Anti-Machiavel
Saggio sul Principe, nato dalla collaborazione tra Federico II di Prussia (Berlino 1712 - Potsdam 1786) e Voltaire (Parigi 1694 - ivi 1778).
Primo di dieci tra fratelli e sorelle, nella dinastia Hohenzollern, il cui obiettivo costante è unire in una salda compagine statale la marca di Brandeburgo, il ducato di Prussia e i possedimenti renani. Suo padre, Federico Guglielmo I, carattere bigotto e conservatore, sale al trono l’anno dopo e impone rigorosi risparmi, ma si guadagna il nomignolo di re soldato perché indossa costantemente uniformi militari, si diletta a passare in rivista i suoi granatieri della guardia e potenzia l’esercito. Il giovane Federico, sensibile e amante delle arti, disdegna l’uniforme, che definisce il «suo sudario», e le cerimonie militari, ama suonare il flauto e leggere: a causa del contrasto con il padre nel 1730 tenta di fuggire per Parigi, accompagnato dall’ufficiale Hans Hermann von Katte, suo amico. I due vengono arrestati, processati per diserzione e condannati a morte: incarcerato nella fortezza di Küstrin, Federico è costretto ad assistere alla decapitazione di von Katte e poi sottoposto a una dura rieducazione prima di essere riammesso nell’esercito e reintegrato nel grado. Colonnello di un reggimento di guarnigione a Ruppin e sottratto all’assillante controllo paterno, F. intraprende letture letterarie e filosofiche (Pierre Bayle, Nicolas Boileau, Blaise Pascal, Fénelon, Montesquieu, Voltaire, Pierre Corneille, Jean Racine, John Locke, Christian Wolff, Cicerone, Orazio), storiche (Cesare, Livio, Plutarco), stringe un’amicizia epistolare con Voltaire, scrive poesie e saggi in francese, ma coltiva anche i primi progetti politici, ancora informi e velleitari. Mentre al padre sembra inadatto al trono, le cerchie illuministiche europee nutrono grandi speranze nel futuro ‘re filosofo’.
Alla morte di Federico Guglielmo I (1740) Federico eredita uno Stato ordinato e florido, dotato di un esercito efficiente e numeroso, il quarto in Europa; abolisce la tortura nel processo penale (tranne che nei casi di alto tradimento e lesa maestà), abroga la censura sulla stampa e decreta la tolleranza religiosa.
Il 13 dicembre 1740 le truppe prussiane invadono la Slesia, sulla quale Federico accampa diritti che decide di far valere ora che sul trono degli Asburgo siede una donna, Maria Teresa: iniziano le due ‘guerre slesiane’ che si concludono nel 1745 con la conferma dell’annessione della provincia alla Prussia e l’acclamazione del re come Federico il Grande. Dalla Guerra dei sette anni (1756-63) la Prussia – che l’ha iniziata con un attacco preventivo alla Sassonia e ha tenuto testa ad Austria, Francia e Russia – esce come quinta potenza europea, e il re consolida la fama di grande condottiero e abile statista. In tale duplice veste, e non come autore dell’Anti-Machiavel (da qui in poi AM), egli diventa, dopo Arminio e Martin Lutero, la figura nella quale si identifica il nascente sentimento nazionale e poi il nazionalismo tedesco e che alimenta un mito identitario solo recentemente ridimensionato (Deppe 2013). Anche sul personaggio storico i giudizi sono ormai contrastanti: secondo Augstein (1968, poi 1981, p. 117), il re con le sue azioni, soprattutto degli anni 1740-45, avrebbe importato «il machiavellismo dei piccoli principi italiani
nell’Europa centrale del XVIII secolo», mentre, secondo Haffner (1979, poi 1998, p. 135), avrebbe solo agito come altri sovrani contemporanei in circostanze analoghe.
