Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Mentre il Rinascimento raggiunge nei primi decenni del Cinquecento la sua maturazione, si consumano in parallelo una serie di esperienze artistiche che si pongono in aperta e consapevole rottura con i canoni classici. I fautori di questa fase sperimentale sono pittori diversi per cultura e provenienza; apertamente anticlassica o semplicemente eccentrica, la loro proposta artistica trae spunto dalle fasi più estreme dell’attività dei grandi maestri e dallo studio delle opere di artisti stranieri come Albrecht Dürer.
Rinascimento e anticlassicismo
Gli anni tra il 1515 e il 1520 sono caratterizzati a Roma dalla completa maturazione del linguaggio rinascimentale a opera di Raffaello e Michelangelo.
Parallelamente si sviluppano significativi fenomeni di segno nettamente contrario. In tutta l’Italia centro-settentrionale, infatti, si assiste a manifestazioni di "dissidenza" dall’ideale classico, apparentemente non collegate tra loro.
La critica moderna ha definito questo movimento talvolta con l’etichetta di "primo (o proto) manierismo", altre volte con la definizione di "sperimentalismo anticlassico", arrivando infine a raccogliere sotto la definizione di "eccentrici" gli artisti che lo animarono. La difficoltà nella definizione di questa sorta di movimento nasce da due fattori: da un lato, l’innegabile rifiuto di concetti quali armonia, grazia e simmetria che accomuna tutti questi artisti; dall’altro, la sostanziale differenza di espressione rispetto a fenomeni solo apparentemente similari – come dimostra il confronto con le opere di Giulio Romano o dei manieristi in senso stretto Giorgio Vasari e Francesco Salviati) –, ma che in realtà nascono dalle esperienze classiciste, proponendosi come loro ideale prosecuzione. L’attività di artisti come Lorenzo Lotto, Amico Aspertini, Girolamo Romanino, o dei primi Rosso Fiorentino e Pontormo, presenta – pur nella loro diversità – alcune costanti, come il marcato accento espressivo, la preferenza per composizioni asimmetriche e per le forzature anatomiche.
Tali caratteristiche trovano la loro origine in un atteggiamento che è insieme di reazione e di sfida al canone rinascimentale che si va affermando come il gusto dominante. Ma i germi della crisi sono insiti nella stessa attività dei grandi protagonisti: i cartoni di Michelangelo e Leonardo per Palazzo Vecchio a Firenze sono veri e propri esempi di come il naturalismo rinascimentale possa toccare vertici sconosciuti in materia di espressione umana e di forza anatomica.
In buona parte dell’Italia centro-settentrionale, inoltre, si era affermata a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento un’altra forma di classicismo, non necessariamente legata ai modelli antichi, che lo storico dell’arte Roberto Longhi ha definito "classicismo precoce": sua caratteristica primaria è la preferenza per la creazione di figure dagli atteggiamenti pacati, per composizioni bilanciate e simmetriche, per cromie armoniose.
Massimo interprete di questa tendenza è Pietro Perugino (ma anche il primo Raffaello), che ha il merito di diffondere questo stile in tutta Italia attraverso l’infaticabile attività della sua operosa bottega. Rispetto a questa forma espressiva che appare dominante nel sistema delle corti della fine del Quattrocento e di inizio Cinquecento, artisti operanti su tutta la penisola avviano un percorso di confronto che sfocia spesso in una reazione di aperta contrapposizione; caratteristica comune è l’intento sperimentale, spesso determinato da urgenze espressive desunte da modelli tedeschi, altre volte da una visione religiosa austera ma popolare.
Firenze e Siena
È nella Firenze di inizio Cinquecento che si assiste al primo e più coerente tentativo di erodere dall’interno la rinascita dei modelli classici. I protagonisti sono Leonardo e Michelangelo che, dopo aver fornito esempi altissimi del più puro stile rinascimentale – quali il cartone di Sant’Anna (Londra, National Gallery) o il David (Firenze, Gallerie dell’Accademia) – si trovano tra il 1505 e il 1506 a lavorare fianco a fianco nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Vecchio a Firenze. Quella piccola porzione realizzata da Leonardo – andata distrutta, ma che conosciamo grazie a una copia realizzata di Peter Paul Rubens nel 1603 circa – e il cartone approntato da Michelangelo (anch’esso andato distrutto, ma documentato da numerosi disegni preparatori e copie) hanno un effetto dirompente sui giovani artisti che si affacciano sulla scena intorno al 1515. Ai loro occhi, gli stravolgimenti espressivi di Leonardo e la ricerca anatomica di Michelangelo, lontani dalla pacatezza espressiva dei contemporanei fra’ Bartolomeo e Mariotto Albertinelli allora assai in voga, si pongono come veri e propri inviti alla sperimentazione.
