URSINO, antipapa
Nato a Roma in data sconosciuta, U. è comunemente considerato un antipapa in quanto la sua elezione, avvenuta il 24 settembre del 366, fu in contrasto con quella di Damaso; quest'ultimo, sostenuto dall'aristocrazia, ebbe dalla sua parte il potere civile e fu riconosciuto come legittimo. U. continuò a contrastarlo per tutta la durata del pontificato, e, alla sua morte, si ripresentò come candidato alla successione, ma anche questa volta gli fu preferito Siricio che ottenne un consenso unanime e l'approvazione dell'imperatore. Il conflitto tra U. e Damaso rappresentò la conseguenza estrema e cruenta di una divisione della Chiesa romana verificatasi negli anni precedenti, quando l'imperatore Costanzo, filoariano, era intervenuto nelle faccende ecclesiastiche esiliando Liberio in Tracia, poiché questi si era rifiutato di sottoscrivere la condanna di Atanasio; Costanzo aveva poi imposto come successore Felice II. Il clero romano, nonostante avesse giurato che nessun altro papa sarebbe stato riconosciuto se non Liberio, accolse Felice II suscitando l'ostilità dei fedeli. In seguito Liberio fu reintegrato, ma alla sua morte il conflitto, che lo stesso papa una volta riabilitato aveva cercato di ricomporre, riesplose in modo violento. In quanto antipapa U. non è menzionato nel Liber pontificalis e per la ricostruzione della vicenda si hanno a disposizione solo fonti provenienti da personaggi coinvolti direttamente nei fatti e che prospettano, quindi, un resoconto piuttosto partigiano. Dal confronto tra queste fonti si può giungere tutttavia a una ricostruzione attendibile. L'unica testimonianza neutrale sembra essere quella dello storico pagano Ammiano Marcellino, che esamina gli avvenimenti dall'esterno, soprattutto preoccupato dei turbamenti che le lotte interne alla Chiesa potevano provocare in Roma. Dagli ambienti vicini a U. proviene una raccolta di documenti, denominati Collectio Avellana, che danno una cronaca ampia e particolareggiata degli eventi. Da parte filodamasiana, invece, sono giunte le notizie di Girolamo nel Chronicon e nell'epistola 15, di Rufino nella Historia ecclesiastica e infine degli storici greci Socrate e Sozomeno che si pongono in linea con la tradizione rufiniana. Alla Collectio Avellana appartengono i Gesta inter Liberium et Felicem episcopos, una cronaca redatta poco dopo il 368 dai partigiani di U., finalizzata a mobilitare l'episcopato italiano a favore del partito ursiniano. Nella prefazione si risale alle origini del conflitto ricordando i fatti intercorsi tra Liberio e Felice. Lo scontro tra Damaso e U. viene inquadrato nel contesto della lotta antiariana ("durior orta est persecutio Christianorum ab impiis haereticis Arianis, annuente Constantio"). U. è presentato come il legittimo successore del vescovo ortodosso Liberio, mentre Damaso viene tratteggiato, sin dal suo primo apparire nella vicenda, come un personaggio infido: dapprima seguì Liberio nell'esilio, ma in seguito abbandonò il vescovo e tornò a Roma "ambitione corruptus". In realtà anche dello stesso Liberio non viene data una caratterizzazione completamente positiva poiché ne viene rilevata la debolezza di fronte alle prevaricazioni di Costanzo. Durante l'esilio, Liberio, duramente provato dagli stenti della lontananza e dell'asperità del clima, si piegò all'imperatore, il quale, al popolo romano che implorava il ritorno del proprio vescovo, assicurò che questi sarebbe tornato a suo tempo e migliore di prima, con probabile allusione ad un ammorbidimento nei confronti della parte filoariana. In effetti Liberio tornò a Roma ma, secondo il testo, "manus dederat perfidiae", promosse cioè un riavvicinamento con gli ariani e inoltre, morto Felice, ricollocò i presbiteri che gli erano stati infedeli nelle loro sedi. Alla morte di Liberio gli avvenimenti precipitarono. Stabilire una cronologia precisa degli eventi occorsi nei primi giorni del conflitto sarebbe fondamentale per determinare il successore legittimo, che, secondo la normativa allora vigente, sarebbe dovuto essere il candidato eletto per primo. Dalle fonti pervenute