ANTIFONA (fr. antienne; sp. antifona; ted., ingl. antiphona)
L'aggettivo greco ἀντίϕωνος (da ἀντί "contro" e ϕωνή "voce, suono") significherebbe, secondo la maggioranza, "che risuona contro", cioè "che risponde". L'antifona sarebbe dunque un canto alternato. Ma, secondo gli antichi, ἀντίϕωνος significa la contrapposizione di una voce ad un'altra; l'antifona indicherebbe cioè l'intervallo d'ottava, e il nome sarebbe nato dai cori misti di uomini e donne (o ragazzi) che cantavano ad un'ottava d'intervallo; oppure dall'uso di due motivi, il secondo dei quali incominciava con una nota all'ottava della base, o da un pezzo solo nel corso del quale si presentava lo stesso intervallo.
Più tardi, nel corso del sec. IV, questo modo di esecuzione fu trasportato nella salmodia: e pare che il salmo fosse eseguito da un cantore solo, mentre, ogni tanto, il popolo ripeteva un versetto, o parte di esso, od un'altra formula, a mo' di ritornello: come si fa tuttora con l'antifona Lumen ad revelationem gentium, ripetuta quale ritornello dopo ogni versetto del cantico Nunc dimittis, nella festa della Purificazione, il 2 febbraio. Oggi l'antifona indica un canto più o meno breve, che precede e segue un salmo. Ma nel sec. IV s'introdusse tra i versetti dei salmi una formula (ὑπόψαλμα): e la salmodia a responsorio fu designata con il nome di antifona: l'innovazione fu dunque più apparente che reale.
Circa l'origine del canto religioso alternato, non va perduto di vista il fatto che il canto alterno dei cori fu una delle glorie della tragedia greca. L'esecuzione di una salmodia antifonica è descritta da Filone (De vita contempl.), a proposito della setta dei terapeuti: molto più incerto è il rapporto tra la liturgia di questi asceti e quella in uso nelle sinagoghe. Ma, se di canti alternati innalzati dai cristiani "a Cristo come Dio" parla già la celebre lettera di Plinio il giovine (Epist., X, 97) a Traiano, va senz'altro esclusa la parte che lo storico Socrate (Hist. Eccles., VI, 8) vuole assegnare, a tale proposito, a S. Ignazio d'Antiochia. Testimonianze molto più attendibili (come quelle di Teodoreto, Hist. Eccl., II, 19; Teodoro di Mopsuestia, in Niceta Choniales, Thesaurus fidei, V, 30) attribuiscono l'introduzione della salmodia antifonica a Flaviano e Diodoro, che avrebbero radunato, in Antiochia, al tempo delle lotte ariane, i fedeli alla formula nicena sulle tombe dei martiri, senza che il vescovo Leonzio, debole e irresoluto tra partiti e fornule teologiche in contrasto, osasse opporsi. A loro volta, Flaviano e Diodoro avrebbero trasportato questo uso nella chiesa greca dalla siriaca: S. Efrem ricorda gl'inni e i salmi composti dai discepoli dello gnostico Bardesane di Edessa, mentre altri cantici furono composti da altri maestri della Gnosi greca. A quest'innologia ereticale, S. Efrem (morto nel 373) contrappose i suoi cantici.
Eusebio di Cesarea (Hist. Eccl., II, 17) descrive anch'egli, sulle orme di Filone, i terapeuti, ma in realtà descrive l'uso del suo tempo. Quando egli, poco dopo la pace costantiniana (313) redigeva la sua storia ecclesiastica, nelle chiese cantavano dunque due cori, prima alternandosi, poi riunendosi per cantare lo stesso motivo, all'intervallo di un'ottava. Più tardi rimase solo il canto alternato, e il nome antifona designò questo solo.
L'usanza si diffuse ben presto in Oriente come in Occidente: sia per arricchire la liturgia, sia per rispondere in qualche modo ai canti ingiuriosi degli ariani. Così fece S. Giovanni Crisostomo a Costantinopoli (Socrate, Hist. eccles., VI, 8); così, secondo alcune fonti, papa Damaso in Roma, forse dopo il concilio del 382, al quale parteciparono vescovi orientali. S. Ambrogio, nel 386, per trattenere i fedeli assediati dagli ariani nella Basilica nova di Milano, insegnò loro a cantare notte e giorno inni e salmi a cori alternati (S. Agostino, Confess., IX, 7).
Furono d'allora in poi composte molte brevi preghiere, lodi, e invocazioni in onore della festa che si celebrava; si ripetevano ad ogni versetto dei salmi, e furono dette antifone. La loro melodia si venne ornando sempre più, e quindi, cantate solo dai capi cantori, servirono pure a indicare il modo o tono con cui si doveva cantare il salmo dal coro. Per tutto il Medioevo la liturgia continuò ad arricchirsi di melodie a vario sviluppo, che costituirono il cosiddetto canto gregoriano, perché si attribuisce a S. Gregorio Magno la revisione e l'ordinata raccolta di tutte le melodie liturgiche della Messa e dell'Ufficio. Col tempo però, e per mancanza di cantori, e per abbreviare l'ufficiatura, si cantò l'antifona solo al principio e alla fine del salmo, e nella Messa o si lasciò addiritturs il salmo, come all'Offertorio e alla Comunione, o se ne cantò un solo versetto, come all'Introito. Questi usi delle antifone sono ancora quelli in vigore attualmente. Nell'Ufficio ogni salmo ha la sua antifona speciale, presa dal salmo stesso, o, in onore della festa che si celebra, tratta da altre parti della Sacra Scrittura, o dalla vita dei santi, e la melodia di essa designa quella del salmo.
Si chiamano antifone maggiori due serie di antifone: una di queste è costituita da quelle quattro che, secondo i varî tempi dell'anno, si dicono in fine dell'Ufficio ad onore di Maria, e l'altra di sette, che con grande solennità si cantano ai vespri nei sette giorni che precedono il Natale.
Bibl.: H. Leclercq e L. Petit, in Dictionn. d'archéol. chrétienne et de liturgie, I, II, s. v. Antienne e Antiphone; P. Wagner, Origine et développement du chant liturgique, Tournai 1904; F. A. Gevaert, La mélopée antique dans le chant de l'Église latine, Gand 1895; I. Schuster, Liber sacramentorum, I, Roma e Torino 1919.