Antimicrobici
I farmaci antimicrobici comprendono tutte quelle sostanze in grado di inibire, a concentrazioni tollerate dall'organismo, un processo metabolico o una via di sintesi presente a livello del microrganismo infettante. Esistono antimicrobici prodotti da microrganismi e sostanze di sintesi: la diversa derivazione ha fatto sì che queste sostanze venissero denominate, rispettivamente, antibiotici e chemioterapici. Nell'ambito degli antimicrobici possono essere distinti: gli antibatterici, che agiscono principalmente contro batteri, gli antimicotici, attivi contro gli agenti responsabili di micosi, gli antivirali, in grado di contrastare le infezioni legate a virus. Numerose classificazioni vengono proposte per questa categoria di farmaci, che, peraltro, data la frequente esigenza di far ricorso a terapie antimicrobiche, rappresentano uno dei capitoli economicamente più rilevanti per la spesa farmaceutica. L'impiego di un antimicrobico deve esser giustificato da precise indicazioni cliniche e deve esserne evitato l'uso incongruo e non mirato, vale a dire senza una diagnosi accertata o presunta del tipo di agente responsabile.
I.
Già alcuni millenni prima di Cristo, ebrei e cinesi erano soliti ricorrere all'uso di muffe, ricavate polverizzando ramoscelli d'issopo o lasciando decantare a lungo il latte di soia, per risanare piaghe e ferite infette. Decotti, polveri e unguenti dotati di empirico potere curativo per le infezioni sono ancora di abituale impiego presso molte popolazioni 'primitive'. Alcuni popoli dell'America centrale utilizzano un rimedio ricavato dai chicchi ammuffiti di mais, il cuxum, mentre in America latina una tribù boliviana guarisce dalla febbre puerperale con un decotto a base di coca e muffe del mais e della patata. In Africa è frequente l'applicazione locale sulle piaghe di 'terre medicamentose', una pratica che ricorda l'uso delle 'terre sigillate', tipico della farmacologia romana e medievale. In Asia, nell'area tibetana, le ferite si curano spalmandovi un unguento preparato con le muffe che si formano sulle ossa lasciate a lungo in luoghi umidi, rimedio simile alla 'polvere di mummia' suggerita dalla farmacopea rinascimentale.
Anche nella medicina popolare è diffuso l'impiego di sostanze ritenute dotate di potere antimicrobico naturale. Comune è il ricorso, per favorire la cicatrizzazione delle ferite di animali o di persone, all'applicazione locale di ragnatele di muschio, di polvere delle travi, di muffe del pane, del latte e del formaggio. Nelle foruncolosi e nelle impetigini viene indicata l'assunzione di lievito. Ancora più del semplice miele, la pappa reale è considerata l''antibiotico naturale' per eccellenza e, nella farmacopea empirica del popolo, occupa un posto di grande rilievo.
2.
Tra la fine del 19° secolo e l'inizio del 20°, mentre si constata l'insufficienza della sierovaccinoterapia nella lotta contro le infezioni, la 'rivoluzione farmacologica', realizzata dalla comparsa dei farmaci di sintesi prodotti dalla nascente industria farmaceutica, favorisce l'affermarsi dell'idea che per debellare definitivamente le malattie infettive non sia più possibile affidarsi solo a rimedi costituiti da sostanze naturali (cioè già disponibili in natura), ma sia necessario ricorrere a una 'terapia chimica', mediante l'uso di sostanze artificiali (composti realizzati per sintesi chimica in laboratorio). Assertore convinto della 'chemioterapia' è un geniale scienziato tedesco, P. Ehrlich. Egli ritiene possibile identificare sostanze che, introdotte dall'esterno nell'organismo malato, siano in grado, per affinità chimica, di riconoscere i germi patogeni e di distruggerli senza danneggiare altri organi: composti in grado di agire come 'proiettili magici', uccidendo selettivamente i microbi responsabili della malattia senza arrecare danno all'ospite e realizzando quella therapia sterilisans magna a lungo perseguita, ma mai attuata, dalla medicina ottocentesca. Un nuovo farmaco messo in commercio nel 1910 per la cura della sifilide, il Salvarsan (chimicamente un derivato dell'arsenico, l'arsenobenzolo), frutto della tenace e sistematica ricerca dello stesso Ehrlich, sembra possedere tutte queste caratteristiche e pare in grado di indicare realmente una strada nuova nella terapia contro le infezioni.
