GREGORIO VIII, antipapa
Non si hanno notizie certe riguardo la data e il luogo di nascita di Maurizio Burdino, futuro antipapa Gregorio VIII. L'unica fonte di cui si dispone a questo proposito, Roderico di Toledo (De rebus Hispaniae, in Hispaniae illustratae…, II, a cura di A. Schott, Frankfurt 1603, pp. 108 s.), racconta che l'arcivescovo Bernardo di Toledo, di ritorno dal concilio di Clermont (1095), avrebbe portato con sé Maurizio Burdino dal Limosino nel Regno di Castiglia e León, adoperandosi per farlo divenire vescovo di Coimbra e, successivamente, arcivescovo di Braga, due diocesi della Contea del Portogallo, allora dipendente dal Regno castigliano. Ciò farebbe supporre un'origine francese di G. VIII e sembra verosimile ipotizzare che, al momento di partire al seguito di Bernardo, Maurizio fosse monaco presso un monastero cluniacense della regione lemovicense. A legittimare tale ipotesi concorrerebbe la considerazione del legame particolare che unì sempre G. VIII al mondo cluniacense: basti pensare, quando era ancora vescovo di Coimbra, alla concessione all'abate Ugo di Cluny della chiesa di Justa, o al dono al monastero cluniacense di S. Marziale di Limoges di una preziosa teca per i Vangeli, che si diceva appartenuta a s. Basilio, portata da Maurizio di ritorno da un viaggio in Terrasanta, o ancora, una volta divenuto antipapa, al privilegio rilasciato, nel 1118, a favore del monastero di St-Pierre d'Uzerche, altra dipendenza cluniacense. D'altro canto, lo stesso Bernardo di Toledo era di origine francese e apparteneva all'Ordine di Cluny e, sempre secondo Roderico di Toledo, Maurizio non sarebbe stato l'unico uomo del suo stesso Ordine e della sua stessa terra che egli condusse con sé nel Regno di Castiglia e León.
Anche sulla famiglia di Maurizio Burdino nulla è noto. Alcuni studiosi, come S. Baluze, ritengono che Burdino fosse il cognome e Maurizio il nome. In realtà, le fonti riportano, in alcuni casi, semplicemente Maurizio, in altri solo Burdino, in altri ancora Maurizio Burdino; a volte specificano Burdino ribattezzato Maurizio, o Maurizio con il soprannome di Burdino. È legittimo ritenere, tuttavia, che Maurizio fosse il nome proprio, mentre Burdino un appellativo che fu dato a G. VIII una volta divenuto antipapa. Sembra confermarlo il fatto che nella documentazione relativa alla diocesi di Coimbra e a quella di Braga, così come nelle fonti narrative locali dell'epoca, il futuro G. VIII è sempre citato esclusivamente come Maurizio e, nelle sue lettere, papa Gelasio II gli si rivolge semplicemente come Maurizio o arcivescovo di Braga, fino al marzo del 1118; nella documentazione gelasiana successiva, invece, quando ormai era stato consacrato papa, compare anche l'appellativo di Burdino: "qui Burdinus a Normannis dicitur". Che il soprannome Burdino gli fosse stato dato dai Normanni o, secondo il Liber pontificalis e gli Annales Romani, dal popolo romano, poco importa; quel che conta rilevare è che si trattava di un appellativo con valore di scherno, la cui origine è da ravvisare, probabilmente, nel vocabolo spagnolo burdo, vale a dire asino. Altrettanto interessante è osservare la rapidità con cui tale soprannome si diffuse, arrivando a soppiantare il vero nome di G. VIII persino nella documentazione ufficiale: Callisto II, per esempio, nelle sue lettere al legato Bosone utilizzò esclusivamente il termine Burdino per designare l'antipapa.
