LIBERATI, Antimo
Nacque a Foligno il 3 apr. 1617 da Pietro e da Tarquinia, di cui non è noto il cognome. Ebbe probabilmente la prima formazione musicale a Roma, dove il 9 febbr. 1628 cominciò a servire come soprano nella cappella di S. Giovanni in Laterano, al tempo in cui essa era diretta da Antonio Maria Abbatini. Accanto agli studi musicali, il L. compì gli "studij della legge e delle belle lettere" (cit. in Kast, p. 70), tanto che da giovane esercitò la professione di notaio in Foligno. Come musicista fu al servizio dell'imperatore Ferdinando III e dell'arciduca Leopoldo alla corte di Vienna in un periodo compreso all'incirca fra il 1637 e il 1643. Ritornato in Italia ricevette la prima tonsura e gli ordini minori il 6 febbr. 1644 dal vescovo di Foligno; nella stessa città fu ancora notaio, insieme con il fratello Pietro, negli anni 1644-45, ma presto decise di abbandonare questa professione per dedicarsi - come scrisse - "tutto allo studio di questa nobilissima scienza della musica in teorica & in prattica" (ibid.). Successivamente si trasferì a Roma, dove ebbe come maestri, come egli stesso ricorda più volte nei suoi scritti teorici, Gregorio Allegri (morto nel 1652) e Orazio Benevoli. Il nome del L. compare più volte quale candidato a un posto di cantore nella Cappella pontificia nei Diari sistini: il 27 maggio 1646, il 24 ott. 1648 e il 19 marzo 1652; in quest'ultimo caso è menzionato come "contralto della Chiesa Nuova" (S. Maria in Vallicella), posto che mantenne fino al marzo 1657 (Morelli, Il tempio armonico).
Nel 1653 il L. figura nella lista dei cantori ingaggiati da A.M. Abbatini per la festa di S. Maria della Neve in S. Maria Maggiore. Nel 1654 entrò come contralto nella Cappella Borghese in S. Maria Maggiore, avendo pure, dal 1659 al 1663, l'incarico di dirigervi le musiche per la solenne devozione delle Quarant'ore, che vi si teneva durante il carnevale. Dal marzo 1657 al novembre 1661 fu organista e maestro di cappella in S. Girolamo della Carità. Due mesi dopo l'assunzione, il L. ottenne dalla chiesa un aumento per la "paga de' musici", che fu portata da scudi 7,50 a 10 ogni mese. A S. Girolamo non meno importanti delle musiche di chiesa erano gli oratori che venivano eseguiti nella stagione invernale; nel gennaio 1661 al L. vennero infatti corrisposti ulteriori 12 scudi di "donativo […] per essersi portato bene […] nell'oratori che si fanno al nostro oratorio" (Simi Bonini, p. 27). È probabile dunque che a S. Girolamo della Carità siano stati eseguiti almeno parte dei 22 oratori elencati in un inventario delle sue musiche che lasciò per testamento alla cattedrale di Foligno.
Il 20 nov. 1661 fu ammesso come contralto nella Cappella pontificia, dapprima a mezza paga e poi a paga intera il 15 dic. 1662; in questa istituzione rivestì i ruoli di puntatore nel 1670 e di maestro di cappella negli anni 1674-75. Nonostante gli impegni a cui era tenuto come membro della Cappella pontificia, il L. riuscì a svolgere un'intensa attività presso altre istituzioni romane: dal 1664 fu incaricato di occuparsi delle musiche per particolari occasioni nel collegio Urbano de Propaganda Fide, e forse anche di insegnarvi il canto fermo ai collegiali. Dal 1669 fu maestro di cappella della Ss. Trinità dei Pellegrini e dal 1678 organista nella chiesa della nazione tedesca di S. Maria dell'Anima, svolgendovi anche funzioni di maestro di cappella in occasione delle maggiori festività. Il L. mantenne tali incarichi fino alla morte. Fu membro dell'Arciconfraternita delle Ss. Stimmate di S. Francesco, occupandosi negli anni 1673 e 1675 di dirigere le musiche per le maggiori feste di questo sodalizio, a cui - tra l'altro - appartenevano altri importanti musicisti del tempo (Wessely-Kropik, pp. 71 s.).