Anche se, dopo i primi entusiasmi, sul piano terapeutico i risultati non sono così brillanti com'era sembrato inizialmente, l'idea di Ehrlich è comunque vincente. La chemioterapia, dopo un lungo periodo di stasi, con la scoperta nel 1935 dei sulfamidici, fornisce la prima vera arma efficace contro le infezioni. L'idea chemioterapica mutuata dalla 'nuova farmacologia' (espressione dell'impegno scientifico-culturale e del sostegno economico-industriale tedeschi) lascia in ombra per lungo tempo le osservazioni (calibrate sulla latina 'farmacologia classica', maggiormente attenta alla fitoterapia e ai rimedi naturali) che, con diverso grado di consapevolezza, alcuni medici e batteriologi italiani, francesi e inglesi compiono in quegli stessi anni sull'attività antimicrobica di determinati miceti. Nel 1823, il chimico e naturalista B. Bizio osserva che la presenza di muffa su un terreno di polenta inibisce la crescita delle colonie di un germe da lui identificato (Serratia marcescens). In Inghilterra osservazioni analoghe riguardanti l'azione antimicrobica di muffe del genere Penicillium sono fatte nel 1870 dal batteriologo B. Sanderson, nel 1871 dal chirurgo J. Lister e nel 1874 dal medico W. Roberts.
In Francia, nel 1877, anche L. Pasteur segnala l'esistenza di un effetto inibente delle muffe sulla crescita batterica, mentre iniziano a essere sfruttate le conoscenze sull'antagonismo batterico (combattere i batteri patogeni con altri batteri in grado di contrastare ed eliminare i primi ma innocui per il malato), descritto da V. Babès e R. Emmerich. Nel 1885, A. Cantani riferisce i brillanti risultati clinici e microbiologici ottenuti su un malato affetto da tubercolosi insufflando nelle sue vie respiratorie, con un inalatore, una coltura di Bacterium termo. Nel 1892 il batteriologo B. Gosio, incaricato di svolgere indagini sull'endemia di pellagra del Veneto, isola da piante di grano alcune specie di Penicillium, dalla cui coltura ricava un 'brodo' che filtra e concentra ottenendo, mediante un'elaborata procedura chimica, cristalli che impediscono lo sviluppo del bacillo del carbonchio. Nel 1895 l'igienista V. Tiberio comunica i risultati da lui ottenuti indagando Sugli estratti di alcune muffe (così s'intitola il lavoro pubblicato sul fascicolo di gennaio degli Annali d'Igiene Sperimentale), rilevando che "nella sostanza cellulare delle muffe esaminate sono contenuti dei principi solubili in acqua forniti di un'azione battericida". Tiberio percepisce l'importanza delle sue ricerche, ma non ha né i mezzi né la determinazione per continuare lungo questa promettente strada.
Nei primi anni del Novecento le osservazioni sulla competitività biologica (azione antimicrobica delle muffe e dei lieviti e antagonismo batterico) diventano sempre più numerose: nel 1907 il batteriologo francese C.J.H. Nicolle ottiene dal Bacillus subtilis una sostanza attiva contro il bacillo della tubercolosi; nel 1921 il biologo tedesco R. Lieske descrive il potere inibente di varie muffe sui microrganismi; nel 1924 i microbiologi francesi A. Gratia e S. Dath preparano estratti di batteri e di miceti dotati di attività antisettica nelle infezioni urinarie; nel 1928 il biologo tedesco I. Schiller conclude una serie di ricerche che dimostrano la possibilità di produrre dai lieviti sostanze antibatteriche. Si realizzano gradualmente , in questo modo, le condizioni che favoriscono l'individuazione della penicillina, la cui importanza viene correttamente compresa dal suo scopritore, il batteriologo A. Fleming.
Anche se, sul piano culturale, da un lato "il fatto che l'antagonismo batterico fosse così ben noto - come afferma Fleming nel 1946 - ha ostacolato più che favorito l'inizio dello studio sugli antibiotici", dall'altro il predominio in ambito medico e farmacologico della concezione chemioterapica spinge alla ricerca di composti artificiali costruiti chimicamente in laboratorio, piuttosto che all'identificazione di meccanismi o prodotti naturali quali armi vincenti nella lotta alle malattie infettive.
3.
Nel 1928, Fleming, che lavora al St. Mary's Hospital di Londra, nel corso di alcune ricerche sugli stafilococchi, nota che una muffa, contaminando una piastra di coltura, è in grado di dissolvere selettivamente le colonie di batteri. Ottenuta una coltura pura di Penicillium notatum (questo il nome del micete) e coltivatala poi in un mezzo liquido, egli ne ricava una sostanza non tossica che chiama 'penicillina', in grado, come egli scrive, "di svolgere un'azione selettiva bacteriostatica e bactericida per molti dei più comuni germi patogeni". Nel 1929 Fleming comunica ufficialmente alla comunità scientifica "che la penicillina avrebbe potuto essere utile nella cura delle infezioni". Il composto è però instabile: le difficoltà legate a questo fatto impongono una lunga sosta, sino al 1939, quando il biochimico berlinese E.B. Chain e il patologo australiano H.W. Florey danno inizio a sistematiche ricerche sugli antibiotici, riuscendo in breve tempo a concentrare la penicillina e a dimostrarne le straordinarie proprietà terapeutiche. Resta da risolvere il problema della produzione su larga scala, non realizzabile in Gran Bretagna a causa della guerra. Non esistendo questioni di brevetto o limitazioni commerciali, Florey si trasferisce negli Stati Uniti per continuare le ricerche. Alle tappe scientifiche ed europee della scoperta segue così la fase industriale e nordamericana della produzione.