Come si è detto, nel 1095 Maurizio giungeva nel Regno di Castiglia e León al seguito di Bernardo di Toledo e, nel 1099, veniva consacrato vescovo di Coimbra. Negli anni in cui rivestì tale carica Maurizio si distinse per l'impegno riformatore profuso nell'amministrazione della sua diocesi. Combatté le ordinazioni non canoniche e, in generale, si adoperò perché la circoscrizione ecclesiastica di Coimbra diventasse uno dei capisaldi dell'organizzazione della Chiesa romana nella Contea del Portogallo. Nel dicembre del 1108 moriva Geraldo, arcivescovo di Braga, e Maurizio fu chiamato a succedergli. Nella primavera-estate del 1109 egli si recò, pertanto, a Roma, dove ricevette per mano del cancelliere Giovanni da Gaeta, futuro papa Gelasio II, il pallio e prestò giuramento di fedeltà al pontefice Pasquale II. La nuova posizione di arcivescovo di Braga portò presto Maurizio in conflitto con il suo antico protettore Bernardo, arcivescovo di Toledo nonché legato papale. Motivo del contendere erano i confini della provincia ecclesiastica di Braga e, in particolare, l'appartenenza o meno a essa delle diocesi di Coimbra, Zamora e León. Gli eventi precipitarono nel 1113, allorché Maurizio fu convocato da Bernardo al concilio di Palencia per rispondere dell'accusa di essere penetrato illegalmente nella diocesi di León. Maurizio non si presentò, Bernardo allora lo sospese dal suo incarico e ottenne da Pasquale II, nell'aprile del 1114, conferma della sua decisione. A Maurizio non restava che recarsi a Roma per trattare direttamente la questione in Curia. Qui, secondo il fantasioso racconto di Romualdo Salernitano, Maurizio, approfittando della sopravvenuta morte di Bernardo, avrebbe acquistato dal papa il diritto a succedergli alla guida dell'arcivescovato di Toledo. Pasquale II avrebbe accettato il denaro, senza, tuttavia, dar seguito alle sue promesse. La testimonianza di Romualdo è destituita di ogni fondamento, in quanto Bernardo morì nel 1124 e non nel 1114, come presuppone il racconto.
In realtà, il vero obiettivo del viaggio di Maurizio fu di giustificare la propria posizione e il proprio operato di fronte al pontefice, e due brevi emessi da Pasquale II nel novembre 1114 sembrano indicare che egli riuscì nel suo intento. Nel primo dei due documenti il papa biasimava Bernardo per il comportamento scorretto tenuto nei riguardi di Maurizio e lo privava della giurisdizione da lui esercitata, in qualità di legato, sull'arcivescovato di Braga; nell'altro ordinava al vescovo di Coimbra, Gonzalo, di fare riferimento, per tutto ciò che concerneva l'amministrazione della sua diocesi, non più al metropolita di Toledo, ma a quello di Braga. A coronamento della sua missione romana Maurizio ottenne dal pontefice, in dicembre, un privilegio che sanciva la revoca ufficiale della sospensione dell'aprile 1114, e che confermava i confini dell'arcidiocesi di Braga. Maurizio sarebbe potuto tornare, dunque, in Portogallo forte della nuova posizione e, invece, sembra che egli non abbia fatto mai più rientro nella sua sede.
Dove sia stato tra la fine del 1114 e il marzo del 1117, quando torniamo a disporre a suo riguardo di notizie certe, resta ancora oggi un mistero. Secondo la ricostruzione proposta da Baluze, Maurizio si sarebbe conquistato a tal punto il favore e la stima di Pasquale II da indurlo a trattenerlo in Curia, per impiegarlo come legato in importanti ambascerie. Se tale ricostruzione può gettare luce sui modi in cui Maurizio entrò in contatto con la corte di Enrico V, al cui seguito lo vediamo giungere a Roma nel marzo del 1117, non rende ragione del cambiamento di fronte operato da Maurizio che, da legato papale, sarebbe passato repentinamente dalla parte del sovrano di Germania, arrivando ad accettare, addirittura, di incoronarlo contro il volere di Pasquale II. In realtà, è legittimo ipotizzare che, dopo la fine del 1114, Maurizio abbia lasciato Roma, come sembrano confermare le lettere di Pasquale II a lui indirizzate, dalle quali emerge come in Curia si ritenesse che egli avesse fatto ritorno nella sua diocesi. Inoltre, la notizia secondo cui Maurizio avrebbe svolto funzioni di legato per conto di Pasquale II fu desunta da Baluze sulla base di un breve del suo successore Gelasio II, da cui si evincerebbe, se l'emendazione al testo proposta da C. Erdmann è corretta, che non Pasquale II, bensì Gelasio si sarebbe servito di Maurizio come ambasciatore presso Enrico V. Dunque Maurizio non rimase a Roma, ma, stando alla testimonianza del Liber pontificalis, per due anni andò vagando al di fuori della sua diocesi, conducendo una vita dedita ai piaceri presso la corte dell'imperatore. Erdmann ha cercato di far luce sulle ragioni che avrebbero spinto Maurizio alla corte di Enrico V. Il sovrano tedesco era allora in aperto dissidio con Pasquale II, dopo che questi, nel concilio Lateranense del marzo 1112 e, ancora più fermamente, nel concilio Lateranense del marzo 1116, aveva invalidato le concessioni, prima fra tutte il diritto di conferire l'investitura con il pastorale e con l'anello, estortegli con la forza da Enrico in occasione dell'accordo di ponte Mammolo del 1111. A ciò si aggiunga anche la questione apertasi alla morte di Matilde di Canossa (1115), allorché l'imperatore aveva dichiarato nullo il testamento con cui la contessa aveva disposto il passaggio dei suoi beni alla Chiesa. Perché dunque, Maurizio che, come si è visto era stato beneficato da Pasquale II, avrebbe poi compiuto un repentino cambiamento di fronte?
