ANTINOMISMO (dal gr. ἀντί "contro" e νόμος "legge")
Questo termine, benché coniato durante le discussioni teologiche della Riforma protestante, esprime cosa molto più antica e cioè l'avversione contro la legge mosaica e le sue pratiche rituali, o addirittura contro tutto l'Antico Testamento, e quindi anche contro le sue prescrizioni di carattere morale.
La polemica contro l'osservanza dei riti giudaici e nello stesso tempo contro coloro che dalla proclamazione della libertà cristiana volevano dedurre come conseguenza l'abolizione anche dei precetti morali dell'Antico Testamento pervade, si può dire, tutti gli scritti del Nuovo Testamento. Nel Sermone del Monte (Matteo, V-VI e paralleli) la contrapposizione dei precetti dell'antica legge e della nuova, fondata sull'amore, è preceduta dalla caratteristica dichiarazione di Gesù "io non sono venuto a distruggere la Legge e i Profeti. anzi a compierli" (Matt., V, 17; cfr. anche, p. es., Marco, III, 4, ecc.); nel discorso del protomartire Stefano (Atti, VII) è pure chiara l'intenzione di ricollegarsi con le migliori tradizioni dell'insegnamento profetico, pur protestando contro le forme del culto giudaico, che, osservate in modo formalistico, tradivano appunto l'insegnamento di Mosé e dei profeti (e la protesta appare vibratissima nei versetti 47 e 48, specialmente se l'aggettivo χειροποίητος si prenda qui nel senso che ha in altri testi contemporanei, di "idolatrico" e "religiosamente falso"). Ma il più grande araldo della libertà cristiana, contro coloro i quali avrebbero voluto sia limitare la predicazione della nuova fede ai soli giudei, sia rendere obbligatoria per tutti gli aderenti al Vangelo l'osservanza della circoncisione, del sabato e degli altri precetti mosaici è S. Paolo. Non è possibile qui neppur tentare una delineazione di quella che si suol chiamare la corrente giudeo-cristiana nella chiesa primitiva, o dare anche un pallido e schematico riassunto del pensiero dello apostolo delle genti: compito difficilissimo, per l'adempimento del quale occorre affrontare e risolvere numerosi problemi ardui e complessi, a proposito dei quali grande è ancora la divergenza delle dottrine e delle opinioni. Ci limiteremo dunque a ricordare la polemica contro la circoncisione e coloro che pretendevano di imporla, e anche l'incidente tra S. Paolo e S. Pietro in Antiochia, sempre a proposito dei riti giudaici e dell'affermazione, anche teorica e assoluta, della libertà cristiana, che costituisce l'argomento principale della lettera Ai Galati; ma l'affermazione della libertà cristiana è qui strettamente collegata con gli altri motivi, pure fondamentali nel pensiero dell'apostolo, della promessa fatta ad Abramo, e quindi dell'"economia", cioè di un piano provvidenziale, per cui la legge è stata come il pedagogo, che conduce al Cristo (Gal., III, 24): concetti che si ritrovano; con più ampio sviluppo, nei capitoli II-X della lettera Ai Romani.
D'altra parte, di fronte alla coscienza cristiana, l'affrancamento dalla servitù della legge non significò mai ripudio dei principî morali da essa proclamati: basterà ricordare a tale proposito certe incisive parole di Gesù sul precetto dell'amore di Dio e del prossimo, in cui si compendia tutta la legge, o altri riassunti della legge stessa (Luca, X, 25 segg.; XVIII, 18 segg. e cfr. la parabola del fariseo e del pubblicano, ibid., 9-14). Ma, nel seno del giudaismo stesso, non mancava a quanto pare chi, per questa o quella ragione, credeva l'osservanza dei precetti morali indifferente al conseguimento della salvezza. Un antinomismo poggiante su basi materialistiche si trova già menzionato nella Sapienza (II, 1-21). Giustino (Dial. c. Tryph., 141) parla di certi ebrei, secondo i quali chi crede nella circoncisione può peccare, senza che il Signore gli tenga conto del peccato. Tale tendenza si rafforzò in alcuni gruppi ereticali cristiani (p. es., gnostici, marcioniti ecc.), dove, associandosi la dottrina della giustificazione mediante la fede con una concezione pessimistica della materia e della natura, spinta invero all'estremo, si arriva a respingere l'Antico Testamento, ritenendo che la creazione del mondo e dell'uomo non potesse essere se non l'effetto di una degradazione della potenza divina o l'opera di un Dio malvagio e inferiore; e contrapponendo alla degradazione della divinità o al Dio creatore l'opera della redenzione e la predicazione del Cristo. Questi presupposti dualistici potevano condurre, come infatti condussero, a due conclusioni diametralmente opposte: lo ascetismo e l'indifferentismo etico. E non mancano testimonianze delle aberrazioni morali di numerose sette, generalmente mistiche, dai tempi più antichi della chiesa fino ai più recenti.
Non bisogna tuttavia dimenticare, a proposito di queste sette, con quanta frequenza le più gravi accuse d'immoralità possano venire lanciate, da avversarî anche in buona fede, contro gruppi religiosi dissenzienti e costretti a celebrare i loro riti in segreto; e con quanta facilità le stesse accuse possano venire accolte, ripetute, aggravate. Certo è che numerosi scrittori del Nuovo Testamento (ricordiamo qui solo Giacomo, II, 14) dovettero opporsi all'interpretazione unilaterale della dottrina della giustificazione mediante la fede, prescidendo dal valore delle opere. E appunto nel non credersi obbligato per principio all'osservanza delle norme morali consiste l'eresia designata dai teologi con la parola antinomismo.
Il termine, a quanto pare, fu creato da Lutero contro Giovanni Agricola. Dobbiamo naturalmente rinunciare ad esporre qui anche il pensiero e l'opera del riformatore di Wittenberg. Ricorderemo solo com'egli proclamasse l'inutilità delle opere buone e respingesse il magistero della Chiesa, insistendo soltanto sull'efficacia della parola di Dio e sull'applicazione diretta e immediata dei meriti del Cristo all'anima credente: il che sembra presupporre e il ripudio dell'Antico Testamento e la proclamazione dell'indifferentismo morale. Tuttavia Lutero, pur se si lasciò talvolta sfuggire qualche espressione, anche famosa, che sembra alludere a questa conseguenza, almeno implicita, e forse necessaria, nei principî da lui professati, tuttavia in pratica reagì vigorosamente contro coloro che osarono giungere a queste conseguenze, fossero i cosiddetti "profeti di Zwickau" o i suoi amici e discepoli, tra i quali appunto l'Agricola.
Bibl.: G. Bareille, in Dictionnaire de Théologie catholique, I, ii, s. v.; G. Kawerau, in Realencyklopädie für protest. Theologie und Kirche, I, s. v.; e per le sette o gli autori citati, gli articoli relativi.