Importante per il formarsi di questa nuova tendenza artistica è anche la presenza a Firenze e a Roma, tra il 1506 e il 1518, dello spagnolo Alonso Berruguete. Egli è fra i primi a proporre una formula stilistica che reinterpreta in chiave eccentrica ed espressiva le anatomie michelangiolesche, come testimonia la flessuosa e crepuscolare Salomè degli Uffizi (1516 ca.). Un altro personaggio carismatico che partecipa a questa fronda anticlassicista è Giovanni di Lorenzo Larciani, a lungo noto col nome convenzionale di "Maestro dei paesaggi Kress", autore dell’espressionistica Sacra famiglia della Galleria Borghese di Roma (1515 ca.), in passato attribuita non a caso a Rosso Fiorentino. Queste esperienze di dissidenza rappresentano la base di partenza per l’opera dei già citati Rosso Fiorentino, al secolo Giovanni Battista di Jacopo, e Jacopo Carucci detto il Pontormo. Entrambi allievi di Andrea del Sarto, altro influente protagonista della pittura fiorentina di inizio secolo, maturano ben presto un comune atteggiamento di sfida ai canoni convenzionali, elaborando un’alternativa alle pacate armonie rinascimentali.
Nella Madonna col Bambino e santi dipinta nel 1518 per la chiesa San Michele Visdomini, nota col nome di Pala Pucci, Pontormo rilegge la tipologia raffaellesca della pala d’altare rifiutando lo schema piramidale o la definizione gerarchica degli spazi, e presenta una composizione affollata e disordinata, caricandola di un’atmosfera stralunata. Nello stesso anno Rosso Fiorentino, nella Madonna con il Bambino e santi degli Uffizi, dipinta in origine per Santa Maria Nuova, propone, pur seguendo in modo più rispettoso la tradizione, una visione estremamente drammatizzata della rappresentazione sacra, rielaborando i modelli umani tormentati e spigolosi dell’ultimo Donatello.
Non si tratta di un’episodica impennata espressiva, ma di un vero e proprio modo alternativo di raccontare la realtà, come dimostrano i successivi dipinti di Rosso: dalla tragica, livida e quasi irreale Deposizione della Pinacoteca di Volterra del 1521, allo Sposalizio della Vergine in San Lorenzo e Mosè e le figlie di Jetro degli Uffizi (entrambi del 1523 ca.), che, pur nella loro diversità, mostrano l’impegno dell’artista nel ricercare soluzioni ispirate ora alla grazia raffaellesca, ora alla veemenza michelangiolesca. Pontormo prosegue invece, attraverso prestigiose committenze, nella ricerca di un frasario artistico che contamina la tradizione fiorentina (Vertummo e Pomona , 1520-21, Poggio a Caiano, Villa Medicea) con riprese letterali da incisioni di Dürer (Storie della Passione di Cristo, 1523-24, Firenze, Certosa del Galluzzo).
Su questa linea di ricerca egli realizza intorno al 1525 il suo capolavoro: la Deposizione di Santa Felicita, una pala d’altare che propone moduli espressivi del tutto nuovi, stravolti, con timbri coloristici chiari e lontani dalla realtà. Sorta di silenziosa danza allucinata, il tema sacro è qui vissuto e raccontato attraverso una lente deformante che altera la percezione delle forme, del colore e delle espressioni dei protagonisti, congelati in un momento che non è né drammatico né privo di sentimento.
Anche Siena partecipa a questo trasversale movimento di rottura grazie alla figura di Domenico Beccafumi. Dopo un avvio di carriera ispirato alla monumentalità di fra’ Bartolomeo, il pittore raggiunte esiti non dissimili dalle atmosfere rarefatte e stralunate del Pontormo, grazie ai viaggi romani e fiorentini avvenuti prima del 1520. Negli anni Trenta, Beccafumi matura una preferenza per composizioni complesse e convulse, coniugate a una sperimentazione drammatizzante di effetti di luce con ardite e vivaci cromie, come nel Castigo del fuoco celeste dipinto tra il 1537 e il 1539 per il duomo di Pisa.
