Pasquale, antipapa
Di lui il Liber pontificalis tratta nella biografia di Conone, dove è ricordato come arcidiacono romano. Quando l'anziano papa cadde malato nella prima metà dell'anno 687, P. non esitò a prendere contatti con il neoeletto esarca di Ravenna Giovanni Platyn, per richiederne il sostegno alla propria elezione al pontificato in cambio di una ricca offerta di denaro. P. riteneva, infatti, di poter disporre di una somma di 100 libbre d'oro, che avrebbe potuto ottenere usando le donazioni destinate al clero dal pontefice morente. Dopo la sepoltura di Conone (21 settembre 687) P. dovette, però, fare i conti con una situazione imprevista. L'instabile elettorato romano si era, infatti, diviso in due fazioni. A P. fu contrapposto l'arcipresbitero Teodoro, che già al tempo dell'elezione di Conone aveva tentato invano l'ascesa al soglio pontificio. Per la seconda volta in un lasso di tempo brevissimo il corpo elettorale romano si era frazionato, anche se non esisteva più una netta contrapposizione tra il partito del clero e quello dei militari. Il carattere confuso ed eterogeneo delle fazioni testimonia la situazione di crisi che gravava su Roma, dopo il periodo di sostanziale concordia tra i ceti dirigenti che si era verificata durante il periodo della controversia monotelita. È probabile, altresì, che a creare maggior incertezza tra gli elettori si fossero adoperati anche gli emissari dell'esarca di Ravenna, giunti nel frattempo a Roma su richiesta di Pasquale. Gli eventi precipitarono. Il dissidio tra le varie correnti protagoniste delle elezioni papali, represso solo superficialmente l'anno precedente, esplose in tutta la sua violenza, aggravato dall'intromissione diretta delle autorità imperali. Teodoro e i suoi fedeli occuparono la parte più interna del Palazzo Lateranense; di conseguenza, P. e i suoi elettori dovettero acquartierarsi nella parte più esterna di quello. Data la situazione di grave stallo, la parte più responsabile dell'elettorato decise di avviare trattative per la scelta di un terzo candidato, che non scontentasse troppo le varie fazioni e che potesse essere contrapposto ai due gruppi asserragliati nel Laterano. Il Liber pontificalis specifica che la decisione fu presa nel palazzo imperiale sul Palatino ed ebbe come protagonisti i "primati iudicum et exercitus Romane militiae vel cleri [...] plurima pars et praesertim sacerdotum, atque civium multitudo". Fu scelto il rettore del titolo di S. Susanna, il presbitero Sergio, che aveva molti punti in comune col predecessore Conone: d'origine orientale era anch'egli legato alla Sicilia e si era pure lui formato a Roma. L'elezione di Sergio rappresentava un compromesso accettabile per le varie parti (v. Sergio I, santo). L'insediamento nel Laterano fu però tutt'altro che agevole per il neoeletto. Giunto al palazzo, trovò le porte sbarrate. I suoi elettori - di gran lunga più numerosi degli occupanti - dovettero penetrare all'interno con la forza. L'arcipresbitero Teodoro fece atto di sottomissione formale e immediato. Non altrettanto P., che tentò di resistere e si arrese solo di fronte all'evidente sproporzione delle forze in campo. La travagliata vicenda ebbe uno strascico assai penoso per l'autonomia della città e della Sede romana. L'esarca di Ravenna, coinvolto a suo tempo da P., giunse a Roma. La sua venuta fu improvvisa e i rappresentanti della cittadinanza poterono farsi incontro all'esarca solo quando questi era ormai arrivato alle porte della città. Giovanni Platyn avviò un'inchiesta allo scopo di fare luce sul triplice tentativo di elezione e di accertare la validità di quella di Sergio. Preso atto del sostanziale accordo dei Romani a favore di quest'ultimo, Giovanni non intese però rinunciare alla somma pattuita con Pasquale. Inutilmente Sergio protestò che la promessa era stata fatta dal rivale. Per vedersi ratificare l'elezione il nuovo papa dovette pagare all'esarca le 100 libbre d'oro pattuite, e fu costretto per questo ad alienare vasi e arredi della confessione di S. Pietro. Finalmente poté essere consacrato il 15 dicembre 687. P. non rinunciò alla speranza di riuscire a essere eletto papa e il Liber pontificalis afferma che egli tentò ancora di contattare i rappresentanti bizantini, ma invano. La sua ostinazione lo portò a essere processato: fu spogliato della dignità ecclesiastica e accusato di ricorrere alle pratiche magiche per sostenere le sue pretese. Condannato, fu rinchiuso per un lustro in un monastero dove morì, "impenitens", nel 692. Così come il suo avversario Teodoro, P. non può essere definito un vero antipapa, in quanto fu eletto ma non consacrato.
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