Onorio II, antipapa
Sulla sua nascita e la sua giovinezza i dati sono pochi e contrastanti. Attualmente, a seguito della pubblicazione di numerosi documenti da parte di P. Cenci, si può affermare che Cadalo (Cadolus, Cadalus, Kadalus, Cadalous, Cadelohus, Kadulus, Cadolah), di origine longobarda, sia nato verso il 1010 da Ingone figlio di Wicardo figlio di Atone. L'origine della sua famiglia sembra da ricercarsi, secondo V. Cavallari (pp. 74-5), in "milites" originari probabilmente di Monselice alla fine del X secolo e presenti nel Veronese e nel Vicentino a servizio del conte. Nel 992 Wicardo di Atone, abitante nel castello di Calmano, acquista terre a Lonigo, nel Comitato vicentino. Suo figlio Ingone, invece, "abitator in civitate Verone", nel 1005 acquista case a Verona e territori del Comitato veronese e, in un documento del 1014, è detto "vicecomes de civitate Verone", visconte o viceconte di Verona.
Il 13 luglio 1028 il padre Ingone è già morto, e i suoi figli Cadalo "clericus", Erizo e Giovanni incrementano il patrimonio di famiglia acquistando un terreno; il 3 settembre 1030, Cadalo, in un atto analogo, è designato come suddiacono; il 31 luglio 1034 è indicato come diacono. Importante passaggio nella sua carriera fu l'essere nominato "vicedominus", visdomino, della Chiesa veronese, cioè amministratore dei beni della diocesi, come risulta da un documento di acquisto dell'11 aprile 1041, erroneamente datato da P. Cenci al 1047. La corretta datazione del documento (F. Schneider, p. 192) permette così l'identificazione tra Cadalo vicedomino e Cadalo vescovo di Parma, che altrimenti sarebbe stata impossibile, e dà a Cadalo un curriculum sufficiente a giustificare la sua successiva elezione vescovile. Infatti, il 24 maggio 1045, in un atto di acquisto di un terreno nel Vicentino, Cadalo "filius bone memorie Ingoni de loco Sablone" è detto vescovo di Parma. La sua elezione a vescovo fu probabilmente favorita dalla corte imperiale, in particolare dall'imperatrice Agnese, oltre che dal vescovo di Verona Gualtiero, mentre Pier Damiani, nella sua acre polemica con l'antipapa O., che chiamò (ep. 7, B) "veterrimus draco", "perturbator Ecclesiae, eversor apostolicae disciplinae" e ancora "apostolus antichristi" - formula quest'ultima da cui si passerà, nel secolo successivo, all'epiteto di "antipapa" -, sottolineò la sua mancanza di cultura, compensata solo dalle sue ricchezze.
Già a questa data, Cadalo ha perduto, oltre al padre e alla madre, anche i suoi due fratelli ed è rimasto unico erede dei vasti possedimenti nel Vicentino e nel Veronese. Il nuovo vescovo di Parma decise, con i suoi beni, di fondare un monastero a Verona e a questo fine, il 23 aprile 1046, effettuò una permuta con il vescovo di Verona per avere a disposizione le terre necessarie al futuro monastero benedettino di S. Giorgio in Braida, che fondò il giorno successivo, mantenendo però per sé l'usufrutto dei beni.
Secondo la lettura dei documenti fatta da V. Cavallari, la famiglia di Cadalo avrebbe avuto un ramo parallelo, ma distinto, rappresentato dalla potente famiglia degli Erzoni, in cui un Ingone di Wicardo acquista nel 989 dal vescovo di Vicenza il castello di Sabbione, che poi passerà alla famiglia di Cadalo, come si deduce dal già citato documento del 1045 (v. anche A. Castagnetti, pp. 13-4). Sembra invece che non lo si debba identificare con il Cadalo "Kadeloth" che nel 1037 era vescovo di Naumburg e cancelliere imperiale di Corrado II. È anche da escludere la presunta origine parmense di Cadalo. Più volte, nei concili di Pavia (1049), di Mantova (1052) e di Firenze (1055), Cadalo era stato accusato di simonia, anche se ciò non si tradusse mai in una condanna.
Dopo quasi vent'anni trascorsi come vescovo di Parma, Cadalo, riformatore moderato legato alla corte imperiale, fu scelto al concilio di Basilea del 1061 (28 ottobre) come papa da opporre ad Alessandro II, Anselmo da Baggio, deciso riformatore e sostenitore del movimento patarinico (che era stato eletto il 30 settembre 1061 secondo le regole stabilite nel Decretum de electione domni papae emanato da Niccolò II). Alessandro II aveva potuto contare sull'appoggio del potente arcidiacono Ildebrando, futuro Gregorio VII, e di tutti i cardinali vescovi riformatori. Tuttavia l'esito dell'elezione non fu comunicato all'imperatore e fu anzi grazie al sostegno militare che offrì il normanno Riccardo, principe di Capua e conte di Aversa, se Anselmo poté entrare a Roma dove, il 1° ottobre, fu consacrato.
