VITTORE IV, antipapa
VITTORE IV, antipapa. – Si ignora la data di nascita di Ottaviano, della famiglia dei signori di Monticelli, che da alcune generazioni si fregiavano del titolo comitale e disponevano di terre e poderi nella Sabina.
La famiglia – con legami di parentela con stirpi dell’aristocrazia di Roma, probabilmente con i Crescenzi – avrebbe visto rafforzata la sua potenza nel maggio del 1159, quando Barbarossa concesse a Ottaviano, allora cardinale, e ai fratelli Ottone, Goffredo e Solimano, la città e il comitato di Terni con la relativa giurisdizione.
La prima testimonianza del collegamento di Ottaviano con la Curia romana è del 1137. In quell’anno, con il titolo di suddiacono, egli compare in Benevento con l’incarico di ‘rettore della città’, attribuitogli dal cardinale Girardo. L’anno seguente fu elevato alla dignità di cardinale diacono di S. Nicola in Carcere da Innocenzo II e nel 1151 fu nominato cardinale prete di S. Cecilia da Eugenio III: lo stesso papa che, nel 1145, appena eletto alla cattedra di Pietro, dovendo ritirarsi da Roma, si era rifugiato a Monticelli, nel centro della signoria della famiglia di Ottaviano.
Definito da una fonte coeva «speciale amatore dei Teutonici», il cardinale Ottaviano fu particolarmente attivo nelle relazioni tra la Curia romana e il mondo germanico. Appena promosso da Eugenio III, fu inviato in Germania insieme a Giordano, cardinale prete di S. Susanna, con lo scopo di convincere Corrado III a venire a Roma per l’incoronazione e, nel contempo, di vigilare sul funzionamento delle strutture ecclesiastiche della regione.
Egli assolse il compito di controllo con tanto zelo da suscitare reazioni in sede locale e la richiesta di chiarimenti da parte del pontefice; ma nell’occasione l’operato del cardinale, con le sue positive conseguenze sulla corte imperiale, fu elogiato da Gerhoh di Reichersberg.
Tra il dicembre del 1152 e il gennaio del 1153 fu tra i prelati che rappresentarono il pontefice nelle trattative svoltesi in Roma con Federico, re di Germania. I patti allora definiti – che impegnavano il futuro imperatore ad aiutare il pontefice a recuperare il controllo della città e a difendere tutte le regalie e gli onori spettanti alla Chiesa di Roma – costituirono il punto di riferimento per i rapporti tra il Papato e l’Impero negli anni seguenti. Barbarossa giurò solennemente a Costanza il 23 marzo 1153; Ottaviano fu presente, accanto al sovrano, quando nel gennaio del 1155 confermò quegli accordi di fronte al nuovo papa Adriano IV.
Durante questo pontificato, Ottaviano continuò a operare nel collegamento tra la Curia romana e Federico.
Secondo il racconto del vescovo imperiale Ottone di Frisinga, nel 1155 lo stesso pontefice, alle soglie di Roma, suggerì che Ottaviano accompagnasse un contingente scelto di truppe dell’imperatore nella città leonina per preparare e proteggere l’arrivo delle due supreme guide della cristianità.
Per gli anni seguenti, nelle fonti che rispecchiano punti di vista opposti a quelli imperiali, soprattutto in quelle redatte dopo lo scisma del 1159, il cardinale è raffigurato come partigiano dello svevo, e dunque come rappresentante delegittimato della Chiesa di Roma. Tuttavia è verosimile che Ottaviano abbia agito sempre in accordo con il papa, costituendo per quest’ultimo un importante tramite nelle relazioni con Barbarossa. Ancora nel 1159, quando ormai i rapporti tra papa e imperatore erano incrinati, Ottaviano – insieme al cardinale Guido da Crema – fu incaricato di intavolare difficili trattative con lo svevo.
Le vicende dell’elezione pontificia del settembre del 1159, che condussero allo scisma, restano in parte indecifrabili, poiché tutte le fonti sono di parte, e orientano il racconto a favore dell’uno o dell’altro eletto.
