Antenora
. Nome (If XXXII 88) della seconda delle zone in cui è distinto il cerchio nono dell'Inferno dantesco. In essa sono puniti coloro che hanno tradito la fede spezial (If XI 63) creata dall'appartenenza alla stessa patria o allo stesso partito politico, come si trae dal nome stesso della zona e dalla considerazione delle colpe commesse dai peccatori che D. dice di avervi incontrato.
Il termine A. (probabilmente contrazione di ‛ Antenoria ') viene infatti dal nome dell'eroe troiano Antenore (v.), ritenuto generalmente nel Medioevo (sulla base di una nota di Servio, ad Aen. I 242; e soprattutto dei più circostanziati racconti sull'argomento nelle compilazioni mitografiche intorno alla guerra troiana, attribuite a Darete Frigio e a Ditti Cretese) colpevole di aver favorito l'entrata dei Greci nella propria città. Ma ancor meglio si chiarisce la qualità del peccato punito in questa zona ricordando i personaggi che compaiono nei versi a essa dedicati (XXXII 70-139, xxxlll 1-90): Bocca degli Abati, Buoso da Duera, Tesauro de' Beccaria, Gianni de' Soldanieri, Gano, Tebaldello de' Zambrasi, il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggieri, ai quali si può aggiungere Carlino de' Pazzi, nominato da Camicione in If XXXII 69: tutti tradieori ‛ politici ', quasi tutti colpevoli verso la propria Parte piuttosto che verso la patria e tratti (salvo Gano) dalla storia recente o contemporanea a Dante. In tal modo il poeta viene in sostanza a tracciare un quadro, da cui scaturisce " risoluta la condanna... dei metodi e delle forme di tutta la politica dell'età comunale, vista e giudicata nel suo complesso " (Sapegno): un quadro fosco e spietato di violente e ferine passioni, che raggiunge particolare intensità umana e artistica nell'incontro con Bocca degli Abati, dove D. stesso si inserisce direttamente come implacabile giustiziere, e nell'episodio di Ugolino, tanto più complesso, ma concretamente non separabile dal cupo sfondo su cui il poeta lo ha collocato.
Per quanto riguarda la pena dei peccatori dell'A., non sembra che il poeta fornisca esplicite indicazioni (quali invece egli dà a proposito dei dannati della Tolomea, in If xxxlll 91-99) che valgono a distinguerla da quella dei traditori della Caina, immersi nel ghiaccio fino al collo e con la faccia rivolta in giù. Va ricordato, tuttavia (rimandando, per l'opinione che i dannati della Caina siano immersi nel ghiaccio solo fino all'inguine, alla voce CAINA), che alcuni commentatori (Casini, Vandelli, Torraca, Sapegno), basandosi sul fatto che D. afferma di vedere i visi cagnazzi (XXXII 70) dei peccatori dell'A., e anche di aver percosso col piede il viso e le gote (XXXII 78, 89) di Bocca, ritengono di dover affermare che questi traditori, a differenza di quelli della zona precedente, debbano tenere la faccia non rivolta all'ingiù ma eretta: che sarebbe un aggravamento di pena, poiché in tal modo, maggiormente esposti al vento che congela le loro lagrime, essi avrebbero minore possibilità di sfogare col pianto il loro dolore. Altri vedono invece significato tale aggravamento di pena nel termine cagnazzi (v.), scorgendovi un'allusione o all'effetto deformante prodotto dal freddo più intenso sul viso di questi traditori, o almeno a un illividimento più scuro di quello indicato dal termine livide (XXXII 34), impiegato a proposito dei dannati della Caina (Tommaseo, Berthier, Messeri); ovvero al fatto che in essi tale illividimento si estenderebbe anche al volto (V. Rossi).
Merita forse un cenno anche la discussione sul luogo in cui sarebbero precisamente collocati il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggieri. Secondo il Rossetti, la loro buca si troverebbe esattamente sulla linea di divisione tra l'A. e la Tolomea, in modo che Ugolino sarebbe nella prima e l'arcivescovo nella seconda. Alla Tolomea assegnò invece, in un primo momento, ambedue i dannati il Del Lungo, per ripiegare poi, accogliendo le obiezioni del Mestica, sull'opinione che essi si trovassero sì ambedue nell'A., ma proprio sul limite estremo di essa, confinante con la zona successiva. La discussione fu poi ripresa e conclusa dal D'Ovidio, che dimostrò l'infondatezza di questa e delle altre ipotesi su accennate.
Bibl. - Tra le letture dantesche del canto xxxll dell'Inferno si vedano quelle di A. Messeri, Firenze 1917; A. Barbadoro, ibid. 1931; A. Chiari, La Caina e l'A. (1939), in Lett. dant. 163-193; C. Grabher, Firenze 1940 (poi in Lett. dant.); C. Iannaco, Il canto dei traditori, in Scritti di letteratura italiana, Firenze 1953, 45-58; A. Pézard, Le chant des traîtres (1959), nel vol. miscell. Letture dell'Inferno, Milano 1963, 308-342; G.Varanini, Firenze 1962. Per la collocazione di Ugolino e Ruggieri, v. F. D'Ovidio, Studi sulla D.C., Palermo 1901, 14 ss.