Percorsi dell’anticlassicismo in Italia
La dissidenza dall’ideale del Rinascimento maturo non si limita all’officina sperimentale toscana. In buona parte dell’Italia centro-settentrionale si verificano infatti eloquenti episodi di ricerca anticlassica. In Emilia e in Romagna non mancano importanti esperienze, come dimostrano le opere di Amico Aspertini, attivo a Bologna, Roma e Lucca. La sua conoscenza dell’antico è profonda (Martirio dei santi Tiburzio e Valeriano, 1506, Bologna, Oratorio di Santa Cecilia), ma ciò non gli impedisce di inserire tali cognizioni all’interno di un contesto espressivo estremo ed eccentrico. Le soluzioni adottate dall’artista devono molto alla sua familiarità con l’incisione tedesca, come mostra la drammatica Pietà Marsili del 1519 in San Petronio a Bologna. A Ferrara, anche Dosso Dossi (La partenza degli Argonauti, 1518 ca., Washington, National Gallery of Art) e Ludovico Mazzolino (Il passaggio nel Mar Rosso, 1521, Dublino, National Gallery of Ireland) cercano una via alternativa al Rinascimento, miscelando l’arte di Raffaello con la tradizione espressiva locale. In Piemonte spicca la figura di Gaudenzio Ferrari, noto per le sue realizzazioni pittoriche e plastiche al Sacro Monte di Varallo (1517-1524), e per la sue abilità di decoratore di scene popolate e drammatiche (Crocifissione, 1513, Varallo, Santa Maria delle Grazie). Una fortissima vocazione popolare, coniugata a un’innata capacità comunicativa, ne fanno uno degli artisti più ricercati e originali di questi anni, come documentano gli affreschi del 1533-34 in San Cristoforo a Vercelli, o quelli del 1535 in Santa Maria dei Miracoli a Saronno. Nella geografia anticlassica costituisce un punto nodale il duomo di Cremona. In questo cantiere, intorno al 1520, si concentrano alcune delle personalità artistiche più significative di questi anni. Nella realizzazione delle Storie della Passione di Cristo nella navata centrale, in particolare, si avvicendano nell’arco di pochi anni maestri di diversa estrazione e formazione, accomunati però dalla ricerca di una tensione drammatica ed espressionista.
Il cremonese Altobello Melone vi realizza la Cattura di Cristo (1517-18) secondo moduli che sono debitori delle stampe düreriane, di cui egli è profondo conoscitore. Poco dopo, in modo non dissimile, interviene nel medesimo cantiere il bresciano Girolamo Romanino che, in scene come l’Incoronazione di spine o l’ Ecce Homo, fonde in modo del tutto naturale espressività e monumentalità. Pochi anni prima anche Giovan Francesco Bembo aveva partecipato alla decorazione della navata dipingendo l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al Tempio (1515 ca.), prova di come l’anticlassicismo degli affreschi cremonesi non rappresenti un episodio isolato nella città che vide attivo e dominante il classicista Boccaccio Boccaccino.
Al fianco di questi artisti è attivo anche il friulano Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone. Formatosi nella Venezia di Giorgione, egli si reca intorno al 1515 a Roma dove avviene il fondamentale incontro con Michelangelo. La Crocifissione (1520-1521) affrescata nel duomo di Cremona, nella dilatazione delle forme, nel plasticismo accentuato, nell’esasperazione espressiva unita a scorci prospettici arditissimi, segna una rottura radicale con il classicismo rinascimentale (sia tosco-romano che veneziano). Il Pordenone raggiunge in quest’opera un significativo momento di contestazione globale, che lo pone come unica vera alternativa nel corso del decennio successivo al naturalismo cromatico di Tiziano (1480/90-1576). Con più moderazione Pordenone affronta gli affreschi della cappella Pallavicini in San Francesco a Cortemaggiore (1529-30), dove approfondisce sulla scia del Correggio la ricerca sullo spazio, o le opere del periodo veneziano (Pala dei santi Sebastiano, Rocco e Caterina, 1535 ca., Venezia, Chiesa di San Giovanni Elemosinario), che in quegli anni costituiscono un termine di confronto e uno stimolo per lo stesso Tiziano. Analoghe esperienze di dissidenza, seppur sporadiche, si registrano anche nelle Marche, dove è attivo pure Lorenzo Lotto, e in Umbria. È il caso, ad esempio, di Cola dell’Amatrice che nel 1515-20 realizza una piccola serie di opere coerentemente "sgrammaticate" e squilibrate rispetto ai canoni classici (I profeti Giona, Zaccaria, Geremia, Eliseo, 1516 ca., Lawrence (KS), Spencer Museum of Art, University of Kansas).