Di certo, nella basilica di S. Pietro, il 7 settembre – terzo giorno di riunione –, la maggior parte dei cardinali votò per Rolando Bandinelli, che era stato cancelliere del defunto Adriano IV, mentre una minoranza si espresse per Ottaviano. Quasi sicuramente Bandinelli esitò ad accettare e a portare a termine il cerimoniale. Questo atteggiamento rese possibile a Ottaviano di vestire il manto pontificio prima del suo concorrente e di assumere il nome di Vittore IV: la consacrazione seguì il 4 ottobre. Nell’interpretazione degli avvenimenti fornita dalle testimonianze a sostegno del cancelliere – consacrato papa con il nome di Alessandro III il 20 settembre – l’elemento decisivo è costituito dalla volontà della maggioranza, presentata quasi come unanimità. Per contro, le narrazioni a favore di Monticelli sostengono l’esistenza di una congiura dei cardinali della parte avversa, accusati di essere ostili all’Impero e fautori – su una linea già tracciata da Adriano IV – di un’alleanza con il re di Sicilia. Questi cardinali si sarebbero sottratti all’impegno formulato da tutti gli elettori di procedere all’unanimità e si sarebbero accordati per indicare un candidato del loro gruppo. Il difetto procedurale avrebbe giustificato la designazione fatta dalla parte minoritaria, ma di «più sano consiglio» dei cardinali: la parte che disponeva dell’appoggio del Capitolo di S. Pietro, del clero, dei senatori e del popolo di Roma.
Dunque le fonti favorevoli a Vittore IV sono portatrici di un’idea di Chiesa alternativa a quella cui faceva riferimento Alessandro III. Per esse l’elezione di Ottaviano era regolare in quanto espressione della convergenza di volontà di tutta la comunità romana, nelle sue diverse articolazioni, e non della sola volontà dei cardinali riuniti: le modalità della scelta del pontefice erano simili a quelle di qualsiasi altro vescovo, e il mancato rispetto di tale condizione era una delle ragioni della nullità dell’elezione di Bandinelli. Al di là dei diversi orizzonti ecclesiologici, le fonti dell’uno e dell’altro schieramento lasciano trasparire la grave crisi istituzionale che fu alla base dello scisma: i cardinali, operando secondo le norme, non erano in grado di portare a termine uno dei loro principali compiti, quello di garantire un’ordinata successione al soglio pontificio.
Nel corso dell’autunno-inverno del 1159-60, Vittore IV dovette affrontare l’iniziativa di Federico I: di fronte allo scisma Barbarossa evitò di pronunciarsi in modo diretto per uno dei due pontefici e convocò a Pavia un’assemblea di vescovi e di principi, che si esprimesse sugli esiti dell’elezione appena avvenuta (febbraio 1160).
Le conseguenze ecclesiologiche dell’atto sono chiaramente espresse dalla documentazione imperiale. I due eletti dovevano sottoporsi all’‘esame della Chiesa’, che veniva promosso dall’imperatore: quest’ultimo affermava il suo ruolo istituzionale nel delicato momento di passaggio da un papa a un altro. Di tali implicazioni sembra essersi accorto Alessandro III, che non si recò nella città lombarda, giustificando il suo comportamento con la tesi che il pontefice – che tutti giudica – non può essere sottoposto al giudizio di alcuno. L’assemblea approvò ‘secondo criteri di razionalità’, accolse ‘in modo ordinato’ e confermò l’elezione di Vittore IV, che aveva accettato di sottostare al parere dei rappresentanti della Chiesa.
L’11 febbraio 1160, al termine del concilio, Vittore IV fu condotto in processione dalla chiesa di S. Salvatore, fuori della città, fino alla cattedrale. Qui fu accolto dall’imperatore che, in segno di umiltà, lo aiutò a smontare da cavallo e, presolo per mano, lo condusse all’altare, dove gli baciò i piedi. Il 13 febbraio Vittore IV scomunicò Alessandro, che a distanza di un mese rispose con analogo gesto contro di lui e contro l’imperatore.