Le ragioni del suo comportamento vanno ricercate, molto probabilmente, nella condotta tenuta da Pasquale II in occasione della controversia che da diverso tempo opponeva il vescovo di Santiago de Compostela all'arcivescovo di Braga. Il primo, promossa una lega con gli altri vescovi galiziani di Porto, Lugo, Mondofiedo, Tuy, Orense, aspirava a ottenere l'esenzione dalla giurisdizione del metropolita di Braga e a far assurgere la Galizia alla dignità di provincia ecclesiastica. Pasquale II, ben consapevole del crescente prestigio di Santiago quale meta di pellegrinaggi da tutto il mondo cristiano, e, dunque, anche dell'immensa fonte di proventi che il Tesoro di S. Giacomo rappresentava per la Curia, si era mostrato ben disposto verso le richieste dell'episcopato galiziano, arrivando a rilasciare privilegi, come quello concesso alla diocesi di Porto nell'agosto del 1115, che si traducevano in significative diminuzioni delle prerogative territoriali e giurisdizionali del primate di Braga.
Pasquale II, avuta notizia dell'approssimarsi dell'imperatore, memore delle brucianti umiliazioni subite in passato, abbandonò la città, cercando rifugio in Italia meridionale. Enrico V, pur dichiarando di essere disposto a intavolare trattative di pace con il pontefice, indispettito dalla fuga di Pasquale II non volle rinunciare a farsi incoronare nuovamente imperatore. Poiché, tuttavia, i cardinali rimasti a Roma si opposero alla sua richiesta, fu Maurizio, il più alto dignitario ecclesiastico della corte di Enrico, a provvedere (25 marzo). Pasquale II reagì convocando, in aprile, a Benevento, un concilio in cui, tra l'altro, scomunicava Maurizio e lo privava della carica di arcivescovo di Braga. Allontanatosi Enrico da Roma, il papa si incamminò sulla via del ritorno, ma soltanto all'inizio dell'anno successivo riuscì a entrare in città, dove il 21 genn. 1118 moriva.
I cardinali, riuniti in conclave, si affrettarono a eleggere nuovo papa, con il nome di Gelasio II, Giovanni da Gaeta, monaco cassinese e cancelliere papale. Alla notizia dell'elezione, Enrico V si affrettò a tornare a Roma: la morte di Pasquale II aveva, infatti, lasciato aperte molte questioni di vitale importanza, a cominciare da quelle legate al cosiddetto "pravilegium" del 1111. Nel timore di dover far fronte alle violenze un tempo subite dal suo predecessore, Gelasio II abbandonò immediatamente Roma per Gaeta. La sua fuga non rappresentava, comunque, la rinuncia a un tentativo di conciliazione con l'imperatore. Anzi, sembra proprio che in questa circostanza, come testimonia una lettera indirizzata dal papa al popolo romano, Gelasio abbia fatto ricorso a Maurizio come legato presso Enrico: una scelta significativa, considerando che Maurizio contro la volontà di Pasquale II aveva incoronato il sovrano tedesco e per questo era stato scomunicato; probabilmente però Maurizio fu riaccolto nelle grazie del neoeletto papa, dal momento che, sempre nella lettera sopra citata, Gelasio gli si rivolgeva chiamandolo "familiaris noster". La legazione di Maurizio non sortì gli effetti desiderati: per Enrico era inaccettabile la fuga del pontefice, così come la sua proposta di rinviare qualsiasi soluzione della crisi alle deliberazioni di un sinodo che si sarebbe dovuto tenere in ottobre a Milano o a Cremona, due città di provata fede antimperiale. Del resto, l'imperatore doveva fronteggiare anche le pressioni esercitate dalle famiglie romane, in particolare i Frangipane, acerrimi nemici del neoletto pontefice, sul cui aiuto egli contava per controllare la città. Pertanto Enrico, dietro consiglio del giurista bolognese Irnerio, decise di ricorrere al vecchio strumento dello scisma.