Il primo embrione dell’AM sono le Considérations sur l’état présent du corps politique de l’Europe, redatte da Federico tra la fine del 1737 e l’inizio del 1738 in occasione di un avvicinamento tra Austria e Francia che sembra danneggiare la Prussia. Il futuro re, in una lettera del 31 marzo 1738 a Voltaire, critica che questi nel Siècle de Louis XIV abbia annoverato M. tra i grandi di quel tempo e ha modo nel successivo carteggio di precisare il suo giudizio su M., del quale tuttavia conosce solo il Principe in traduzione francese (Madsack 1920, p. 19; von Galéra 1926, p. 3). Tra l’agosto 1739 e il febbraio 1740 redige la Réfutation du Prince de Machiavel e la manda a Voltaire, che gliela restituisce con le sue correzioni e gli suggerisce di pubblicarla affiancandola ai singoli capitoli del Principe.
La vicenda editoriale della Réfutation è assai complessa:
Voltaire la invia nel giugno 1740 all’editore Johannes van Duren di Amsterdam che la stampa a fine agosto (ma con postdatazione al 1741) come Anti-Machiavel, ou Examen du Prince de Machiavel, avec des notes historiques et politiques, sebbene Federico, nel frattempo asceso al trono, avesse tentato di bloccarne la pubblicazione. Contemporaneamente esce anzi a Londra (presso Guillaume Meyer) un’edizione pirata, con lo stesso titolo e il medesimo contenuto, sicché a metà ottobre, d’accordo con il re, Voltaire ripubblica a L’Aia (presso Pierre Paupie) lo scritto a proprie spese e sotto il suo diretto controllo, basandosi anche su una seconda versione in cui Federico attenua alcune sue affermazioni contro la politica francese e il primo ministro André Hercule de Fleury: questa terza edizione porta il titolo Anti-Machiavel, ou Essai de critique sur le Prince de Machiavel, publié par M. de Voltaire.
La Réfutation originale (inedita fino al 1848, a cura di J.D. Erdmann Preuss) resta indispensabile per conoscere il vero pensiero di Federico, mentre l’edizione di van Duren corrisponde alla versione più snella e scorrevole, da Voltaire destinata in origine alle stampe e rielaborata radicalmente non solo nello stile, ma anche nel contenuto, perché importanti argomenti (monarchia e principe, politica, guerra e Chiesa) vengono esposti dal punto di vista del suddito anziché da quello del sovrano (von Galéra 1926, pp. 16-41). L’edizione di Paupie segna un ulteriore allontanamento, nello stile e nel contenuto, dall’originale (Antimachiavelli, a cura di M. Proto 2004, p. 121), e infatti Federico se ne dichiara insoddisfatto, scrivendo a Voltaire il 7 novembre 1740 che trovava tanto di estraneo in quella edizione da non
riconoscerla più come opera sua (cfr. von Galéra 1926, p. 70). Dalla fine dell’anno Voltaire e Federico sembrano disinteressarsi dell’AM che resta «preda di editori e stampatori» (von Galéra 1926, p. 49) e supera, prima della morte del re (1786), le trenta edizioni, la maggior parte basate su quella di van Duren.
Nella prefazione dell’editore, Voltaire definisce quello di M. un poison, un «veleno» fin troppo diffuso, per combattere il quale bisogna rendere accessibile a tutti anche l’antidote (Anti-Machiavel, 1741, première partie, p. V); contrappone con sarcasmo la difesa di M. intrapresa da Abraham-Nicolas Amelot de la Houssaye (→), semplice segretario di legazione, alla sua censura da parte di un futuro sovrano, pur ammettendo che M. ne prêche pas le crime dans tout son Livre («non predica il delitto in ogni parte del suo libro», p. VI), sicché alcune sezioni della confutazione costituiscono piuttosto delle riflessioni che non delle critiche.