Fu proprio il mancato contatto con la corte imperiale a risvegliare le speranze della nobiltà romana, delusa dalla vittoria dei riformatori: il conte Gerardo di Galeria, insieme con altri nobili romani e accompagnato dall'abate dei SS. Andrea e Gregorio al Celio, si recò in Germania perché il giovane Enrico IV (1056-1106), accettando il titolo che gli venne offerto di "patricius Romanorum", potesse usarlo per una nuova elezione pontificia. A corte trovò altri alleati, come il cancelliere Guiberto, originario di Parma. L'imperatrice reggente Agnese decise allora di convocare un concilio a Basilea (ottobre 1061). Fu così che Cadalo venne eletto papa assumendo il nome di Onorio II. Secondo Pier Damiani, l'elezione di O. ebbe l'appoggio determinante di alcuni vescovi dell'Italia settentrionale, fra i quali Gregorio, vescovo di Vercelli, e Dionigi, vescovo di Piacenza; si opposero Adalberto, metropolita di Brema-Amburgo, divenuto poi vicario e legato della Santa Sede, e Gerardo arcivescovo di Salisburgo. Secondo la recente ricostruzione del concilio, di cui non abbiamo gli atti, fatta da M. Stoller, sembra invece che l'elezione di O. sia stata essenzialmente una scelta imperiale (p. 263).
Il vescovo di Alba, Benzone, fu incaricato di preparare l'ingresso di O. a Roma; in quanto delegato ufficiale dell'imperatrice Agnese, si stabilì in Campidoglio e si ingraziò la popolazione romana con la donazione di ingenti somme di denaro. L'imperatore di Bisanzio avviò contatti diplomatici con lui in vista di un accordo dei due Imperi contro i Normanni, sostenitori di Alessandro II. Intanto, il 25 marzo 1062, O. giunse a Sutri, dove incontrò il vescovo di Alba e la nobiltà romana. Lo scontro armato tra le fazioni di O. e di Alessandro II avvenne alle porte di Roma, "in prato Neronis" (G. Savio, p. 995), il 14 aprile: O. conquistò la città leonina, mentre Alessandro II si ritirava nel monastero di S. Maria sul Campidoglio. Nel frattempo, in Germania, l'arcivescovo di Colonia Annone, insieme con il metropolita di Brema-Amburgo Adalberto, avevano sostituito Agnese nella reggenza dell'Impero. L'arrivo a Roma (maggio) del duca Goffredo di Lorena a capo di un ingente esercito accampato presso l'attuale ponte Milvio, oltre a rendere manifesta l'intenzione del duca di porsi quale arbitro delle vicende italiane, aprì una nuova fase nella lotta fra i due contendenti; infatti Goffredo, contrario ai Normanni, ma non ostile ad Alessandro II per le pressioni, tra l'altro, della moglie Beatrice di Canossa, chiese ai due papi di ritirarsi nelle rispettive diocesi. Mentre O. rifiutò, Alessandro II obbedì e si recò nella sua diocesi di Lucca, dove rimase almeno fino a dicembre.
Forse su iniziativa dell'arcivescovo Annone, divenuto reggente dell'Impero e piuttosto favorevole ad Alessandro II, venne convocato un concilio ad Augusta il 24 ottobre 1062 per affrontare la questione della legittimità dell'uno e dell'altro papa. In difesa di Alessandro II si presentò Pier Damiani, cardinale vescovo di Ostia: le sue argomentazioni costituirono poi il nucleo della sua Disceptatio synodalis, trattato sotto forma di dialogo tra l'avvocato del re e il difensore della Chiesa romana. L'argomento principale a favore di Alessandro II era costituito dal fatto che, solo perché costretti dalle circostanze difficili, i cardinali non avevano dato immediatamente notizia all'imperatore dell'avvenuta elezione. Del resto, prosegue Pier Damiani, che la validità dell'elezione del papa non fosse determinata dal consenso del re è dimostrato implicitamente dalle numerose elezioni avvenute senza che l'imperatore fosse intervenuto in alcun modo. Così facendo, Pier Damiani minava le fondamenta stesse su cui si era fondata l'elezione di Onorio II. Il concilio, al quale non parteciparono i vescovi di Milano e di Ravenna, fu quindi piuttosto favorevole ad Alessandro II, anche se non si pronunciò in maniera definitiva per nessuno dei due. Anzi, il nipote di Annone, Burcardo vescovo di Halberstadt, fu incaricato di indagare sulla presunta simonia di Alessandro II.