Il 10 marzo 1118 Maurizio venne eletto papa con il nome di Gregorio VIII. Se sulle ragioni del comportamento di Maurizio, passato da legato papale ad antipapa, allo stato attuale delle conoscenze è impossibile far luce, si può invece dire che la scelta di Maurizio da parte di Enrico non fu casuale: G., né italiano né tedesco, era sostanzialmente un senza patria, di cui ci si sarebbe potuti sbarazzare al momento opportuno senza grandi clamori.
Dopo essersi fatto incoronare ancora una volta imperatore dalla sua creatura il 2 giugno 1118, Enrico, alla notizia che Gelasio II stava puntando verso Roma scortato da contingenti normanni, disponendo di forze militari insufficienti si allontanò dalla città, lasciando solo Gregorio VIII. Tuttavia, abbandonato dai Normanni lungo il cammino, Gelasio II riuscì a raggiungere Roma tra molte difficoltà e vi si trattenne solo pochi giorni. G. VIII, infatti, forte del sostegno dei Frangipane, aveva il controllo di quasi tutta la città, tra cui alcuni punti chiave come S. Pietro, e poteva contare sulla fedeltà di diversi ex guibertini, come Romano cardinale di S. Marcello, Cencio cardinale di S. Crisogono, Teuzo cardinale dei Ss. Giovanni e Paolo. Gelasio II partì allora per la Francia e il 29 genn. 1119 morì a Cluny.
Il 9 febbraio dello stesso anno veniva consacrato a Vienna Callisto II. Il nuovo pontefice agì subito con la massima energia. Dopo aver tenuto in ottobre a Reims un grande concilio in cui ribadiva la condanna del "pravilegium" del 1111 e comminava la scomunica a Enrico V e al suo antipapa, fece ritorno in Italia. I tempi erano maturi per un'azione di forza. In Germania, i principi e il clero, con alla testa l'arcivescovo di Magonza, Federico di Colonia e Corrado di Salisburgo, si erano ribellati a Enrico. Una Dieta di principi aveva riconosciuto Callisto II. Inoltre, al di fuori di Roma non sembra si possa parlare dell'esistenza di un'obbedienza burdiniana, se non a proposito di singoli personaggi cui G. VIII era legato da rapporti personali, come il vescovo Ermanno di Augusta, che impose venisse recitato nella benedizione pasquale del cero il nome di G. VIII e non quello del legittimo papa. Callisto mosse, dunque, alla volta di Roma, dove entrò solennemente il 3 giugno 1120, dopo aver avuto facile gioco delle resistenze della fazione imperiale capeggiata dai Frangipane. Abbandonato da Enrico, ormai consapevole che l'unica via per uscire dalla crisi era cercare una conciliazione con il papa legittimo, G. VIII lasciò Roma, rifugiandosi a Sutri. Accerchiato dalle milizie capeggiate dal cardinale Giovanni da Crema, dopo un assedio di breve durata, il 22 apr. 1121 fu consegnato dagli abitanti di Sutri al papa, sopraggiunto nel frattempo. Il prigioniero fu condotto a Roma, dove subì una tremenda umiliazione. Rivestito della pelle di un caprone, fu costretto a cavalcare al contrario un cammello e a girare per le vie della città sotto una tempesta d'insulti, di pietre e di frustate. Venne quindi incarcerato nel Septizonium e poi nella fortezza di Passerano. Successivamente, dopo aver indossato l'abito monastico, fu relegato presso l'abbazia della Ss. Trinità di Cava de' Tirreni. Da qui fu trasferito nella rocca Ianula presso San Germano e, nel 1125, per volere di Onorio II, papa dal dicembre del 1124, passò nella rocca di Fumone. Secondo la testimonianza degli Annales Palidenses, nell'agosto del 1137 era di nuovo a Cava. Si ignora la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Si rinvia a: C. Colotto, G. VIII, antipapa, in Enciclopedia dei papi, II, Roma 2000, p. 248.