una specie di lingua per introdursi sotto quella precedente del tetto, ha un'incastro e dei fori per i chiodi allo scopo d'impedire lo slittamento, essendo all'estremità di un piano inclinato, e dall'altra parte ha l'antefissa, che si innalza come un disco o un gruppo di figure verticalmente, venendo a chiudere il coppo stesso e restando poi fissata per mezzo di un'ansa, che va dall'estremità superiore di essa al coppo. Il tipo più caratteristico presenta un nimbo quasi circolare strigilato, nel centro del quale è una protome, sia un Sileno, sia una Menade, sia un Acheloo o una Gorgone o altro tipo generalmente della classe demoniaca, essendo chiaro il carattere apotropaico della rappresentazione. Tale testa è più o meno grande secondo la grandezza dell'antefissa; la quale va da dimensioni minuscole adatte a piccole edicole o tempietti (senza contare una microscopica antefissa votiva trovata negli scavi del Tempio dell'Apollo a Veio) alle grandissime antefisse con testa di Gorgone del suddetto tempio veiente, (v. tavola a colori) in cui il kalypter è lungo 73 cm., largo 16 e alto da 16 a 18; mentre l'antefissa stessa è alta cm. 47,5 e larga 43,5. In un'antefissa del genere la testa è lunga cm. 18 circa.
Tutte queste antefsse si segnalano per una vivace policromia; le strigilature del nimbo sono generalmente a colori alternati rosso e azzurro-scuro; la pelle delle facce. secondo la convenzione arcaica, è rosso-scura per i maschi bianca per le femmine. I . colori sono i pochi fondamentali in uso a questo tempo.
Altri tipi sono a cornice traforata; né mancano, specialmente dagli scavi del fondo Patturelli presso Capua, tipi compresi in grandi fiori di loto stilizzati. Questo fiore di loto già si trova come decorazione delle terrecotte elleniche, e la Van Buren giustamente osserva che, pur essendo indubbiamente derivato dall'arte egizia, è visto attraverso occhi ionici, cioè in tutta l'arte antica deriva da prototipi ionici. Abbiamo anche tipi semicircolari di nimbo, che molto più si riavvicinano a quelli ellenici.
La categoria però più caratteristica di antefissa è quella con figure plasticamente formate, sia isolate, con mostri anguiformi, Sirene, il tipo della cosiddetta πότνια ϑηρῶν o Artemide Persiana, cioè di una dea che tiene nelle sue mani, rendendole impotenti, due bestie selvagge, ecc., sia costituenti veri gruppi, tra i quali notevole quello di Caere, ora al Louvre, con Minerva e Ercole e tutti quelli con danze erotiche di Sileni e Menadi, che circondavano di una corona beneaugurale il tempio della Mater Matuta a Satrico (Conca), ora al Museo Nazionale di Villa Giulia. Non è questo il luogo di analizzare il pregio artistico di queste antefisse, spesso chiaramente opere di mediocre arte decorativa, talvolta, come le Gorgoni di Veio, veri capolavori, dovuti a grandi artisti. In questo caso infatti esse sono della stessa mano che fece l'Apollo e le altre figure fittili e, sia Vulca o uno della sua scuola, rappresentano un particolare esempio di quella corporeità propria dell'arte etrusca, che si manifesta specialmente nella trasformazione del tipo, originariamente disegnativo, del Gorgoneion. Quello che occorre invece notare è che queste antefisse di notevole pregio sono generalmente isolate e che rivelano, anche se ricavate da forme, l'opera dell'artista direttamente sull'esemplare: le più invece sono fatte a serie e ricavate da forme, sia perché era necessario averne più esemplari, sia per poter rifare quelle danneggiate dalle intemperie, essendo monumenti esposti all'aria aperta. Di queste forme se ne sono rinvenute alcune, negli scavi di Falerii Veteres (Civita Castellana) e sono ora al Museo di Villa Giulia.
Nella terza fase del tempio, di età ellenistica, iniziatasi nell'inoltrato sec. IV a. C. e. che dura fino all'età romana, le antefisse continuano nei tipi precedenti, ma cessano i mostri di carattere più bestiale; sono preferiti i tipi di Artemide Persiana, di un genio orientale con fiaccole (Tempio detto dello Scasato di Falerii Veteres, Tempio di Alatri, ora a Villa Giulia), né mancano graziosissimi resti di antefisse a tutto tondo nelle figurine, vere Tanagrine, del primo dei due templi ora ricordati. Se infatti in questa fase spariscono alcuni mostri e anche un tipo della seconda fase, non ancora ricordato e prettamente italico, quello della Giunone Sospita o Lanuvina (che ha indubbî rapporti con l'Hathor egizio), la quale porta un elmo a testa bovina con le caratteristiche orecchie a corna, elmo che fa anche da nimbo alla testa stessa, compaiono d'altra parte tipi nuovi come quello grazioso delle Nereidi che nuotano presso mostri marini.
Questa fase si trascina fino al sec. II a. C. inoltrato, quando l'età propria del tempio etrusco-italico di legno e terracotta termina per la sostituzione con il tempio di pietra.
Tuttavia l'antefissa dura ancora nel mondo romano, come decorazione di tetti e di edicole.
Queste tarde antefisse sono numerose, piccole di dimensioni e assumono la forma di uno scudo con il vertice in alto. Sono di un coccio rosso resistente e presentano grande semplicità di decorazione, la quale generalmente consiste solo in una palmetta stilizzata. Tra le eccezioni ricordo specialmente una con il grazioso motivo di una Nike che porta un trofeo d'armi romane.
Bibl.: C. Thierry, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités, I, Parigi 1877, p. 285 segg. Per l'antefissa greca: E. Douglas van Buren, Greek fictile revetments in the archaic period, Londra 1926; H. Koch, in Ath. Mitt., XXXIX (1914), pp. 237-51, e Röm. Mitt., XXX (1915), pp. 51-74; per gli scavi di Homilion: Arvanitopoulos, in Πρακτικά, 1911, p. 286; in Amer. Journ. Arch., 1913, p. 108.
Per le antefisse del tempio etrusco-italico: A. Della Seta, Museo di Villa Giulia, p. 125 segg.; Koch, Dachterracotten aus Campania; E. Douglas van Buren, Figurative terracotta revetments in Etruria and Latium in the VI e V centuries b. C., Londra 1921. Per le antefisse di Veio: G. Q. Giglioli, in Notizie degli Scavi, 1922, p. 206 segg.; id., in Antike Denkmäler, III, 5.