Nella prefazione, Federico, che si cela però sotto la definizione di «Autore», paragona l’effetto di M. in materia di morale e di politica a quello di Baruch Spinoza in materia di fede. Pertanto si assume la défense de l’humanité contre ce monstre («la difesa dell’umanità contro questo mostro», pp. X-XI), opponendo ragione e giustizia a inganno e vizio, e lo fa affiancando a ogni capitolo del trattato le sue osservazioni e obiezioni, afin que l’antidote se trouve immédiatement auprès du poison («affinché l’antidoto segua immediatamente il veleno», p. XI). L’Autore disapprova poi il giudizio di quanti ritengono che M. écrivoit plutôt ce que les princes font, que ce qu’ils doivent faire («descriva i principi come sono e non come dovrebbero essere»), sostenendo che questi difensori sarebbero stati fuorviati par les exemples de quelques mauvais Princes contemporains de Machiavel […] & par la vie de quelques Tyrans qui ont été l’opprobre de l’humanité dall’esempio di alcuni principi malvagi, contemporanei al M. […] e dalla vita di alcuni tiranni, obbrobrio dell’umanità (p. XII), sicché sarebbe grave ingiustizia imputare a un’intera categoria colpe di cui si sono macchiati soltanto alcuni suoi membri.
Alla prefazione di Amelot de la Houssaye e alla dedica di M. a Lorenzo de’ Medici segue l’AM, stampato in colonne a fianco dei singoli capitoli del Principe nella traduzione di Amelot de la Houssaye corredati delle note dello stesso.
Le massime e gli esempi che Federico condanna con maggior veemenza sono quelli che collidono con i precetti della morale comune: a proposito dei personaggi citati nel cap. viii (Di quelli che per scelleratezze hanno acquistato principati), egli osserva che sarebbero perfetti se M. fosse docteur de la scéleratesse («maestro di delitti», p. 56). A Cesare Borgia, che definisce il monstre le plus abominable que l’Enfer ait vomi sur la terre («[il] mostro più abominevole che l’inferno abbia vomitato sulla terra», pp. 60-61) e modello dei machiavellisti, Federico contrappone come suo ideale Marco Aurelio e all’affermazione di M. (xv 6) che «è necessario, volendosi uno principe mantenere, imparare a poter essere non buono», replica che bisogna essere bon et prudent («buono e saggio», deuxième partie, p. 48) per farsi temere anche dagli scellerati. Quando M. discute se «è meglio essere amato che temuto» (xvii 8), Federico sostiene che un principe crudele è più esposto al tradimento che uno bonario. La parte più estesa della confutazione riguarda quel cap. xviii nel quale Federico individua i precetti più scandalosi del Principe: così, quando M. constata che non può «uno signore prudente, né debbe osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro» (§ 8), F. lo definisce précepteur des Tyrans («maestro dei tiranni», p. 68) e non ammette che l’esistenza di volpi e di leoni giustifichi gli inganni di un sovrano; se si presentano nécessités fâcheuses («circostanze spiacevoli», p. 77) nelle quali il principe è costretto a rompere trattati e alleanze, deve farlo da uomo onesto, senza trarne indebiti vantaggi e avvertendo per tempo la controparte.
Federico muove però anche obiezioni di ordine pratico ad alcuni precetti di Machiavelli. Rigetta quello di stabilire nelle province conquistate colonie (iii 14-17), sostenendo che queste, se poco popolose, sarebbero inutili, se molto popolose indebolirebbero la madre patria. Contesta la massima di «ruinare» gli stati conquistati per meglio conservarli, contrapponendo al comportamento di Spartani e Romani verso le città greche occupate, citato da M. (v 4-6), gli esempi della piccola ma popolosa Olanda e della vasta ma poco popolata Russia, entrambe impossibili da rovinare. Accusa M., per il cap. xvi, di non distinguere tra libéralité e prodigalité (p. 51). Riguardo al cap. xxv, giudica la Fortune et le hazard […] des mots vuides de sens qui, selon toute apparence, doivent leur origine à la profonde ignorance […] lorsqu’on donna des noms vagues aux effets dont les causes étoient inconnues fortuna e caso […] termini privi di senso, nati evidentemente in un’epoca di grande ignoranza […] quando gli uomini definivano in maniera vaga gli effetti di cui non conoscevano le cause (troisième partie, p. 39).
