ANTIPATRO di Tarso
Filosofo stoico, che fu scolaro e successore di Diogene di Seleucia nella direzione della scuola ad Atene, e maestro di Panezio (seconda metà del secolo II a. C.). Cicerone ed Epitteto parlano di lui con molta ammirazione. Morì in tarda età, suicida, dopo aver serenamente ringraziato gli dei per tutti i beni goduti nella vita. Le sue convinzioni filosofiche lo portarono a polemizzare vivamente, per iscritto, col contemporaneo Carneade, subendone anche talora, in alcune concezioni, l'influenza. Dai suoi frammenti non si può chiaramente capire quanto le sue dottrine divergessero, complessivamente, da quelle di Crisippo, né quanto con ciò egli anticipasse le posizioni della media Stoa. Si occupò di dialettica e di logica (studiando il problema della definizione e proponendo un'originale teoria del sillogismo ad una sola premessa), combatté la scepsi, trattò di teologia e di mantica e principalmente, infine, di etica, esponendo dottrine (come la definizione del τέλος e la concezione del carattere essenzialmente stoico dell'etica platonica) speciale interesse per la determinazione della sua posizione storica.
Per i frammenti v. von Arnim, Stoicorum veterum fragm., III, p. 209 segg.
Bibl.: H. Cohn, Ant. von Tarsos, Berlino 1905 (con tutta la bibliografia precedente); H. von Arnim, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., I, coll. 2515-16; O. Hense, Zu Ant. v. Tarsos, in Rhein. Museum, LXXIII (1920), pp. 290-305.