L'interesse statunitense per la penicillina nasce dal convergere simultaneo di due esigenze: una industriale, per una produzione in grado di fornire un ottimo profitto economico; l'altra militare, per un medicinale in grado di procurare, sul piano sanitario, la superiorità sull'avversario. Il 'progetto penicillina', inizialmente segreto, è secondo solo al 'progetto Manhattan' per la realizzazione della bomba atomica. Potere politico e potere economico, industria e università, strategia militare e ricerca medica realizzano un'insolita cooperazione; inoltre si verifica un eccezionale scambio di informazioni tra case farmaceutiche concorrenti per favorire la rapida produzione di massa della penicillina. Dopo i primi sporadici e non sempre felici tentativi di cura sull'uomo (il primo paziente trattato, un poliziotto di Londra con una grave setticemia, dopo un iniziale miglioramento, muore per l'esaurirsi delle esigue scorte del farmaco), nel 1942 iniziano sperimentazioni cliniche più sistematiche che portano, terminata la guerra, alla commercializzazione e alla rapida diffusione dell'antibiotico, prima negli Stati Uniti e poi, a opera degli stessi militari americani, nei paesi dell'Europa liberata. Nel 1945 a Fleming, Chain e Florey viene assegnato il premio Nobel per la medicina: la loro straordinaria scoperta è destinata a modificare radicalmente il cammino dell'umanità.
4.
Il termine 'antibiotico', nel significato di sostanza dotata di potere antibatterico, è introdotto nel linguaggio medico da S.A. Waksman nel 1942. L'impatto degli antibiotici sulla medicina e sulla società è enorme, tale da rappresentare nel dopoguerra, insieme ai miglioramenti dell'alimentazione e dell'igiene ambientale, il principale fattore in grado di influenzare in modo significativo la durata e la qualità della vita, tanto da indurre a parlare di 'era antibiotica'.
Oltre alle penicilline (dal Penicillium se ne ottengono quattro diversi tipi, ma solo la penicillina III, come la chiamano gli inglesi, o penicillina G, come è denominata dagli statunitensi, si mostra attiva sui germi gram-positivi) in pochi anni si identificano altri antibiotici. Alcuni, come la tirotricina o la gramicidina, isolate dal Bacillus brevis nel 1939 dall'agronomo R.J. Dubos, o l'actinomicina A, scoperta nello stesso anno da Waksman nell'Actinomyces griseus, sono assai efficaci in vitro ma tossici in vivo. Altri, invece, sono i capostipiti di 'famiglie' di antibiotici destinati a entrare nell'uso clinico corrente. La streptomicina, isolata sempre da Waksman nel 1942 dallo Streptomyces griseus, si dimostra estremamente attiva sui gram-negativi e sul bacillo della turbercolosi ed è il capostipite degli aminoglucosidi; il cloramfenicolo, isolato nel 1947 da un filtrato di coltura di Streptomyces venezuelae, unico rappresentante della sua classe, è anch'esso assai efficace contro i gram-negativi.
La cefalosporina C, identificata nel 1945 a Cagliari dal microbiologo G. Brotzu da una coltura di Cephalosporium acremonium, è il capostipite di una classe di antibiotici (le cefalosporine, appunto), definitivamente identificati nel 1960 da E.P. Abraham e G.G.F. Newton, che apre la strada alla produzione di cefalosporine semisintetiche o di completa sintesi (ottenute cioè manipolando biochimicamente cefalosporine naturali o sintetizzandole completamente in laboratorio). La clortetraciclina, scoperta nel 1948 dal botanico B.M. Duggar, è il capostipite delle tetracicline; l'eritromicina, isolata nel 1952 dal biologo J.M. McGuire dallo Streptomyces erytreus, è attiva su numerosi gram-positivi e gram-negativi ed è il capostipite della classe dei macrolidi.