Secondo Fleischauer (L’Anti-Machiavel, 1958, p. 20), ogni capitolo dell’AM inizia con una negazione di principio delle massime di M. e si conclude con una loro «inconscia» accettazione. Alcuni insegnamenti di M. sono però riconosciuti validi apertamente: quelli di accentrare su di sé l’attività di governo, di dedicarsi personalmente alla conduzione della guerra, di adattarsi alle situazioni contingenti, di evitare gli adulatori e di sondare le intenzioni degli altri sovrani vengono, secondo Meinecke (1924, poi 1963, p. 352), perfettamente compresi, accettati e forse addirittura assimilati, mentre il cap. xxvi, con l’esortazione a liberare l’Italia dai barbari, dà a Federico occasione di esprimere le sue considerazioni su trattative e guerra, quest’ultima definita une ressource dans l’extrémité («rimedio estremo», p. 61), ma, se preventiva, anche moindre mal («male minore», p. 62).
Una significativa convergenza con M. consiste in realtà nel prevalente ruolo militare che anche Federico assegna al principe (Proto 2004, p. 104).
Lo scritto ha larga circolazione e ampia risonanza in Europa, non soltanto tra chi legge il francese, perché viene presto tradotto anche in latino (1743) e in varie lingue nazionali (in inglese e in olandese nel 1741, in svedese nel 1756, in italiano nel 1768, in russo nel 1779, in spagnolo solo nel 1854). In Germania quasi ogni autore si sente obbligato a leggere e giudicare l’AM (Meyer 2010, p. 193). Già nel 1741 esce a Gottinga una versione tedesca a opera di Wolf Balthasar von Steinwehr (Anti-Machiavel oder Prüfung der Regeln Nic. Machiavells von der Regierungskunst eines Fürsten) che è più volte ristampata fino al 1762, spesso in coincidenza di avvenimenti militari o diplomatici connessi a Federico, con l’intento di servire alla propaganda di questo piuttosto che a una generale moralizzazione della prassi politica. A partire dal 1745 alcune edizioni tedesche dell’AM contengono la traduzione del Principe, pubblicata non più in colonna o a fronte della confutazione, ma separata e con un suo proprio frontespizio, quindi ormai leggibile e rilegabile indipendentemente dalla sua confutazione, sicché l’«antidoto» di Voltaire e Federico serve anche a promuovere la diffusione autonoma di quel «veleno» dal quale si proponevano di guarire l’umanità (De Pol 2008).
Ai lettori contemporanei non sfugge la contraddizione tra principe filosofo, critico di M., e sovrano regnante che ne applica le regole; già Voltaire, in occasione dell’invasione della Slesia, esprime la sua delusione affermando di essersi aspettato che l’AM portasse del bene, mentre aveva portato solo soldi nelle tasche dei suoi editori (cfr. von Galéra 1926, p. 74).
Ancora oggi si individua in Federico il paradosso dell’assolutismo illuminato, che vive in prima persona un ‘dilemma’ tra Illuminismo e Machtpolitik. (Schieder 1982), un «dualismo fra princìpi illuminati e politica di potenza» (Antimachiavelli, a cura di M. Proto, 2004, p. 44). Secondo Meinecke (1924, poi 1963, pp. 343-45), il giudizio di Federico su M. è condizionato dalla distanza culturale che separa il pensatore illuminista da quello rinascimentale: convinto del progresso della società e dei costumi, Federico giudica barbarici i tempi in cui vive M. e dunque non può condividerne le massime. Non può però neanche giustificarle storicamente, perché gli manca la consapevolezza di come, oltre alle condizioni materiali, sia cambiata anche la mentalità: l’illuminista fonda le sue regole su princìpi astratti, M. le deduce dall’esperienza empirica. Questo scarto culturale provoca quelli che Meinecke (1924, poi 1963, p. 345) definisce «fraintendimenti» di M. da parte del sovrano prussiano. Secondo Deppe (2013, p. 11), Federico considera invece le massime di M. «inapplicabili» perché riferite alla condizione storica, da lui considerata ormai sorpassata, dei princhipini […] souverains en miniature «‘principini’, sovrani in miniatura» (Anti-Machiavel, deuxième partie, p. 5) italiani.