Con l'aiuto del duca Goffredo di Lorena e dei Normanni, Alessandro II nel marzo 1063 era tornato a Roma e il mese successivo, in Laterano, riunì in concilio più di cento vescovi che provvidero, oltre al resto, a scomunicare Onorio II (20 aprile). Questi rispose con un concilio riunito a Parma (maggio 1063) ove scomunicò Alessandro II perché si sarebbe avvalso per la sua elezione dell'aiuto dei Normanni, nemici dichiarati dell'Impero. Raccolto molto denaro, forte di un esercito lombardo e di alcune fazioni della nobiltà romana, O. riuscì a tornare a Roma nel maggio 1063, occupando Castel S. Angelo e S. Pietro.
Tuttavia, la sua conquista non risultò stabile: da una parte, infatti, i contatti che il vescovo d'Alba Benzone aveva ripreso con la corte imperiale non erano stati fruttuosi, in quanto Guiberto era stato sostituito nella sua carica di cancelliere dal vescovo di Vercelli, Gregorio, favorevole ad Alessandro II; dall'altra, la protezione armata offertagli da Cencio, figlio di Stefano prefetto di Roma, si stava trasformando in una prigionia, perché di fatto O. era costretto a risiedere nella torre che Cencio possedeva sul Tevere davanti a Castel S. Angelo, potendone, infine, uscire solo dopo il pagamento di 300 piastre d'argento.
In questo contesto, sfavorevole a O., Pier Damiani, allora legato papale in Francia, prese l'iniziativa di scrivere all'arcivescovo Annone chiedendogli di convocare un altro concilio. Il suo intervento fu severamente criticato dall'arcidiacono Ildebrando e disapprovato da Alessandro II. Non solo Pier Damiani aveva agito senza consultarsi con la Curia del papa, e per di più in un momento in cui O. era visibilmente in difficoltà, ma soprattutto aveva attribuito alla corte imperiale un ruolo importante, riconoscendole l'autorità di legittimare o meno l'elezione pontificia. In realtà, tutte queste critiche risultarono infondate, perché fu proprio grazie al concilio di Mantova del 31 maggio 1064 (Dizionario dei Concili, a cura di P. Palazzini, III, Roma 1965, pp. 57-8) che lo scisma si compose in maniera pressoché definitiva a favore di Alessandro II. Il concilio, che riuniva vescovi italiani e tedeschi, rifiutò la presidenza ad O., che per questa ragione non vi partecipò, ritirandosi ad "Aqua Nigra". Alessandro II invece accettò di rispondere ad Annone circa le accuse di simonia e di alleanza con i Normanni contro l'Impero. La sua difesa, quanto alla simonia, si basò sul fatto di esser stato eletto contro la propria volontà e, per quel che riguardava i rapporti con i Normanni, nemici dell'Impero, il papa invitò il re a farsi incoronare a Roma, verificando così di persona la fondatezza dell'accusa. Inoltre, Alessandro II ribadì più volte che il re non aveva alcun potere sull'elezione pontificia e che, nel suo caso, tutto si era svolto secondo le prescrizioni del Decretum di Niccolò II. L'assenza di O. e la valida difesa di Alessandro II determinarono il giudizio del concilio, che depose e scomunicò O., il quale poté contare allora soltanto sul sostegno di Guiberto, arcivescovo di Ravenna e futuro antipapa Clemente III, mentre l'arcivescovo di Milano, Guido, e altri vescovi lombardi avevano finito con l'accettare Alessandro II. A O. non restò che tornare a Parma, a quanto sembra senza accettare la sua deposizione, sia perché ancora nel 1069, il 20 aprile, si definiva "ego Cadalus episcopus atque electus apostolicus" (Italia pontificia, p. 421), sia perché si mostrò disponibile a riprendere le vesti papali in almeno due occasioni. Ciò avvenne quando, nel 1065, Enrico IV fu dichiarato maggiorenne in concomitanza con un colpo di mano del vescovo Adalberto che mise da parte Annone. Si veniva così a creare una situazione potenzialmente favorevole a O., fatto che non sfuggì a Pier Damiani che invitò il re a difendere la Chiesa. Il pericolo venne meno quando i signori tedeschi, riunitisi alla Dieta di Tribur nel gennaio 1066, obbligarono Adalberto a rientrare nella sua diocesi. L'ultima occasione fu invece costituita dall'ambasceria che nel 1068 venne fatta a Cadalo da parte di Enrico IV, che volle così mostrare il suo dissenso nei confronti della politica di Alessandro II, favorevole ai Normanni da una parte e ai Patarini lombardi, ostili all'arcivescovo Guido che si era nuovamente allontanato dalla riforma, dall'altra. La reazione di Alessandro II fu durissima: comminò la scomunica ad Enrico IV e ad Annone, che era a capo dell'ambasceria, e assolse entrambi solo dopo che si furono emendati. O. non ebbe più occasioni di far valere la sua elezione e morì nel 1071 o nel 1072.
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