A partire dagli anni Cinquanta, in coincidenza del fenomeno storico dell'esplosione farmacoterapica, la scoperta e l'isolamento di nuovi antibiotici procede a ritmo sempre più intenso: tra le tappe di maggior significato occorre ricordare, nel 1957, la scoperta a opera di P. Sensi delle rifamicine, dotate di intensa attività antitubercolotica e, nel 1961, la messa a punto dell'ampicillina, la prima penicillina semisintetica, capostipite dei β-lattamici semisintetici e sintetici, antibiotici in grado di aggirare la resistenza batterica di cocchi produttori di penicillasi. Un cenno particolare meritano la scoperta, nel 1950, della nistatina, primo di un gruppo di antibiotici antimicotici, nel 1963 l'identificazione da parte di alcuni ricercatori guidati da A. Di Marco della daunomicina, che apre la serie degli antibiotici antineoplastici e, nel 1986, l'introduzione in terapia dell'aztreonam, primo monolattamico.
Dal 1945 l'impiego in terapia degli antibiotici fornisce alla medicina farmaci innovativi e risolutivi nei confronti di malattie infettive da sempre ritenute inguaribili. All'ottimismo scientifico dei ricercatori, all'entusiasmo curativo dei medici, all'euforia economica degli industriali farmaceutici, al trionfalismo degli epidemiologi si sostituiscono presto però in ambito medico-farmacologico i primi insuccessi terapeutici, in campo politico-industriale le difficoltà economiche e scientifiche della ricerca, nel settore statistico-sociale la delusione nel constatare il persistere di numerose infezioni. All'origine di queste difficoltà vi sono due fenomeni concomitanti: uno biologico, l'altro metodologico. L'insorgenza della resistenza batterica porta i germi patogeni dapprima a richiedere per la loro eliminazione dosi sempre crescenti di antibiotico, poi alla selezione di ceppi insensibili (resistenti) al farmaco, che risulta così inefficace. Il cattivo uso e l'abuso degli antibiotici ne determinano l'impiego indiscriminato e non selettivo anche in infezioni banali o l'utilizzazione ingiustificata nel corso di infezioni non batteriche: oltre che all'inadeguatezza professionale del medico, anche un'acritica accettazione della propaganda farmaceutica promossa da un'industria in grado di produrre antibiotici sempre più potenti, ma spesso attenta maggiormente agli aspetti economici piuttosto che ai progressi scientifici, è responsabile di questo stato di cose che favorisce, particolarmente nell'ambiente ospedaliero, la ricomparsa di gravi e talvolta ancora letali infezioni.
Aspetti farmacologici (Red.)
I.
Si chiamano 'antibiotici' le sostanze chimiche prodotte da varie specie di microorganismi (batteri, funghi, actinomiceti ecc.) in grado di sopprimere la crescita di altri microrganismi o anche di distruggerli. Le molecole di antibiotici sono numerosissime e differiscono notevolmente fra di loro, non solo da un punto vista chimico-fisico, ma anche per quanto attiene alle loro proprietà farmacologiche, allo spettro di azione e al meccanismo di azione. Per la maggior parte di esse è nota la struttura chimica ed è stata possibile la sintesi chimica; poche molecole sono estratti bruti o solo parzialmente purificati. I chemioterapici sono, invece, molecole ad azione antimicrobica unicamente derivate da sintesi chimica.
Un farmaco antimicrobico ideale dovrebbe possedere una attività antimicrobica il più possibile selettiva; essere battericida, in grado cioè di distruggere il microrganismo, più che batteriostatico, in grado cioè di rallentare la crescita batterica; possedere uno spettro di azione ampio; non indurre resistenza; non essere influenzato nella sua azione dai fluidi organici (essudati, enzimi plasmatici ecc.); possedere caratteristiche di assorbimento e distribuzione tali da raggiungere rapidamente, e mantenere a lungo, concentrazioni efficaci.
Tutte queste caratteristiche non sono ancora riscontrabili in un solo farmaco e pertanto sempre nuove molecole sono in fase di studio.Le possibilità di classificare i farmaci antimicrobici sono numerose. La classificazione più semplice è quella che si basa sull'efficacia clinica, in funzione della gamma di microrganismi che il farmaco è in grado di inibire. Sono considerati due livelli: farmaci ad ampio spettro, attivi cioè contro un gran numero di microrganismi (per es., tetracicline e cloramfenicolo, attivi sia su gram-positivi, sia su gram-negativi, sia su rickettsie) e farmaci a spettro ristretto (per es. la penicillina G, attiva solo su gram-positivi e neisseria).
