Lorenzo, antipapa
Presbitero della Chiesa romana, alla morte di Anastasio II fu eletto vescovo nella basilica di S. Maria Maggiore, il 22 novembre 498. Lo stesso giorno, nella basilica costantiniana, fu eletto anche Simmaco, passato alla storia come il legittimo pontefice. Della biografia di L. non si hanno notizie certe e circostanziate, né della sua nascita, né della morte, né della famiglia. Del poco che si sa e si può ricostruire informano le due Vitae di papa Simmaco, quella del Fragmentum Laurentianum e quella del Liber pontificalis e, più in generale, le altre fonti su Simmaco e lo scisma, che da L. fu denominato laurenziano.
A quel tempo l'Italia era governata dal re ariano Teoderico, mentre a Costantinopoli era imperatore Anastasio I, filomonofisita. Oriente e Occidente erano divisi dallo scisma acaciano - da Acacio, patriarca di Costantinopoli - conseguente alle questioni lasciate aperte da Calcedonia (451). La dichiarazione di scomunica e di deposizione nei confronti di Acacio da parte di papa Felice III, nel 484, aveva segnato l'inizio dello scisma. La situazione si era ulteriormente aggravata con Gelasio. Il rifiuto del rigorismo di Gelasio nei confronti della questione orientale aveva comportato, alla sua morte, la scelta di papa Anastasio II, del quale si conoscevano le posizioni di maggiore apertura. Probabilmente già al momento dell'elezione di papa Anastasio il clero romano era diviso sulle posizioni da prendere. Per questa situazione pregressa, i tentativi sotterranei di Anastasio, che aveva avviato trattative con gli Orientali senza informarne il clero romano, avevano aggravato le tensioni già esistenti. Probabilmente questo comportamento determinò un rinserrarsi, tra il clero, delle fila dei sostenitori della linea rigida nei confronti dell'Oriente. Le fonti romane sullo scisma laurenziano non richiamano, quale causa diretta, lo scisma acaciano. Ma ci sono elementi che consentono di affermare che, tra le cause dello scisma laurenziano, sia da considerare lo scisma acaciano. Lo attestano esplicitamente le fonti greche (cfr. Teodoro il Lettore, Historia ecclesiastica II, 17, p. 131). Lo suggerisce anche, in base a quanto avvenne alla fine del pontificato di papa Anastasio, l'ultima parte rimasta della sua vita (Vita Anastasii, in Fragmentum Laurentianum, p. 44). La divergenza di posizioni rispetto allo scisma con l'Oriente fu alla base della doppia elezione e con essa prese avvio lo scisma.
L. fu eletto dalla fazione filorientale, che, a parte ogni definizione dottrinale, era interessata alla ricomposizione con l'Oriente. Simmaco, invece, era il leader dei difensori delle tesi calcedoniane, della primazia assoluta di Roma, di una strenua linea di politica religiosa antimonofisita. Simmaco e L. furono indotti dalle loro stesse consorterie partigiane a sottoporsi alla decisione di re Teoderico. L'arbitrato reale fu contrario a Lorenzo. L'autore filolaurenziano del Fragmentum sostiene che L. perse solo perché Simmaco era ricorso ad azioni di corruzione. La versione filosimmachiana del Liber pontificalis parla, invece, di un giudizio di equità del re, in conseguenza del fatto che Simmaco aveva una maggiore anzianità di ordinazione e che era stato eletto da una netta maggioranza. Sostenevano L. il clero - nella sua interezza, secondo il Fragmentum - e rappresentanti esimi dell'aristocrazia romana, tra i quali Festo (Fl. Rufio Postumio Festo) e Probino (Petronio Probino). Il Liber pontificalis riferisce, invece, di alleanze ecclesiastiche e aristocratiche equamente ridistribuite tra Simmaco e Lorenzo. Né i vescovi né il popolo romano sembrano aver dimostrato mai alcuna simpatia nei confronti di Lorenzo. A parte il fatto che fu il capo della fazione antisimmachiana, di L. si può dire ben poco. Egli sembra più che altro essersi prestato a rivestire un ruolo rappresentativo in una questione nella quale egli stesso appare essere stato poco coinvolto. Partecipò - ma sembra essersi trattato di una partecipazione del tutto inattiva - al concilio indetto da Simmaco, pochi mesi dopo l'elezione papale, e tenutosi il 1° marzo del 499, nella basilica di S. Pietro. Sottoscrisse, come arcipresbitero del titolo di S. Prassede, le deliberazioni del concilio, volute da Simmaco, a proposito delle elezioni del vescovo di Roma.