Freyer (1944, poi 1986) e Martin (2009, pp. 193-228) rivalutano l’AM come tentativo di vagliare la prassi politica alla luce del diritto naturale, conosciuto attraverso Christian Thomasius; Schito (2013, p. 21) lo giudica invece una «fragile critica al Fiorentino, intrisa di errori interpretativi del suo pensiero». In seguito Federico ritratta alcuni dei suoi giudizi negativi e moralmente determinati su M. perché col tempo matura la consapevolezza che «vocazione di filosofo e sua missione civile di ‘primo servitore dello stato’» sono inconciliabili (Schito 2013, p. 14), e forse addirittura che tra lui e M. sussistono più punti di contatto di quanto egli stesso abbia potuto riconoscere scrivendo l’AM (Deppe 2013, p. 28).
Bibliografia: Fonti ed edizioni critiche: Anti-Machiavel, ou Essai de critique sur le Prince de Machiavel, publié par Mr de Voltaire, Nouvelle édition où l’on a ajouté les variations de celle de Londres, Amsterdam 1741; Considérations sur l’état présent du corps politique de l’Europe, L’Antimachiavel ou Examen du prince de Machiavel, e Réfutation du prince de Machiavel, in OEuvres de Frédéric le Grand, hrsg. J. D. Erdmann Preuss, 8° vol., Berlin 1848, rispettiv. pp. 1-30, 185-336 e 67-184; L’Anti-Machiavel. Édition critique avec les remaniements de Voltaire pour les deux versions, publiée par C. Fleischauer, Genève 1958; Anti-Machiavel, ed. W. Bahner, H. Behrmann, in The complete works of Voltaire/OEuvres complètes de Voltaire, ed. Ulla Kolving et. al., 19° vol., Oxford 1996; Antimachiavelli. Alle origini del modello prussiano in Europa, a cura di M. Proto, Manduria 2004 (trad. dell’ed. londinese del 1741).
Per i testi critici si vedano: E. Madsack, Der Antimachiavell. Ein Beitrag zur Entstehungsgeschichte und Kritik des Antimachiavell, Berlin 1920; Fr. Meinecke, Die Idee des Staatsräson in der neueren Geschichte, hrsg. und eingeleitet W. Hofer, München 1924, 19633, pp. 321-400; K.S. von Galéra, Voltaire und der Antimachiavell Friedrichs des Großen, Halle 1926; H. Freyer, Preußentum und Aufklärung. Eine Studie über Friedrichs des Großen ‘Antimachiavel’ (1944), poi in Id., Preußentum und Aufklärung und andere Studien zu Ethik und Politik, hrsg. und kommentiert E. Üner, Weinheim 1986, pp. 1-70; R. Augstein, Preußens Friedrich und die Deutschen, Frankfurt 1968, 19813; S. Haffner, Preußen ohne Legende, Hamburg 1979, 19984; T. Schieder, Friedrich der Große und Machiavelli. Das Dilemma von Machtpolitik und Aufklärung, «Historische Zeitschrift», 1982, 234, pp. 265-94; R. De Pol, Die ersten deutschen Übersetzungen von Machiavellis Principe, in Italien und Deutschland. Austauschbeziehungen in der gemeinsamen Gelehrtenkultur der frühen Neuzeit, hrsg. E. Bonfatti, H. Jaumann, M. Scattola, Padova 2008, pp. 315-36; G. Martin, Recht auf Lüge, Lüge als Pflicht. Zu Begriff, Ideengeschichte und Praxis der politischen “edlen” Lüge, München 2009, pp. 193-228; A. Meyer, Machiavelli Lektüre um 1800. Zur marginalisierten Rezeption in der Populärphilosophie, in Machiavellismus in Deutsch - land. Chiffre von Kontingenz, Herrschaft und Empirismus in der Neuzeit, hrsg. C. Zwierlein, A. Meyer, München 2010, pp. 191-213; F. Deppe, Der ‘Antimachiavell’ des Friedrich II., Hamburg 2013; R. Schito, Raison philosophique/raison politique: il machiavellismo di Federico il Grande, «Culture del testo e del documento», 2013, 14, 42.