ANTEPAGMENTA
. Il latino antepagmentum deriva da ante e pango (connesso con paciscor, πήγνυμι), quindi indica un membro architettonico fissato avanti gli altri. In particolare, lo troviamo adoperato in due casi notevolmente diversi. Anzitutto, come ornamento degli stipiti e dell'architrave di una porta.
Vitruvio (IV, 6) dà le misure della porta della casa e dei loro antepagmenta (ostiorum et eorum antepagmentorum in aedibus hae sunt rationes); Festo (ap. Paul. Diac., 8) definisce antepagmenta gli ornamenti delle porte: quae antis adpanguntur idest adfiguntur. Erano adoperati davanti ai pilastri verticali degli stipiti e a quello orizzontale, in modo da nascondere la loro fronte e da impedire che i battenti si aprissero verso l'esterno. Tra i resti di templi, sono notevoli quelli del tempio detto dello Scasato di Falerii Veteres (Civita Castellana), ora al Museo Nazionale di Villa Giulia in Roma: fra essi sono stati ritrovati frammenti della decorazione fittile, evidentemente delle porte, con ornati policromi. Data la natura del laterizio, queste lastre erano veramente confitte al legno degli stipiti mediante chiodi.
Questo uso mostra che molto più correttamente si chiamavano antepagmenta anziché antefixa le lastre fittili che, nella costruzione di edifizî etrusco-italici, e in modo speciale nella costruzione di templi, servivano di ornamento e di protezione alle travi maestre della sommità dell'edifizio stesso. Vitruvio (IV, 7) ricorda esplicitamente quest'uso: supra trabrus et supra parietes traiecturae mutulorum parte IV altitudinis columnae: proiicientur, item, in eorium frontibus antepagmenta figantur.
I trovamenti archeologici di questi ultimi cinquant' anni hanno portato una luce straordinaria sull'uso di questi antepagmenta nell'edifizio etrusco-italico dal sec. VI al I a. Cristo. L'edifizio delle prime fasi della civiltà etrusco-italica era in grandissima parte di legno, (cosa questa di cui oggi non si può più dubitare): ne veniva di conseguenza che questo, sia per difendere la superficie esterna delle travi, sia per ornamento, era tutto rivestito di lastre di terracotta, delle quali sono stati trovati numerosi e bellissimi avanzi nei cumuli formati dall'edifizio stesso crollato e annientato dopo qualche secolo di abbandono. La colleizione più cospicua è nel già ricordato Museo nazionale di Villa Giulia, che comprende tre templi principali e altri minori di Falerii e del territorio falisco, due di Veio, uno di Satrico, uno di Segni, uno di Alatri, e avanzi cospicui di altri minori (Lanuvio, Vignanello, Nemi, Palestrina, ecc.). Vi troviamo lastre di stile ionico, della prima fase del tempio (metà sec. VI a. C.); molte di più dello stile detto arcaico della seconda fase (intorno al 500 a. C.) e altre infine del tempio della terza fase di età ellenistico-romana (metà sec. IV - fine II a. C.). Nell'età romana più tarda le case sono invece adorne di altri veri e proprî antepagmenta, cioè di quelle fittili dette, dal loro primo collezionista, il marchese Campana, rilievi Campana, di cui le collezioni più cospicue sono al Museo Nazionale Romano delle Terme e nel Museo del Louvre. Tutte queste terrecotte sono di forma differente secondo la forma del trave o la parte dell'edifizio alla quale erano aderenti: così per i travi orizzontali sono lastre piane con fori per i chiodi; gli spioventi del frontone prendono una forma di sima, con indicazione negli ornamenti dell'inclinazione; quando ornano le testate del trave centrale (columen) o dei laterali (mutuli) prendono forma quadrata, col lato superiore ad angolo nel primo caso.
Naturalmente non di tutti i templi sono conservati frammenti di tutte le parti: notevoli le lastre di rivestimento del columen del tempio di Satrico e fli quello di Segni (seconda fase); altre di mutuli di piccoli edifizî della prima fase (Vignanello e stipe della "Tomba di Romolo" al Foro romano).
Se queste parti portavano una rappresentazione particolare (guerrieri combattenti a Satrico e Segni; cavalieri, per i mutuli), per il rivestimento dei lunghi lati dei travi maestri occorrevano molti metri di fregio. Questo si otteneva ripetendo il motivo di una lastra, sia che avesse una scena figurata, sia un ornamento. Nella prima fase sono abituali le scene figurate, corse di carri, banchetti, processioni (spesso di personaggi divini, con cavalli alati, ecc.): esse sono note particolarmente come Terrecotte Borgiane dal nome del cardinale Borgia, possessore della prima serie conosciuta, trovata a Velletri e ora nel Museo Nazionale di Napoli.
