ALBERTI, Antinio (Antonio da Ferrara; Antonio di Guido Alberti)
Pittore, nato a Ferrara forse nell'ultima decade del sec. XIV. È ricordato dal Vasari per "molte bell'opere" in S. Francesco di Urbino e a Città di Castello. La prima notizia documentaria risale al 1420: l'A. è a Montone, con un gruppo di pittori perugini, al servizio di Braccio Fortebraccio. Il 12 marzo 1423 riceve dal Comune di Perugia 33 formi e 60 soldi per parte del salario assegnatogli, e 21 formi e 30 soldi ad pingendum domos de Montone. Lo stesso anno risulta a Urbino; salvo l'attestata permanenza a Talamello presso Pesaro, e un breve ritorno a Ferrara, dove però non lasciò scuola (secondo il Cittadella, dipinse affreschi - perduti - nel palazzo estense poi detto del Paradiso: uno di essi raffigurava il concilio tenuto in Ferrara nel 1438), sarebbe rimasto sempre a Urbino, fino alla morte, avvenuta dopo il 20 giugno 1442 e prima del 25 nov. 1449. Dei figli, Calliope fu madre del pittore Timoteo Viti.
Il Vasari scrisse erroneamente che l'A. era allievo di Agnolo Gaddi. Il suo periodo formativo si svolse, con molta probabilità, nelle Marche e in Umbria e a contatto con l'arte di Ottaviano Nelli e di Gentile da Fabriano. Tra le opere giovanili non è concordemente accettato l'affresco con Storie di S. Antonio Abate, in S. Domenico a Città di Castello, già riferitogli dal Cavalcaselle, e di nuovo, più recentemente, dal Longhi. A questo affresco si ricollega quello con Storie di S. Giovanni Evangelista, proveniente da S. Domenico di Ferrara, oggi nella Pinacoteca di questa città: avvicinato dal Longhi all'A., l'attribuzione non è accettata dal Coletti. Al periodo giovanile appartengono gli affreschi della cappella di S. Martino nella Sagra di Carpi, attribuitigli dal Coletti; la Madonna col Bambino, già a Berlino, e la variante in collezione privata genovese, pubblicate dal Longhi; il trittico (Madonna col Bambino, e i SS. Bartolomeo e Benedetto), già in S. Bartolomeo ed oggi nella Pinacoteca di Città di Castello, assegnatogli dal Salmi.
Al periodo umbro-marchigiano seguirebbe, secondo il Longhi, un ritorno in Emilia, dove la visione dei più gagliardi tra i gotici tardi, come Giovanni da Modena, avrebbe determinato la sua ultima maniera, quale appare negli affreschi di Talamello e nel polittico di Urbino. Nella piena maturità, l'A. si afferma con un linguaggio più rude, solido e austero, con una "dignità morale e una solennità di stile" che indussero il Salmi a pensare che sulle sue opere dell'Italia centrale avesse meditato il giovane Piero della Francesca.
La Cella nel cimitero di Talamello, presso Pesaro, fu dipinta a fresco (con Evangelisti nella volta, Storie di Cristo e di Santi sulle pareti) nel 1437 e firmata "Antonius De Ferraris habitator Urbini". Datato è anche un gonfalone - oggi nella Galleria nazionale delle Marche ad Urbino - che fu pagato dalla Confraternita di S. Antonio Abate il 10 luglio 1438 (Crocifissione da un lato; SS. Giacomo di Compostella e Antonio Abate dall'altro). Successivamente l'A. datava e firmava ("1439. Antonius De Feraria P.") il polittico per la chiesa di S. Bernardino, oggi nella Galleria di Urbino. Nella stessa galleria sono conservati anche alcuni frammenti di affreschi provenienti dalla cappella Paltroni in S. Francesco (ma l'attribuzione all'A. è negata dal Longhi); una S. Agata; un polittico datato 1436 con Madonna tra quattro Santi, Crocifissione ed Annunciazione.
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