Nei mesi seguenti Federico I fu l’artefice delle iniziative per il riconoscimento delle decisioni del concilio di Pavia da parte dei Regni europei e delle loro Chiese. Il tentativo di ottenere l’adesione delle monarchie di Francia e d’Inghilterra non sortì effetto: dopo il sinodo di Beauvais della fine di luglio del 1160 gli episcopati delle due regioni si schierarono con Alessandro III. A favore di quest’ultimo si espresse, tra il 1161 e il 1162, dopo un periodo di neutralità, anche l’Impero di Bisanzio. I consensi alle deliberazioni pavesi in Danimarca, Boemia, Ungheria e Norvegia, per quanto vantati dall’imperatore, spesso furono solo formali e soggetti a cambiamento a seconda delle circostanze. Nel Sud della Francia l’accoglienza delle decisioni conciliari dipese dalle alleanze via via intrecciate dal sovrano; lo schieramento dell’ordo cluniacensis a favore di Vittore IV fu dovuto alla fedeltà di Ugo, abate di Cluny, a Barbarossa.
Restando fuori da queste vicende internazionali, Vittore IV si limitò a operare nell’Italia centro-settentrionale, in un’intensa attività di collegamento con gli episcopati a sostegno della propria posizione e, soprattutto, in stretta relazione con la curia imperiale. Nel giugno del 1161 convocò e presiedette un ‘concilio’. La scelta del luogo, Lodi, ebbe l’obiettivo di mettere in evidenza e potenziare il ruolo di una città importante per la politica imperiale nella pianura Padana: una città che, distrutta solo tre anni prima dai milanesi, riedificata rapidamente con il consenso di Barbarossa a sette chilometri dalla vecchia sede, costituiva un punto di forza nell’accerchiamento di Milano. L’assemblea servì a riunire i rappresentanti – ecclesiastici e principi secolari – di quella parte della cristianità che riteneva Vittore IV successore di Pietro, e a rinnovare la scomunica ad Alessandro III e ai suoi sostenitori.
Tra la primavera e l’estate dell’anno seguente (1162) Vittore IV assecondò il progetto, elaborato da Federico e accolto da Luigi VII, re di Francia, di convocare in un ‘concilio generale’ a St.-Jean de Losne, presso la Saona, nella diocesi di Besançon, i due pontefici romani al fine di giungere a una soluzione dello scisma.
All’assemblea, che si tenne il 29 agosto, Alessandro III non si presentò: ancora una volta per lui il primato connesso alla dignità papale era inconciliabile con la soggezione a qualsiasi giudizio.
Pochi giorni dopo (7 settembre 1162), a Besançon, Vittore IV accusò l’antagonista di non aver voluto che un’assemblea ecclesiastica esaminasse la conformità della sua elezione ai canoni: Monticelli continuava a far riferimento a un’ecclesiologia alternativa a quella del suo avversario.
Nella stessa sede tennero brevi discorsi sia Federico I sia il cancelliere imperiale Rainaldo, teorizzando il diritto dell’imperatore a intervenire nelle discordie insorte nelle elezioni del vescovo di Roma: la Chiesa di Roma si profilava come la prima Chiesa dell’Impero.
Di ritorno dalla Francia, Vittore IV si recò a Cremona, dove è attestato nel gennaio del 1163. Successivamente le tracce dei suoi spostamenti nell’Italia settentrionale, con ogni verosimiglianza al seguito di Rainaldo di Dassel, si diradano. Di certo, il 2 novembre 1163 tornò a Lodi con i suoi cardinali; due giorni dopo, il 4 novembre, egli celebrò – insieme a Barbarossa, al patriarca di Aquileia, all’abate di Cluny e a vari vescovi e arcivescovi – la traslazione del corpo di s. Bassiano, presule della città nel IV secolo e suo patrono, da Lodi Vecchia a Lodi Nuova.
In tal modo la rifondazione della città, solennemente sancita, assumeva un significato politico: poco dopo che Barbarossa aveva distrutto Milano, costringendone gli abitanti alla dispersione, proprio Lodi – la città annientata dai milanesi non molti anni prima – si ricostituiva nella continuità della sua storia alla presenza dell’imperatore, del papa e di esponenti autorevoli della Chiesa.
Morì il 20 aprile 1164 a Lucca, mentre Barbarossa si tratteneva nell’Italia settentrionale.
Intanto che la fama della sua santità si diffondeva, nella stessa città toscana i cardinali del papa defunto, incoraggiati dal cancelliere imperiale, procedettero all’elezione del successore, scegliendo tra loro Guido da Crema (Pasquale III): il prelato che quasi cinque anni prima più si era impegnato per l’elezione di Ottaviano.
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