Nella seconda e terza fase invece prendono sempre più piede motivi ornamentali, grandi palmette, girali, ecc. Questa ripetizione dello stesso pezzo si otteneva meccanicamente con forme, delle quali si è trovato qualche esemplare. In qualche caso, come pel tempio detto dei Sassi Caduti di Falerii, l'ultima lastra, all'estremità del trave, anziché ripetere lo stesso motivo, ne presenta uno diverso, un grande fiore che ben chiude il fregio.
Tutte queste lastre sono policromate; le più antiche con pochi colori; accuratamente quelle della seconda fase, con tecnica resistentissima; più scadente quella della terza la cui policromia è assai caduca.
Un caso infine, a quanto sembra, isolato, è quello del tempio di Diana Nemorense, dove, come si vede dai pochi frammenti superstiti, ora al Museo di Villa Giulia, l'antepagmentum conservava l'identica forma di quello fittile, ma era di bronzo dorato.
Quanto ai Rilievi Campana, essi erano pure messi uno accanto all'altro o per ornamento del tetto, come sima, o per ornare a guisa di fregio le pareti esterne o interne di case. L'origine di queste decorazioni è attribuita alla Campania, ma certo anche nel territorio etrusco-italico o a Roma si potevano trovare modelli negli antepagmenta surricordati. Queste terrecotte, che cominciano nel sec. I a. C., si prolungano a tutto il sec. II dell'Impero. Anch'esse sono formate da stampi, ma talvolta ritoccate a stecco e vivamente policromate. I modelli in parte ripetono le rappresentazioni dell'arte ellenistica del sec. IV-III; ma si notano anche bozzetti romani: trionfi, sacrifici, scene teatrali, ecc. Generalmente però abbiamo soggetti mitologici (Eracle, Zeus, i Coribanti); più spesso scene delle leggende epiche (Egeo e Teseo, Ulisse ed Euriclea, Pelope ed Enomao, Atena di fronte alla nave Argo, ecc.); né mancano scene di genere (Nikai volanti, eroti con ghirlande, ecc.) spesso di sapore arcaizzante, come era di moda in quel periodo artistico. (V. tavv. CXIX e CXX).
Bibl.: J. H. Flather, in Smith, Dict. of greek and rom. antiquities, 3ª edizione, s. v. Antepagmenta. Per il periodo etrusco-italico, v.: Th. Wiegand, Le temple étrusque d'après Vitruve, in R. Arndt, La Glyptothèque de Ny Carlsberg, Monaco 1904, p. 1 segg.; F. Durm, Die Baukunst der Etrusker und der Römer, Stoccarda 1905, p. 73 segg.; G. Pellegrini, Fregi arcaici etruschi in terracotta a piccole figure, in Studi e materiale di archeologia e numismatica, I, p. 87-118; G. E. Rizzo, Di un tempietto fittile di Nemi, in Bull. della Commiss. Archeologica Com. di Roma, 1910, p. 281; 1911, p. 23; A. Della Seta, Museo di Villa Giulia, 1918; E. Strong, The architect. decoration in terracotta from early latin temples in the Museo di Villa Giulia, in Journal of Rom. Studies, IV, i, p. 157 segg.; E. Van Buren, Figurative terracotta revetments in Etruria and Latium in the VI and V cent. b. C., Londra 1921; G. Q. Giglioli, Il Tempio dell'Italia antichissima, in Architettura e Arte Decor., I (1921), p. 1 segg.; P. Ducati e G. Q. Giglioli, Arte Etrusca, Roma 1927, p. 13 segg.; P. Ducati, Storia dell'Arte Etrusca, Firenze 1927.
Per i rilievi Campana, G. P. Campana, Antiche opere in plastica, ecc., Roma 1851-52; H. von Rohden, Die Architektonischen römischen Ton-Reliefs der Kaiserzeit, in R. Kekule, Die antiken Terrakotten, IV; per Pompei H. von Rohden I Die Terrakotten von Pompei; R. Kekule, Die antiken Teracotten, II; R. Paribeni, Le Terme di Diocleziano e il Museo Nazionale Romano, 1928, p. 270 segg.