Sulla base del meccanismo d'azione gli antimicrobici vengono invece distinti nelle categorie di seguito elencate.
a) Farmaci in grado di inibire la sintesi della parete della cellula microbica (bacitracine, cefalosporine, cicloserina, penicilline, vancomicina). L'azione di questi farmaci si esplica sulla sintesi della parete cellulare del batterio attraverso meccanismi specifici che coinvolgono sostanze presenti solo sulla parete microbica, il che rende ragione della ridotta tossicità per le cellule dell'organismo umano. La ragione del diverso grado di sensibilità dei diversi microrganismi a ciascuno di questi farmaci risiede nelle differenze strutturali delle pareti microbiche tali da condizionare l'attività del farmaco stesso. Le penicilline possono determinare fenomeni di resistenza batterica, sia per produzione da parte dei microrganismi stessi di enzimi che le inattivano, sia attraverso altri meccanismi (scarsa affinità, tolleranza).
b) Farmaci in grado di inibire il funzionamento della parete cellulare (anfotericina B, nistatina, polimixina). Queste sostanze determinano una lisi della parete cellulare di alcuni batteri o di alcuni funghi, ma non delle pareti cellulari dell'organismo umano. Le polimixine, per es., agiscono sulle membrane cellulari dei gram-negativi e i polieni agiscono, con lo stesso meccanismo, sulle pareti fungine, ma non è possibile il contrario, a causa della presenza sulla parete cellulare di specifiche sostanze cui i due tipi di farmaci si legano: steroli, presenti sulle membrane dei funghi, per i polieni, fosfatidiletanolamina, presente sulle membrane dei gram-negativi, per le polimixine.
c) Farmaci in grado di inibire la sintesi proteica (cloramfenicolo, eritromicina, lincomicina, kanamicina, neomicina, streptomicina, tobramicina ecc.). Questa azione si esplica attraverso la fissazione del farmaco a sottounità ribosomiali del microrganismo, con conseguente incapacità della cellula batterica di sintetizzare proteine, e morte cellulare. Ciascuna delle famiglie di antimicrobici (aminosidi, tetracicline, cloramfenicolo, macrolidi, lincomicine) che operano con questo meccanismo di azione ha un diverso sito di legame con l'unità ribosomiale. Inoltre, le caratteristiche dei ribosomi microbici e di quelli dei mammiferi sono diverse per quanto riguarda le sottounità, la composizione chimica e la specificità di funzionamento. È per questo che i ribosomi dell'organismo non sono coinvolti dall'azione di questi farmaci.
d) Farmaci in grado di inibire la sintesi degli acidi nucleici (rifampicina, idossiuridina, acido nalidixico e i chinoloni di nuova generazione, l'acido paraaminosalicilico, i sulfamidici, vidarabina, zidovudina). Questi farmaci determinano l'inibizione della sintesi del DNA, attraverso vari meccanismi: blocco della formazione del DNA messaggero, blocco dell'incorporazione di aminoacidi nel DNA virale, fissazione sull'RNA polimerasi-DNA dipendente ecc. Sono attivi anche sui virus. Taluni sono analoghi di metaboliti essenziali nella sintesi proteica (per es. i sulfamidici sono analoghi dell'acido paraaminobenzoico).
2.
Per resistenza batterica si intende la capacità di un microrganismo di non risentire dell'azione di un antimicrobico. Esistono vari meccanismi responsabili di questo fenomeno: 1) produzione di enzimi che inattivano il farmaco: gli stafilococchi, per es., producono una β-lattamasi che inattiva la penicillina G; 2) modificazione della permeabilità al farmaco: gli streptococchi, per es., possiedono una parete naturalmente impermeabile agli aminosidi; 3) modificazione di un sito d'azione del farmaco: per es., i germi resistenti all'eritrocina possiedono una proteina modificata a livello del ribosoma 50S; 4) sviluppo di una via metabolica che cortocircuita la reazione inibita dal farmaco: alcuni batteri sulfamido-resistenti, per es., impiegano acido folico, come i mammiferi, al posto dell'acido paraaminobenzoico; 5) presenza di un enzima modificato con le stesse funzioni di quello normale, ma meno sensibile al farmaco: fra i batteri sulfamido-sensibili, per es., la acidotetraidropetroico-sintetasi ha maggiore affinità per i sulfamidici che per l'acido paraaminobenzoico, mentre nei germi sulfamido-resistenti si verifica il contrario.