è difficile ricostruire la reale successione dei fatti per l'ambiguità, probabilmente intenzionale, con cui gli autori dei documenti di entrambe le parti alludono alle circostanze cronologiche. L'impressione che se ne ricava è che gli eventi si siano svolti più o meno contemporaneamente. Inoltre è difficile valutare le elezioni dei due candidati perché in quell'epoca la procedura dell'ordinazione papale era ancora piuttosto vaga: il papa veniva scelto dal clero romano e successivamente confermato, per acclamazione, dal resto della comunità. Secondo i Gesta inter Liberium, il giorno stesso della morte di Liberio, i laici e il clero fedeli al papa appena defunto, riunitisi nella basilica Iulia in Trastevere, elessero U.: "Allora i presbiteri e i diaconi Ursino, Amanzio e Lupo, con la plebe santa che aveva mantenuto la fedeltà a Liberio [...] chiedono che venga ordinato pontefice, come successore di Liberio, il diacono Ursino", mentre quelli che il testo chiama "gli spergiuri", adunatisi in S. Lorenzo in Lucina, chiesero Damaso come successore di Felice. Nel frattempo U. venne consacrato da Paolo, vescovo di Tivoli, ma quando Damaso venne a conoscenza del fatto radunò una moltitudine di gladiatori e assalì la basilica Iulia compiendo una strage durata tre giorni. Il settimo giorno si impadronì del Laterano e lì fu consacrato. Il prefetto Vivenzio, che all'inizio degli scontri si era allontanato da Roma, come testimonia Ammiano, tornato nell'Urbe prese le difese di Damaso che occupava ormai ufficialmente la sede dell'episcopato e, per porre fine ai disordini, mandò in esilio Ursino. Gli ursiniani insinuarono però che Damaso avesse corrotto il prefetto per ottenere l'esilio dell'avversario che, "ordinato prima", sarebbe stato il successore legittimo. Anche dopo l'allontanamento di U. continuarono gli assalti di Damaso contro gli indomiti ursiniani, fino all'episodio più sanguinoso che, a detta anche di altri testimoni, fu quello del 26 ottobre del 366, nella basilica di Liberio (l'odierna S. Maria Maggiore), in cui persero la vita centosessanta persone del partito di U. mentre, secondo gli autori dei Gesta, da parte di Damaso non ci furono perdite. Come si è detto, Damaso, ma anche lo stesso Liberio, non appaiono sotto una luce positiva; il vero protagonista del racconto, di cui si esaltano costantemente la virtù e la fedeltà, sembra essere la comunità cristiana di Roma, la "plebs sancta et fidelis" che disapprovò il tradimento del clero nei confronti di Liberio, intercedette presso l'imperatore per ottenere il ritorno del papa a Roma e riuscì a ottenere l'effimero rientro di U. nel settembre del 367. Questo ritorno fu comunque boicottato da Damaso che corruppe le autorità civili ottenendo una nuova condanna all'esilio per il suo antagonista e l'allontanamento di tutti i presbiteri suoi seguaci. I fedeli ursiniani che resistono agli assalti di Damaso vengono descritti, nella cronaca, secondo gli schemi in uso per la Chiesa perseguitata: riunita nella basilica, la folla recita i salmi che invocano la giustizia di Dio sui persecutori. Di fronte alla ferma perseveranza degli ursiniani risultano vani anche i tentativi di dispersione attuati dagli avversari che cercano di scoraggiare la folla privandola dei capi (è a questo fine infatti che con U., nel secondo esilio, vennero coinvolti anche i presbiteri suoi seguaci), ma il popolo continua a riunirsi senza il clero presso le tombe dei martiri provocando la reazione violenta di Damaso: in particolare nei Gesta si allude a un assalto presso quella di S. Agnese che suscitò la riprovazione di tutti i vescovi d'Italia. Essi infatti, convocati a Roma per il dies natalis di Damaso, si rifiutarono di condannare U. dichiarando di essersi riuniti per celebrare un compleanno e non per condannare una persona assente. Come ha osservato Ch. Pietri, il racconto degli ursiniani non autorizza a pensare che essi fossero sostenuti dalla maggioranza popolare, in quanto questo particolare sarebbe stato evidenziato nel testo con molta maggiore enfasi; inoltre, negli altri documenti della Collectio, la