antidepressivo - La sindrome da sospensione
Sindrome da sospensione e suicidio sono due reazioni avverse degli antidepressivi che, negli ultimi anni, sono state al centro di molte discussioni scientifiche.
La sindrome può verificarsi quando l’assunzione dell’antidepressivo viene sospesa bruscamente, o se si salta la dose giornaliera, o quando viene ridotto il dosaggio. Normalmente essa insorge dopo tre giorni dall’evento scatenante e si esaurisce entro 1÷2 settimane. Generalmente, i sintomi più gravi scompaiono entro i primi tre giorni dall’insorgenza della sindrome. I sintomi sono simili a quelli dell’influenza, associati a insonnia, nausea e disturbi gastrointestinali, alterazioni sensoriali e ansia. Tale sindrome può avvenire in seguito all’uso di una qualsiasi classe di antidepressivi. Se si tiene conto della rapidità dell’insorgenza e della gravità dei sintomi, l’incidenza cambia con il tipo di molecola. Per esempio, nell’ambito degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, la sindrome sembra avere un’incidenza maggiore in pazienti che usano paroxetina rispetto a quelli che usano fluoxetina. Queste differenze sono state spiegate sulla base dei dati farmacocinetici. In particolare, sono stati confrontati i tempi di permanenza dei singoli farmaci e dei loro metaboliti attivi nel plasma (emivita plasmatica). La fluoxetina dà origine a metaboliti attivi e presenta una lunga emivita, mentre la paroxetina non dà origine a metaboliti attivi e ha un’emivita relativamente breve. In generale, gli antidepressivi a emivita più breve sembrano creare maggiormente il problema della sindrome da sospensione. L’uso di preparazioni farmaceutiche a rilascio prolungato non evita l’insorgenza della sindrome. La natura dei sintomi può variare con le diverse classi di antidepressivi. Per esempio, gli antidepressivi triciclici producono spesso alla sospensione sintomi di tipo parkinsoniano. La sospensione degli antidepressivi inibitori delle monoaminoossidasi, invece, può rendere i pazienti aggressivi. Le cause biologiche della sindrome da sospensione da antidepressivi non sono state ancora spiegate del tutto. Tutti i farmaci di questa classe sono in grado di incrementare la disponibilità sinaptica di vari neurotrasmettitori, provocando una riduzione del numero di recettori su cui tali mediatori agiscono. Si ipotizza che la sospensione brusca dell’antidepressivo produca una riduzione dei livelli sinaptici di neurotrasmettitori, senza un contemporaneo aumento dei recettori (processo che avviene dopo diversi giorni o settimane). La sindrome non è pericolosa per i sintomi che produce, ma lo è perché può spaventare il paziente e indurre il medico a un errore terapeutico. Infatti, alcuni dei sintomi da sospensione potrebbero essere attribuiti erroneamente al sopraggiungere di una nuova patologia psichiatrica. La sindrome può essere prevenuta monitorando attentamente i pazienti ed evitando le sospensioni brusche. Sono disponibili diversi studi che hanno messo a punto gli schemi di riduzione dei dosaggi più adatti per ciascuna molecola con i tempi necessari. In caso di insorgenza della sindrome, normalmente si riprende la somministrazione dell’antidepressivo o si fornisce supporto sintomatico al paziente. In alcuni casi si può introdurre la fluoxetina al posto della molecola utilizzata al momento della sospensione. Si ritiene che la sindrome da sospensione possa verificarsi con maggior facilità quando i farmaci antidepressivi vengono utilizzati al di fuori delle indicazioni psichiatriche (uso off-label) come, per es., nel controllo del peso. Particolare attenzione bisogna porre alle pazienti in terapia con antidepressivi che scoprono di essere in gravidanza, in quanto la sindrome da sospensione è stata osservata anche nel neonato, e in questo caso i sintomi possono essere pericolosi.
Intorno al 1990 qualche studioso cominciò a sospettare un collegamento tra uso degli antidepressivi e atteggiamenti suicidari. Tali eventi si osservavano specialmente in pazienti che non avevano mostrato in precedenza comportamenti o propositi suicidari. La correlazione sembrò paradossale, dal momento che uno dei maggiori pericoli legati allo stato depressivo consiste nella possibilità che il paziente si suicidi, tanto che i farmaci antidepressivi vengono somministrati anche per evitare il suicidio. Questo fatto ha creato notevoli difficoltà nella stima del rischio, in quanto è difficile capire quanti pazienti hanno un atteggiamento suicidario a causa della depressione e quanti per effetto dei farmaci antidepressivi. Recenti analisi statistiche hanno messo a confronto i dati di numerosi studi su un alto numero di pazienti, cercando di eliminare i dati confondenti (ad es., presenza di altre patologie o abuso di sostanze stupefacenti). Considerando globalmente i dati, il rischio di comportamenti o ideazioni suicidarie è modesto, ma se si stratificano tali dati per fasce di età si rileva un incremento significativo del rischio nei ragazzi al di sotto dei diciotto anni e nei giovani adulti di età compresa tra i diciotto e i ventiquattro anni. Non è ancora chiaro il meccanismo con il quale gli antidepressivi possano creare tale problema. La genesi sembrerebbe da attribuirsi alle diverse tempistiche con cui si manifestano gli effetti dei farmaci antidepressivi. Prima di arrivare al miglioramento dei sintomi della depressione, possono insorgere effetti collaterali quali acatisia (incapacità di star fermi), mania, reazioni ossessive, insonnia. Tutti questi fattori possono predisporre il paziente a un atteggiamento suicidario. Gli adolescenti e i giovani adulti sono più a rischio, probabilmente perché il loro cervello si presenta molto più plastico: un intervento farmacologico su neuroni non ancora stabilizzati potrebbe produrre effetti amplificati. Infine, considerando che non sono ancora del tutto chiari i vantaggi terapeutici dell’uso di antidepressivi in bambini e adolescenti, il rapporto rischio-beneficio sembra essere notevolmente ridotto in tali soggetti.