L'origine della resistenza batterica può essere genetica e non genetica. La maggior parte dei germi resistenti compare a seguito di mutazioni e della selezione che ne è seguita. La resistenza può comparire a seguito della mutazione di un sito cromosomico, che controlla la sensibilità a un certo antibiotico (sito d'azione del farmaco, recettori del farmaco): la presenza del farmaco permette di selezionare i germi resistenti che si moltiplicano, mentre quelli sensibili muoiono. Alcuni batteri contengono dei frammenti di genoma extracromosomico, chiamati episomi o plasmidi. Esistono classi di plasmidi che contengono geni per la resistenza agli antimicrobici e ai metalli pesanti, in genere attraverso la sintesi di enzimi inattivanti. I plasmidi possono far apparire la resistenza alla penicillina, per es. se codificano la sintesi della β-lattamasi, oppure al cloramfenicolo, se codificano enzimi che lo inattivano ecc. La resistenza batterica di origine non genetica è quella posseduta, per es., da germi che, in un periodo della loro permanenza nell'organismo, non si moltiplicano e quindi non possono essere attaccati dai farmaci che, in generale, agiscono sui germi in fase di moltiplicazione. Per es., i micobatteri che sopravvivono a lungo in taluni tessuti, sono inibiti dalle difese dell'organismo e non si moltiplicano, sono quindi resistenti. Un'altra possibilità è legata alla perdita, da parte del microrganismo, del sito specifico necessario per l'azione di un farmaco. Per es., taluni microrganismi sensibili alla penicillina possono trasformarsi in protoplasti, forme prive di parete batterica e, poiché le penicilline agiscono sulla parete, queste forme sono resistenti alla penicillina.
3.
È necessario tenere presenti alcuni problemi connessi con l'impiego di antimicrobici. Questi farmaci infatti non sono del tutto innocui: inducono fenomeni di ipersensibilità; possono, distruggendo la normale flora batterica, dar luogo a superinfezioni; determinano fenomeni di resistenza batterica. Pertanto, un antibatterico (antibiotico o chemioterapico) verrà impiegato solo in presenza di un'accertata infezione microbica. Di notevole importanza al fine di identificare l'antimicrobico specifico per il germe causa della malattia, è l'impiego di un test, detto antibiogramma, volto a saggiare la sensibilità del microrganismo verso un certo numero di antimicrobici. Sarà importante, inoltre, che il trattamento venga effettuato su indicazione del medico e prolungato per un periodo sufficiente a evitare ricadute.
4.
Si possono distinguere le seguenti famiglie.
a) Tetracicline (doxiciclina, clortetraciclina, metaciclina ecc.). Sono antibiotici batteriostatici ad ampio spettro che agiscono inibendo la sintesi proteica. Attive contro numerosi germi gram-positivi e gram-negativi, compresi taluni anaerobi, contro le clamidie, le rickettsie, i micoplasmi e taluni protozoi (amebe), vengono soprattutto impiegate in presenza di infezioni da clamidie, rickettsie, brucelle, mycoplasma pneumoniae, e in caso di colera. Le resistenze batteriche nei confronti di questi farmaci sono diffuse.
b) Amfenicoli (cloramfenicolo, tiamfenicolo). Sono antibiotici batteriostatici che agiscono sulla sintesi delle proteine e sono attivi nei confronti di talune salmonelle, haemophilus influenzae, taluni gram-negativi, taluni batterioidi e sulle rickettsie. L'indicazione principale del cloramfenicolo è rappresentata dalla febbre tifoide; inoltre, in associazione con le penicilline, gli amfenicoli sono indicati negli ascessi cerebrali e nelle meningiti batteriche. Per la potenziale mielotossicità, il loro impiego va strettamente controllato.
c) Penicilline (amoxicillina, ampicillina, bacampicillina, carbenicillina, penicillina G, meticillina, piperacillina ecc.). Inibiscono la sintesi della parete cellulare dei batteri. Nell'ambito delle penicilline è necessario, da un punto di vista pratico, distinguere fra penicilline ad ampio spettro, penicilline sensibili alla β-lattamasi, penicilline resistenti alla β-lattamasi. Le prime sono antibiotici di basso costo e di sicura efficacia, ma non sono resistenti alla β-lattamasi e, pertanto, devono essere impiegate con cautela quando è ipotizzabile la presenza di germi (stafilococchi, haemophilus influenzae, escherichia coli ecc.) che producono questo enzima. Ampicillina e amoxicillina sono frequentemente impiegate nelle infezioni delle vie respiratorie; l'amoxicillina, inoltre, è indicata per l'eradicazione dell'helicobacter pylori e per la profilassi prechirurgica dell'endocardite batterica; in particolare è in grado di neutralizzare le batteriemie che si verificano dopo le estrazioni dentali. La piperacillina è attiva contro gli enterococchi, i gram-negativi aerobi, compreso lo pseudomonas aeruginosa e gli anaerobi. Le penicilline sensibili alla β-lattamasi sono in genere antibiotici obsoleti, a eccezione della penicillina G, che viene ampiamente impiegata nella profilassi della malattia reumatica. La penicillina V è impiegata nelle faringiti streptococchiche. Le penicilline resistenti alla β-lattamasi (cloxacillina, oxacillina ecc.), infine, sono farmaci di impiego prevalentemente ospedaliero, riservate al trattamento di infezioni da stafilococchi produttori di β-lattamasi.