Da allora in poi, la scelta doveva essere operata dal predecessore, o, in caso questi fosse morto senza averne avuto il tempo, dalla totalità del clero; nel caso questo non fosse possibile, il che era giudicato inauspicabile, il vescovo doveva essere scelto dalla maggioranza. Proibiti del tutto, e puniti severamente, tutti gli accordi segreti, tanto più se il papa era ancora vivente (v. Simmaco, santo).
Le nuove modalità di elezione tagliavano fuori L. da qualunque speranza di rientrare nella vita politica della Chiesa di Roma. Nonostante ciò, L. fu il primo firmatario tra i presbiteri romani. Accanto al nome, la formula della sua adesione, per quanto rispondente alla prassi e ripresa anche da altri presenti, attesta la totale obbedienza al papa e alla sua linea politica: "Caelius Laurentius archipresbyter tituli Praxidae his subscripsi et consensi synhodalibus constitutis atque in hac me profiteor manere sententia". Su questa sua dichiarazione di fedeltà non sembrarono però acquietarsi gli amici di Simmaco, né tanto meno lo stesso papa. Poco dopo, L. fu promosso vescovo e inviato nella sede decentrata della diocesi di Nocera. Le ragioni di questo allontanamento restano indefinite. "Intuitu misericordiae", dice il Liber pontificalis. Il Fragmentum parla, invece, di insistenti pressioni miste a blandizie di cui L. sarebbe stato vittima. Dopo questa vicenda, di lui non abbiamo notizie per qualche tempo. Nel 501 Simmaco celebrò la Pasqua il 25 marzo, sovvertendo la data ormai fissata anche in Occidente per la festa liturgica, che veniva celebrata, secondo il calendario orientale, il 22 aprile. Ciò fece riaccendere le polemiche. Riesplosero gli attacchi contro Simmaco. La fazione filorientale tornò a parlare di L. come del papa da opporre a Simmaco. Attorno alla guida di L. - che pure non pare averla ricercata personalmente - si coagularono le forze dei nemici del papa.
A partire dalla Pasqua del 501, sostenitori e avversari del papa e di L. avevano diffuso testi di propaganda, tradizionalmente indicati come apocrifi simmachiani. Si tratta di scritti ambientati in età precedente a quella del periodo in questione, tra IV e V secolo, in momenti cruciali della storia della Chiesa. Il loro scopo era quello di avallare le tesi pro o contro L. e Simmaco, fondandole su falsi storici ai quali eventi e personaggi autorevoli di un passato prestigioso potessero fornire il sostegno di una incontestabile credibilità. I sostenitori di L. redassero anche un "libellus" che formalizzava le accuse contro il papa in carica e al quale si fa riferimento negli atti del processo a Simmaco.
Nella primavera del 502, temendo una nuova "scandalosa" celebrazione della Pasqua, al di fuori della data tradizionale, i nemici di Simmaco avevano pressato il re perché nominasse un "visitator". Questi era un commissario previsto solo nel caso di vacanza di un seggio vescovile e nelle more di una regolare alternanza. La sua nomina, in presenza di Simmaco sul seggio vescovile, rendeva, dunque, la situazione assolutamente irregolare. In conseguenza di ciò, il papa venne anche privato della funzione vescovile e del controllo delle chiese "titulari". A ricoprire questa carica venne chiamato Pietro di Altino. I nemici del papa lavoravano anche per ribaltare definitivamente la situazione e preparavano il rientro di Lorenzo. Era l'autunno del 502 e L. venne richiamato da Nocera. Lo troviamo a Ravenna, in quella che era probabilmente, nelle intenzioni dei suoi sostenitori, solo una tappa di avvicinamento a Roma. Teoderico doveva essere sicuramente informato di questa presenza di L. a Ravenna. È probabile che il re fosse anche partecipe del progetto di un rientro di L. a Roma in vista del suo insediamento sul seggio episcopale, con definitivo esautoramento di Simmaco. La tesi, sostenuta dal Fragmentum (p. 45), è in contrasto con quanto asserito dal Liber pontificalis (I, p. 96: "occulte revocant Laurentium Romam").