plebe viene spesso rappresentata come oscillante tra una fazione e l'altra. Il popolo esaltato nel racconto appare invece come un "resto", una piccola porzione, costituita da coloro che rimasero fedeli a Liberio. Pietri interpreta il particolare delle riunioni senza clero piuttosto che come un'attestazione della strenua fedeltà degli ursiniani, come una spia dell'atteggiamento anticlericale di questa fazione. Il richiamo alla figura di Liberio potrebbe essere stato dunque una strumentalizzazione della figura di questo papa, finalizzata a sostenere il partito di Ursino. Sull'opposto versante Girolamo, in Chronicon, ad a. 366, delinea un resoconto dei fatti completamente contrastante rispetto a quello della Collectio: Damaso viene eletto trentacinquesimo vescovo della Chiesa di Roma, ma "dopo poco tempo Ursino, eletto vescovo da alcuni, occupa la basilica di Sicinino in cui, sopravvenuto il partito di Damaso, si consumò una gravissima strage". Girolamo sembra così sostenere la precedenza dell'elezione di Damaso, anche se l'espressione "post non multum temporis intervallum" è stata riferita da P. Künzle non all'elezione di U., che quindi sarebbe potuta avvenire prima di quella di Damaso, quanto piuttosto all'avvenuta occupazione del Sicinino. Altro elemento discordante è la collocazione dell'elezione di U. e il successivo scontro che, secondo Girolamo, avvenne non nella basilica Iulia, come asserivano i Gesta, ma nella basilica di Sicinino. Rufino tiene a sottolineare la diretta successione di Damaso rispetto a Liberio, mentre descrive U. come l'usurpatore che, non tollerando che l'avversario gli sia stato preferito, persuade Paolo di Tivoli, vescovo "assai inesperto e poco istruito", a consacrarlo nella basilica di Sicinino. L'antipapa è rappresentato contornato da una folla turbolenta e sediziosa ed è accusato di prevaricare le leggi e la tradizione. L'autore prosegue affermando che da questo primo episodio scaturì una serie di scontri violenti per cui i luoghi di preghiera si riempirono di sangue mentre i fedeli erano divisi tra l'uno e l'altro candidato, confermando dunque il dato che emergeva dalla Collectio sulla effettiva indecisione del popolo nel prendere partito a favore dell'uno o dell'altro dei contendenti. Socrate e Sozomeno, con poche varianti non significative, riprendono la tradizione rufiniana. L'unico testimone cui si possa riconoscere un'imparzialità, dovuta all'essere estraneo all'ambiente ecclesiastico, è, come detto, Ammiano Marcellino. Lo storico sembra porsi al di sopra delle parti e, se il suo resoconto è sottilmente velato di polemica, essa è rivolta, non solo a entrambi i contendenti, ma a tutto il clero romano che l'autore vede talmente corrotto dall'ambizione e dalla brama dei beni terreni da non esitare a sacrificare anche vite umane nella lotta per il potere. Ammiano concorda con Girolamo e Rufino nel collocare la strage del 26 ottobre nella basilica di Sicinino. I dati sono forniti in modo piuttosto asettico: lo storico testimonia che furono rinvenuti centotrentasette cadaveri, senza specificare chi fu l'iniziatore delle ostilità e da che parte si riscontrarono le perdite. Alla fine del resoconto però Ammiano esprime alcune considerazioni ironiche sullo stile di vita di Damaso e sul suo rapporto privilegiato con le matrone dell'alta società, ma queste in realtà sembrano ispirate, piuttosto che dal ruolo che Damaso assunse nel conflitto, da una più generica polemica contro la corruzione del clero. Il racconto dei Gesta si conclude con l'attacco di Damaso a S. Agnese. Si sa poi che Damaso fu oggetto di un'accusa ad opera dell'ebreo Isacco, ma verosimilmente gli si rinfacciavano le stragi degli anni precedenti e alla promozione di questo processo probabilmente non furono estranei gli ursiniani. Girolamo, nell'epistola 15, allude a un avvicinamento di U. ad Aussenzio durante il suo soggiorno a Milano. U. morì nel 385, in luogo sconosciuto. Fonti e Bibl.: Rufino, Historia ecclesiastica II, 10, in P.L., XXI, col. 521; Le Liber pontificalis, a cura di L. 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