antiamericanismo
s. m. – Termine utilizzato per indicare la contrapposizione all’azione politica, militare, economica e sociale degli Stati Uniti e alla penetrazione dell’american way of life nello stile di vita di altre nazioni. Americanismo e a. sono stati a lungo, nel corso di tutto il Novecento del 20° sec., i due poli della dialettica tra diversi modi di sviluppo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la vittoria del modello liberaldemocratico e capitalista egemonizzato dagli Stati Uniti ha portato a conseguenze impreviste nel campo dei vincitori: superpotenza mondiale, gli Stati Uniti entrano nel 21° sec. dominando la scena e affermando la loro egemonia, ma anche attirandosi l’odio del mondo arabo e islamico ripetutamente umiliato dalla politica estera delle amministrazioni statunitensi. Il 21° secolo si è aperto così all’insegna dell’a. con gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono a Washington, rivendicati dai terroristi islamici di al-Qā‘ida: i quattro aerei da trasporto civile usati come bombe dai terroristi kamikaze hanno aperto di fatto un inedito conflitto asimmetrico tra uno Stato e i suoi alleati e una rete di terroristi. Colpendo gli Stati Uniti i jihadisti puntavano sia a mostrare alle masse islamiche l’esistenza di un’alternativa all’egemonia globale a stelle e strisce, sia a creare scompiglio tra i regimi filo-occidentali in Medio Oriente e in Asia Centrale. In reazione all’attacco, il presidente degli USA, il repubblicano George Bush Jr, ha lanciato la guerra al terrorismo su scala globale. Nel 2001 l’intervento armato statunitense in Afghānistān, per porre fine al regime dei Talebani e catturare il leader di al-Qā‘ida Usāma ibn Lādin, venne accolto con sostanziale favore dall’opinione pubblica internazionale. Nel 2003, invece, l’invasione dell’Irāq scatenò grandi proteste in tutto il mondo: centinaia di migliaia di persone manifestarono in decine di città per contestare pacificamente un conflitto ritenuto figlio di precisi interessi geopolitici statunitensi e privo di collegamenti diretti con la guerra al terrorismo. Inoltre, proprio l’offensiva contro il terrorismo di matrice islamica, accompagnata da gravissime perdite tra la popolazione civile di quei paesi, contribuiva a dare nuova linfa ai sentimenti antiamericani già fortemente radicati in diversi Stati dell’Africa settentrionale, in Medio Oriente e in Pakistan. Gli Stati Uniti vengono identificati dalla propaganda del fanatismo islamico come paese imperialista che sfrutta le risorse del mondo arabo e impedisce la realizzazione di uno Stato palestinese. Da questo punto di vista le campagne in Afghānistān e in Irāq, pur spazzando via i regimi nemici, hanno costituito un fallimento per l’amministrazione Bush perché invece di dare luogo a moderne nazioni democratiche hanno generato in quei territori uno stato di caos e guerriglia permanente. Ad alimentare la crociata antiamericana in questo inizio di secolo è soprattutto la repubblica islamica dell’Irān, che sotto la guida di Maḥmūd Aḥmadīnezād ha rafforzato i suoi tratti antisionisti e il sostegno ai terroristi libanesi di Hezbollah, in netta contrapposizione con la politica estera statunitense. Dopo la sua elezione il presidente democratico Barack Obama ha tentato di modificare la linea degli USA nei confronti dei paesi maggiormente ostili alla politica estera statunitense, cercando di riaprire canali di dialogo soprattutto con Cuba, Siria, Corea del Nord e a tratti anche l’Irān. Il tentativo più riuscito è forse quello con il regime comunista cubano: l’avvento di Raul Castro alla guida del Paese ha reso possibile un primo parziale disgelo nei rapporti con l’amministrazione degli USA e l’ammorbidimento dell’embargo economico. Una mossa che ha sottratto terreno alla propaganda antiamericana del presidente del Venezuela Hugo Chávez. A capo di uno dei principali paesi per esportazioni di petrolio, Chávez ha costruito la sua popolarità internazionale sulla condanna dell’embargo a Cuba per legittimarsi come leader regionale sudamericano anche tramite intese strategiche con l’Irān di Aḥmadīnezād. È venato di connotazioni antiamericane, in quanto anticapitalista, anche il movimento no global, che individua negli Stati Uniti il centro di massima espansione del sistema economico-finanziario creato dalle multinazionali e dalle banche. Uno spirito che ha permeato le manifestazioni di protesta che da oltre un decennio accompagnano ogni riunione degli organismi internazionali di pianificazione economica.