Più ancora che per la sua produzione musicale, peraltro in larga parte non pervenutaci, il L. è ricordato per i suoi scritti teorici. Grazie alla sua cultura giuridica e letteraria, oltre che musicale, godette infatti di particolare reputazione all'interno della Cappella pontificia e della Curia romana. Ne è prova il fatto che nel 1675, in vista dell'anno santo, il papa stesso volle confermarlo ancora per un secondo anno nel ruolo di maestro di cappella, contrariamente agli statuti della Cappella pontificia che prevedevano la rotazione annuale dei cantori nei vari incarichi tramite elezione.
La conferma fu motivata dal fatto che, durante il giubileo, "concorrendo in questa città [di Roma] molti oltremontani, potessero trovare un maestro di cappella del papa che, per merito e non per consuetudine, occupasse questo nobile magistero e sapesse con riputazione dell'istessa cappella sodisfare ai dubij che potessero proporsegli, dovendo questo soggetto in detto anno, come rappresentante il decisore delle difficoltà, essere superiore ad ogni difficoltà" (cit. in Kast, p. 67).
In effetti, alcuni scritti del L. sembrano dimostrare che in più di un'occasione si ricorse alla sua dottrina per avere un'autorevole opinione. Fra la fine del 1662 e l'inizio del 1663 scrisse un Ragguaglio dello stato del coro de' cantori nella cappella pontificia antico et moderno et avvisi per la sua conservazione (Bibl. apost. Vaticana, Cappella Sistina, 683).
Nello scritto il L. denuncia lo squilibrio venutosi a creare tra le diverse sezioni della cappella con la massiccia immissione di castrati che, saturate le parti di soprano, minacciavano di ricoprire anche quelle di contralto; tutto ciò avrebbe condotto a "l'esterminio di essa [cappella]" per diverse ragioni: la difettosa estensione dei castrati nel registro grave del contralto era poco adatta alle composizioni in stile "a cappella" in uso nella Cappella papale; l'aumentata disponibilità di posti avrebbe portato alla castrazione di un gran numero di giovani cantori, "di modo che non si trovarìano più voci naturali e virili"; la perdita della voce dei castrati intorno ai 50 anni, "laddove le voci naturali e virili la conservano 60 o 80 anni", avrebbe comportato un aumento di spesa per il mantenimento in pensione di questi cantori inabili al servizio (Ciliberti - Rambotti, pp. 116 s.).
Il 1° genn. 1666 il L. consegnò personalmente nelle mani di Alessandro VII il testo manoscritto di un altro saggio, l'Epitome della musica (Bibl. apost. Vaticana, Chigi, F.IV.72), scritto dietro sollecitazione dello stesso pontefice. È noto come già dai primi anni di pontificato Alessandro VII fosse ben intenzionato ad attuare una riforma della musica sacra che ristabilisse l'uso di uno stile "ecclesiastico, grave e devoto" in luogo di composizioni "intrise di profanità di suono e tono, lontano dalla pietà e proprio di villanelle e danze", come lamentavano gli stessi cantori pontifici in sintonia con il papa, praticate nelle chiese di Roma (Morelli, A. L., p. 299). La bolla Piae sollicitudinis studio, pubblicata nel 1657, e l'Editto sopra la musica emanato nel 1665, non senza difficoltà e resistenze da parte dei musicisti romani, avevano probabilmente bisogno di un supporto di carattere storico e giuridico che il L., forte della sua preparazione, cercò di offrire nell'Epitome della musica.
In questa opera, dopo aver delineato un profilo storico della musica attingendo a fonti classiche e bibliche, il L. celebra G. Pierluigi da Palestrina come "salvatore" della polifonia - che, secondo la leggenda, il concilio di Trento avrebbe voluto bandire dalle chiese - e "fondatore" della scuola romana, la cui tradizione si perpetua attraverso i cantori pontifici, ineguagliabili interpreti del repertorio sacro, "onde meritatamente vengono privilegiati dalle bolle de' sommi pontefici" (Ciliberti - Rambotti, p. 93).
Il tema dell'autorità di Palestrina e della scuola romana ritorna ancora più estesamente in un'altra opera teorica data alle stampe: la Lettera scritta dal sig. Antimo Liberati in risposta ad una del sig. Ovidio Persapegi… (Roma 1685).