d) Cefalosporine (cefaclor, cefadroxil, cefalexina, cefaloridina ecc.). Sono antibiotici battericidi di buona efficacia e tollerabilità, che agiscono bloccando la sintesi della parete cellulare. Si distinguono, da un punto di vista pratico, in orali e iniettabili; nell'ambito di queste due categorie vengono ulteriormente distinte in farmaci di prima, seconda e terza generazione. Le cefalosporine di prima generazione sono attive verso un vasto spettro di germi gram-positivi e poco attive verso i gram-negativi. Le cefalosporine di seconda generazione (per es. cefaclor) sono utili nel trattamento delle infezioni respiratorie da haemophilus influenzae; quelle di terza generazione (cefixime, cefoperazone) sono particolarmente resistenti all'azione della β-lattamasi prodotta dai germi gram-negativi, hanno una lunga emivita e quindi possono essere somministrate in un'unica dose al giorno. Il loro impiego va comunque limitato e controllato per rallentare il diffondersi di resistenze.
e) Monobattami (aztreonam). Sono sostanze simili alle cefalosporine, elettivamente impiegate nel trattamento delle infezioni urinarie da germi identificati come sensibili attraverso l'antibiogramma.
f) Carbapenemi (imipenem, meropenem). Sono gli antibiotici a spettro d'azione più ampio, essendo attivi sia su gram-positivi (esclusi enterococchi e alcuni streptococchi), sia su gram-negativi (esclusi alcuni pseudomonas). Vengono impiegati in genere a livello ospedaliero, quando devono essere combattute gravi infezioni causate da germi resistenti ai comuni antibiotici.
g) Sulfamidici (sulfametizolo, sulfadiazina, sulfametxazolo ecc.) e trimetoprim. Sono farmaci di sintesi, batteriostatici che agiscono inibendo la sintesi delle purine. Molto frequentemente vengono impiegate associazioni di trimetoprim e sulfamidici. Determinano effetti collaterali dermatologici anche gravi e sono potenzialmente tossici a livello epatico, midollare, renale, e pertanto le loro indicazioni sono limitate al trattamento e alla profilassi delle infezioni da pneumocystis carinii e, talora, al trattamento di nocardiosi, toxoplasmosi, prostatiti, brucellosi, meningiti, infezioni urinarie e gastrontestinali. Peraltro, non possono essere considerati di prima scelta per quelle infezioni per le quali esistono valide alternative e sono comunque controindicati in gravidanza e nel neonato.
h) Macrolidi (eritromicina, midecamicina, roxitromicina, claritromicina ecc.). Sono antibiotici dotati di attività sia batteriostatica sia battericida, che agiscono inibendo la sintesi proteica. Oltre che nelle comuni infezioni possono essere utilmente impiegati nel trattamento della difterite, della pertosse e delle infezioni da micoplasmi clamidie e legionelle. Rispetto al farmaco capostipite, l'eritromicina, le molecole più recenti presentano minori effetti tossici epatici e gastrointestinali. La claritromicina, inoltre, è attiva anche sull'haemophilus influenzae, su alcuni gram-negativi e su alcuni micobatteri.
i) Lincosamidi (lincomicina, clindamicina). Sono antibiotici efficaci verso i gram-negativi e gli anaerobi. La lincomicina, farmaco capostipite, viene impiegata nelle infezioni da gram-positivi, particolarmente in soggetti allergici alle penicilline. La clindamicina viene impiegata nelle infezioni da stafilococchi e da anaerobi e, inoltre, trova particolare indicazione in presenza di osteomieliti, per la proprietà di accumularsi nel tessuto osseo. Recentemente è stata dimostrata la sua efficacia nel trattamento della toxoplasmosi cerebrale in corso di AIDS.
l) Aminoglicosidi (streptomicina, gentamicina, kanamicina, neomicina ecc.). La streptomicina è stato il primo antibiotico a mostrare un effetto determinante nei confronti del mycobacterium tuberculosis e viene tuttora impiegata nel trattamento della tubercolosi. Agisce inibendo la sintesi proteica. In associazione alle penicilline può essere utilmente considerata nel trattamento dell'endocardite batterica da enterococco o da streptococcus viridans. Gli altri farmaci di questa famiglia sono antibiotici battericidi attivi su alcuni gram-positivi e su molti gram-negativi. Hanno frequentemente effetti collaterali (ototossicità, nefrotossicità) e devono esser somministrati unicamente per via parenterale. Vengono impiegati in corso di setticemie, sepsi neonatali, meningiti e altre infezioni del sistema nervoso centrale, pielonefriti, endocarditi da streptococcus viridans o faecalis.