Nel tardo autunno del 502, L. venne fatto rientrare a Roma, sostenuto da una campagna di delegittimazione contro Simmaco. Secondo il Fragmentum, i nemici di Simmaco - il clero e la parte migliore del Senato ("clerus et senatus electior") - si erano rivolti al re perché interrompesse violenze e scorrettezze del papa e lo sostituisse con Lorenzo. Il reinsediamento di quest'ultimo era sostenuto sulla base di principi di legittimità giuridica: L. era stato eletto vescovo di Roma e i canoni stabilivano l'inamovibilità dei vescovi rispetto alla sede della loro prima consacrazione e la necessità del loro rientro nel primo seggio vescovile, qualora da questo fossero stati irregolarmente rimossi.
L. sedette sul seggio romano per quattro anni (Fragmentum Laurentianum, p. 46: "[...] per annos circiter quattuor Romanam tenuit ecclesiam"), dal 502 al 506. In questo periodo, durante il quale furono suoi la carica di vescovo, il governo della Chiesa e la gestione del patrimonio dei tituli, la città fu sconvolta da violenze indicibili. Da parte sua, Teoderico sembrava aver rinunciato (per scelta o per impedimenti) al suo ruolo di garante dell'ordine pubblico. Alla fine, il re intervenne a favore di Simmaco anche per la mediazione di un diacono della Chiesa alessandrina, Dioscoro. Teoderico si rivolse al patrizio Festo, uno dei capi senatoriali che appoggiavano L., perché a Simmaco venissero restituiti i tituli e la cattedra. Non fu, però, necessario arrivare a costringere L. alla restituzione. Il Fragmentum attribuisce a una libera e responsabile scelta di L. - perché Roma non continuasse a essere sconvolta da violenze fratricide - la decisione di abbandonare il campo. Ritiratosi in un possedimento di campagna dello stesso Festo, L. visse in ascesi fino alla fine dei suoi giorni.
La dichiarazione di fedeltà a Simmaco da parte di Giovanni, diacono della Chiesa romana, fino ad allora schierato con i laurenziani, è un documento (18 settembre 506) che può essere considerato decisivo per stabilire il momento conclusivo dello scisma (Iohannes Diaconus, p. 38). L'11 marzo del 507, sotto il consolato di Venanzio, Teoderico prendeva ufficialmente e formalmente atto delle decisioni del sinodo simmachiano relative alla non alienazione dei beni ecclesiastici.
E. Wirbelauer (pp. 39-40) ritiene più corretto fissare la fine dello scisma e del pontificato di L. in base a quest'ultimo documento. Il periodo del pontificato dell'antipapa L., tradizionalmente fissato in quattro anni, andrebbe, perciò, ampliato a cinque anni. Si rende quindi necessario correggere l'iscrizione del medaglione di L., di cui è rimasta solo una copia pittorica. La copia riporta: "sed(it) ann(os) II m(enses) V d(ies) XXV" (B.A.V., Barb. lat. 4407). E. Wirbelauer (p. 39) ritiene che si debba correggere: "ann(os) V m(enses) II" (oppure "V").
Echi del conflitto continuarono anche dopo il ritiro di L. dalla carriera ecclesiastica. Le ultime resistenze furono riassorbite dal successore di Simmaco, papa Ormisda.
fonti e bibliografia
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Iohannes Diaconus, Libellus quem obtulit sancto papae Symmacho, a cura di E. Wirbelauer, München 1993, p. 38 (cfr. anche ep. 8: Libellus Johannis diaconi, quem obtulit sancto papae Symmacho, in Epistolae Romanorum Pontificum genuinae [...], a cura di A. Thiel, I, Brunsbergae 1867, rist. anast. Hildesheim-New York 1974, p. 697).
Documenta Symmachiana et Laurentiana (comunemente indicati come apocrifi simmachiani):
Gesta Marcellini (o Synodus Sinuessana), in P.L., VI, coll. 11-20.
Constitutum Silvestri, ibid., VIII, coll. 822-40, 1388-93 ss.
Gesta de Xysti purgatione, ibid., Supplementum, III, coll. 1249-52.
Gesta Liberii, in P.L., VIII, coll. 1387-93.
Gesta Polychronii, ibid., Supplementum, III, coll. 1252-255.
Questi, una lettera dei padri niceni a Silvestro e una seconda edizione del concilio di Silvestro con duecentottantaquattro vescovi, sono editi ora inE. Wir- belauer, Zwei Päpste in Rom. Der Konflikt zwischen Laurentius und Symmachus (498-514). Studien und Texte, München 1993 (Quellen und Forschungen zur Antiken Welt, 16), pp. 226-341.
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