Nel saggio il L. espone dettagliatamente i giudizi che gli vennero richiesti sulle cinque composizioni presentate da altrettanti candidati al posto di maestro di cappella nel duomo di Milano. Premesso che la musica è "mera opinione […] di cui non si può dar certezza veruna", il L. non può che giudicare ricorrendo alla "certezza morale" derivatagli dalla sua appartenenza alla "schola romana" (Ciliberti - Rambotti, p. 94). Dopo avere chiarito le origini della scuola romana e averne delineato una sorta di genealogia, il L. lascia cadere qua e là le regole teorico-pratiche a cui detta scuola si ispirerebbe, perlopiù desunte dall'analisi di passi delle opere palestriniane; tali regole si rivelano, tuttavia, generiche e insufficienti a delineare uno stile ben riconoscibile, ma sono utilizzate soltanto per avvalorare o confutare singoli procedimenti contrappuntistici.
Nel 1685, il L. fu interpellato per un altro parere intorno a una polemica Sollevata da Giovanni Paolo Colonna, maestro di cappella in S. Petronio a Bologna, su un passo di sospette "quinte parallele" da questo ravvisato nell'Allemanda della Sonata per due violini e basso continuo, op. II, n. 3, di A. Corelli. La discussione serrata e talvolta aspra intorno alla correttezza di questo passo è ricostruibile attraverso una serie di lettere scambiate perlopiù fra il L. e G.P. Colonna fra il 26 settembre e il 12 dic. 1685 (Rinaldi, pp. 429-444).
Anche in questa occasione il L. ricorse all'autorità della scuola romana, allegando passaggi estratti da brani di T.L. de Victoria, Palestrina, P. Heredia e propri, per giustificare il procedimento impiegato da Corelli; tuttavia, a differenza della citata Lettera… in risposta ad… Ovidio Persapegi, in cui aveva potuto esporre senza un contraddittorio le sue idee e i suoi giudizi, nella controversia sulle quinte di Corelli trovò un solido e strenuo avversario in Colonna, anch'egli formatosi alla scuola "della buona memoria de' signori Carissimi, Abbatini e Benevoli" (ibid., p. 435), che poté addurre opinioni ed esempi contrastanti con quelli del L. e avallati dall'autorità dei suoi maestri romani. Maliziosamente il L., rispondendo al Colonna, si chiese "se questi maestri non avessero usato l'artificio del piovano Arlotto che a' suoi commensali lodava le salsicce ma egli attendeva a mangiare i tordi" (ibid., p. 437); per difendere Corelli il L. dovette ricordare l'indiscutibile prestigio di cui godeva il celebre violinista e ammettere poi che "in alcune cose della musica il senso prevale alla ragione, in alcune altre la ragione prevale al senso e in molte altre s'accordano e s'uniscono insieme il senso e la ragione" (ibid., p. 438). Colonna non tralasciò di confutare punto per punto i rilievi mossi dal L. ad alcuni passi tratti dalle sue composizioni, prima di accettare la proposta di questo di porre fine alla questione.
Il L. morì a Roma il 24 febbr. 1692 e fu sepolto nella tomba dei cantori pontifici in S. Maria in Vallicella. Lasciò per testamento alla cattedrale di Foligno tutte le "spartiture delle musiche ecclesiastiche latine, oratorii volgari et altri componimenti" da lui composte o possedute, che furono poi elencate in un inventario stilato al momento della consegna il 25 apr. 1692 (Metelli, pp. 55 s.).
Opere pervenute: Laudate Dominum, in Salmi vespertini a quattro voci concertati e brevi… raccolti da Gio. Battista Caifabri, Opera IV, Roma 1683; Missa Omnis terra adoret te, a 16 voci (Bibl. apost. Vaticana, Cappella Giulia, V.58; ampliamento della Missa Ecce sacerdos magnus, a 12 voci di O. Benevoli); Messa detta Era calma nel mare, a 16 voci (ibid., V.59; a eccezione del Kyrie I è identica alla Missa Si Deus pro nobis qui contra nos, a 16 voci attribuita in altre fonti a O. Benevoli); 16 cantate per voce sola e basso continuo.
