Eulalio, antipapa
Non è nota l'origine di E. e sono pochissimi i dati biografici conosciuti che lo riguardano. La sua presenza nella storia della Chiesa è legata alle vicende che seguirono la morte di papa Zosimo, di cui era arcidiacono e forse, come lui, d'origine greca. Gli ultimi mesi del pontificato di Zosimo erano stati contrassegnati dalla opposizione di alcuni membri del clero romano e ciò poteva già far presumere discordie al momento della successione.
Notizie sugli avvenimenti sono fornite dalle lettere conservate nella Collectio Avellana, attestanti un fitto carteggio tra il prefetto di Roma Simmaco e l'imperatore Onorio o sua sorella Galla Placidia o il patrizio Costanzo che l'aveva sposata.
Si sa dunque che il giorno successivo alla morte di Zosimo, e cioè il 27 dicembre del 418, E. venne eletto papa dai diaconi e da un piccolo gruppo di presbiteri nella basilica del Laterano dove si era rinchiuso insieme ad una numerosa folla per attendere la domenica successiva, giorno in cui era consuetudine compiere la consacrazione episcopale. Ma il giorno successivo, il 28 dicembre, la maggioranza dei presbiteri elesse nella chiesa di Teodora, dove aveva radunato il popolo, il presbitero romano Bonifacio che aveva svolto missioni a Costantinopoli per conto di papa Innocenzo. Entrambi furono consacrati la domenica 29 dicembre: per E. ciò avvenne in Laterano, nella basilica costantiniana, ad opera del vescovo di Ostia. Il prefetto di Roma, il pagano Simmaco, mostrò il proprio favore per E. e inviò subito un rapporto in questo senso all'imperatore Onorio che risiedeva a Ravenna (Collectio Avellana 14), il quale rispose il 3 gennaio del 419 riconoscendo l'elezione di E. (ibid. 15) e questi celebrò solennemente nella basilica di S. Pietro la festa dell'Epifania il 6 gennaio (ibid. 16).
Ma anche i sostenitori di Bonifacio si rivolsero al potere imperiale, il 6 o 7 gennaio, con una petizione che presentava la loro versione dei fatti (ibid. 17). Di conseguenza Onorio il 15 gennaio scrisse di nuovo a Simmaco per convocare l'8 febbraio a Ravenna le due parti contendenti (ibid. 18). Giacché questo incontro, in occasione del quale Onorio aveva anche dettato un'epistola (ibid. 20), non giunse ad alcuna conclusione, Onorio il 15 marzo stabilì che fosse convocato un concilio più ampio a Spoleto, in attesa del quale sia E. sia Bonifacio dovevano essere espulsi da Roma, decidendo anche che le celebrazioni pasquali ormai imminenti (la Pasqua cadeva il 30 marzo) fossero svolte dal vescovo di Spoleto, Achilleo (cfr. le lettere inviate dalla corte di Ravenna a Simmaco, ad Achilleo di Spoleto, al Senato e al popolo romano: ibid. 21; 22; 23; 24). La corte imperiale il 20 marzo convocò al concilio vescovi italiani, tra cui Paolino di Nola (ibid. 25), ed africani, stabilendo per tale sinodo la data del 13 giugno (ibid. 26), e inoltre invitando personalmente Aurelio di Cartagine (ibid. 27), Agostino e altri vescovi dell'Africa (ibid. 28).
E. non volle però attendere le decisioni conciliari e in dispregio del decreto imperiale entrò in Roma il 18 marzo (ibid. 29); il 20 marzo entrò in città anche Achilleo e avvennero scontri tra eulaliani e bonifaciani (ibid.). Il patrizio Costanzo scrisse a Simmaco per annunciare l'invio di un "cancellarius", Vitulo, che avrebbe condotto un'inchiesta (ibid. 30). Nonostante le insistenti ammonizioni di Onorio fattegli giungere il 26 marzo (ibid. 31), E. si rifiutò di lasciare la città e il 29 marzo entrò nella basilica lateranense per svolgervi le celebrazioni pasquali, secondo quanto si ricava dalla relazione che degli eventi Simmaco fece a Costanzo (ibid. 32), ma ne fu espulso con la forza e costretto a risiedere in una località fuori di Roma (ibid.). Una lettera dell'imperatore Onorio al prefetto Simmaco, datata 3 aprile e giunta a Roma il giorno 8, decreta allora che come vescovo della città debba essere riconosciuto l'antagonista Bonifacio (ibid. 33). Questi poté entrare a Roma il 10 aprile (ibid. 34) e il prospettato concilio di Spoleto, a cui avrebbero dovuto partecipare vescovi non solo italiani ma anche africani e delle Gallie, risultò annullato (ibid. 35). Il 7 aprile Onorio diede notizia della soluzione della vicenda romana al proconsole d'Africa Largo comunicando appunto l'annullamento del progettato concilio di Spoleto (ibid.) e questi riferì ad Aurelio di Cartagine la conclusione della vertenza con il riconoscimento di Bonifacio come vescovo di Roma (ibid. 36). Nei disordini verificatisi alla morte di Zosimo per l'elezione del successore è stato individuato un rapporto con la polemica pelagiana. Bonifacio era stato un presbitero di papa Innocenzo il quale aveva condannato Pelagio, mentre Zosimo aveva inizialmente favorito Pelagio e Celestio e ciò ha fatto pensare a V.A. Sirago che anche il suo arcidiacono E., antagonista di Bonifacio, mostrasse la propria simpatia per i pelagiani, proponendosi forse la loro riabilitazione, e per questo avesse l'appoggio dei loro fautori. Nella corte imperiale, che aveva tentato una conciliazione l'8 febbraio a Ravenna e di fronte al fallimento dell'impresa aveva chiesto un più ampio dibattito alla presenza di vescovi delle Gallie, dell'Africa e dell'Italia, si vide emergere, a partire dal 20 marzo, l'intervento del patrizio Costanzo e di sua moglie Galla Placidia, alla quale sarebbero in realtà da attribuire le lettere di invito per il concilio di Spoleto indirizzate a Paolino di Nola e agli africani, vescovi a cui la principessa era già precedentemente legata (ibid. 25; 27; 28): la loro presenza al concilio avrebbe fatto propendere per quel candidato, Bonifacio, che si presentava come un avversario del pelagianesimo, da quei vescovi condannato. Il prospettarsi di tale eventualità che avrebbe segnato la sconfitta di E. spiegherebbe così la sua mossa improvvisa di sfida al potere imperiale allorché entrò in Roma per la celebrazione della Pasqua.
Il Liber pontificalis, nella notizia su Bonifacio, attesta che E., trattenutosi ad Anzio prima delle feste pasquali, dopo la definitiva espulsione da Roma venne inviato in Campania e che alla morte di Bonifacio nel 422 fu sollecitato dal clero e dal popolo a ritentare l'impresa; egli però rifiutò e morì l'anno successivo (423) in quella stessa località della Campania dove risiedeva: ciò risulta dalla seconda redazione del Liber pontificalis, mentre nella prima si dichiara che E. venne costituito vescovo di Nepi; secondo L. Duchesne (Le Liber pontificalis, p. 228) non è possibile accertare quale delle due notizie corrisponda a verità.
fonti e bibliografia
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