m) Fluorochinoloni (ofloxacina, pefloxacina, ciprofloxacina, norfloxacina ecc.). Sono farmaci di sintesi che hanno azione battericida, attraverso il blocco della sintesi del DNA batterico. Sono dotati di uno spettro di azione molto ampio e raggiungono efficaci concentrazioni ematiche e tissutali. Sono pertanto largamente impiegati per infezioni da gram-positivi e gram-negativi: infezioni del sistema gastrointestinale, delle vie urinarie alte e basse, gonorrea ecc. I fluorochinoloni hanno, per altro, dato luogo a resistenze (stafilococchi) a causa di un loro uso eccessivo. La norfloxacina e la ciprofloxacina sono impiegate nella terapia della diarrea del viaggiatore.
n) Glicopeptidici (vancomicina, teicoplanina). Sono antibiotici ad azione battericida, che inibiscono la sintesi della parete cellulare. Rappresentano i farmaci di prima scelta nel trattamento delle infezioni stafilococco ed enterococco resistenti o nei pazienti allergici alle penicilline. La vancomicina presenta nefrotossicità e ototossicità.
o) Derivati imidazolici (metronidazolo, clortrimazolo, econazolo ecc.). Vengono impiegati soprattutto come antiprotozoari (entamoeba histolytica), come antimicotici, sia sistemici sia topici (candidosi, tricomoniasi ecc.), e trovano, inoltre, indicazione nel trattamento di microsporidiosi, isosporidiosi, blastocitosi.
p) Antimicotici (amfotericina B, derivati imidazolici). L'amfotericina B è il farmaco di scelta per le micosi sistemiche, ma presenta marcati effetti collaterali (nefrotossicità, nausea, vomito) che ne limitano l'impiego esclusivamente in ambiente ospedaliero. Altri antimicotici sono rappresentati dai derivati imidazolici (v. sopra).
q) Antimicobatteri (rifampicina, isoniazide, pirazinamide, etambutolo e streptomicina). Il trattamento della tubercolosi richiede l'impiego di almeno tre farmaci contemporaneamente.
r) Antivirali (ribavirina, amantadina, aciclovir, zidovudina, ganciclovir, foscarnet). La ricerca e lo sviluppo di farmaci attivi contro i virus sono stati più lenti e meno produttivi rispetto ai corrispondenti antibatterici. Ciò è legato principalmente a difficoltà di ordine metodologico, soprattutto insite nel fatto che la replicazione del virus dipende dai meccanismi replicativi della cellula ospite e pertanto è difficile isolare molecole in grado di non danneggiare le cellule dell'organismo pur essendo attive sui virus. I meccanismi con cui i farmaci agiscono nelle varie fasi del ciclo virale consistono essenzialmente in un'inibizione a livello delle strutture virali superficiali, oppure in un'interferenza o nel metabolismo del DNA e dell'RNA a livello degli enzimi che regolano il metabolismo dei nucleotidi, o con le polimerasi e altri enzimi necessari per la replicazione dell'acido nucleico. La ribavirina è usata nel trattamento dell'influenza, delle forme respiratorie da virus sinciziale, dell'encefalite da herpes simplex 1, nelle infezioni da varicella-zoster nel paziente immunocompromesso. L'amantadina e il suo analogo rimantadina sono indicate nella profilassi dell'influenza di tipo A, ma non sono attive nella terapia. La vidarabina o ara-A è utilizzata nell'infezione da virus varicella-zoster, da herpes simplex 1 nel paziente immunocompromesso e nell'encefalite da herpes simplex 1. L'aciclovir è il derivato con maggiore attività sui virus erpetici: può essere applicato per via topica nell'herpes genitale e labiale e nella cheratite erpetica, mentre le indicazioni per via endovenosa o orale riguardano la prevenzione e la terapia delle infezioni da herpes e da citomegalovirus nei soggetti ad alto rischio, come i sottoposti a trapianti cardiaci, renali o di midollo. Ganciclovir o DHPG è un analogo dell'aciclovir, con maggior attività su citomegalovirus e virus di Epstein-Barr e uguale attività su herpes simplex 1 e 2 (anche resistenti ad aciclovir) e varicella-zoster. L'azidotimidina o zidovudina inibisce la trascriptasi inversa del virus HIV responsabile dell'AIDS; viene utilizzata nella profilassi, con somministrazioni a lungo termine, nell'ARC (AIDS related complex) e nel trattamento della malattia conclamata. L'acido fosfonoformico (foscarnet) e l'acido fosfonoacetico hanno una struttura chimica completamente diversa dagli altri antivirali antierpetici. Il foscarnet si è dimostrato efficace per applicazioni locali nel trattamento dell'herpes labiale e genitale; è in via di sperimentazione il trattamento in perfusione continua per forme di citomegalovirus in pazienti immunocompromessi.
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