Opere perdute: oratori La Gerusalemme destrutta; Il Nerone prima persecutione della Chiesa (L. Ficieni); Per tutti li santi; S. Tecla; Per la ss.ma Annuntiata; Per la ss.ma Vergine Maria; La Vergine concetta (G.B. Duranti; Roma, casa del cardinale J.E. Nidhard, 1674); Il Clodoveo; S. Ginesio; S. Paolo apostolo; S. Francesco di Paola; S. Giovanni Battista; S. Messalina; S. Ermenegildo; Il figlio della vedova di Naim; Per l'Assunta; Il Davide trionfante (G.B. Duranti; 1675 circa, Roma, Ss. Trinità dei Pellegrini); Il passaggio di Moisè; Gioseppe esaltato; I santi Giustiniano e Cipriano; L'esiglio di Maddalena. Inoltre: S. Eustachio, "dramma in musica"; "Prologo per la tragedia di san Feliciano e Messalina" (da identificare probabilmente la tragedia spirituale Feliciano e Messalina di Giovanni Antonio Gigli, pubblicata a Foligno nel 1677, con dedica al granduca di Toscana Cosimo III); "Dialogo per li serenissimi Ferdinando et Adelaide duchi et elettori di Baviera"; "deciotto spartiture originali di musiche ecclesiastiche latine per uso di messe, vespri et altre funzioni ecclesiastiche a più voci, con sinfonie e senza" (Metelli, p. 56).
Fonti e Bibl.: A. Adami, Osservazioni per ben regolare il coro dei cantori pontifici, Roma 1711, pp. 206 s.; E. Celani, I cantori della Cappella pontificia nei secoli XVI-XVIII, in Riv. musicale italiana, XVI (1909), p. 58; G. Stanghetti, La scuola di canto nel pontificio collegio Urbano di Roma (1627-1925), in Note d'archivio per la storia musicale, III (1926), pp. 49-51; M. Rinaldi, A. Corelli, Milano 1953, pp. 108-125, 429-444; P. Kast, A. L.: eine biographische Skizze, in Kirchenmusikalisches Jahrbuch, XLIII (1959), pp. 49-72; J. Lionnet, La "Salve" de Sainte Marie Majeure: la musique de la Chapelle Borghese au XVIIe siècle, in Studi musicali, XII (1983), pp. 111-115; A. Morelli, L'organaro Pompeo Dedi e l'organo della Ss. Trinità dei Pellegrini in Roma. Con una lista dei maestri di cappella della chiesa dal 1596 al 1708, in Amici dell'organo di Roma, III (1984), p. 67; G. Metelli, Un inventario inedito di musiche diA. L., in Esercizi. Arte musica spettacolo, VIII (1985), pp. 54-57; G. Ciliberti, A.M. Abbatini e la musica del suo tempo (1595-1679). Documenti per una ricostruzione bio-bibliografica, Perugia 1986, pp. 24-26; G. Ciliberti - F. Rambotti, La produzione musicale e gli scritti teorici di A. L., cantore della cappella pontificia (Foligno 1617 - Roma 1692), in Annali della facoltà di lettere e filosofia dell'Università degli studi di Perugia, n.s., XXV (1987-88), pp. 87-131; S. Franchi, Drammaturgia romana, Roma 1988, pp. 614-616; A. Morelli, A. L., M. Simonelli e la tradizione palestriniana a Roma nella seconda metà del Seicento, in Atti del II Convegno di studi palestriniani "Palestrina e la sua presenza nella musica e nella cultura europee dal suo tempo ad oggi"… 1986, a cura di L. Bianchi - G. Rostirolla, Palestrina 1991, pp. 297-307; Id., Il tempio armonico. Musica nell'oratorio dei filippini in Roma (1575-1705), Laaber 1991, p. 195; E. Simi Bonini, Ilfondo musicale dell'Arciconfraternita di S. Girolamo della Carità, Roma 1992, pp. 26-29, 38; H. Wessely-Kropik, Lelio Colista. Un maestro romano prima di Corelli, Roma 2003, pp. 71 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, pp. 395 s.; The New Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XIV, pp. 631 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart (ed. 2004), Personenteil, XI, coll. 75 s.