ANTIPATRO ('Αντίπατρος, Antipăter, di rado Antipătrus)
Uno dei più valenti, se non forse il più prezioso collaboratore di Filippo di Macedonia e di Alessandro Magno. Figlio di Iolao, aveva verosimilmente cominciato la sua carriera militare già sotto Perdicca; poiché sappiamo da Suida che egli aveva composto una opera storica intorno alle imprese illiriche di quel re; la sua nascita dovrà datarsi intorno al 390 a. C. (v. Beloch, Griech. Gesch., IV, n, § 52). Fin dai primi anni del regno di Filippo, egli cominciò a salire rapidamente in autorità e in prestigio, fino a raggiungere quell'altissima posizione che egli conservò poi, anche sotto Alessandro, fino alla morte; uomo colto, più di quanto non fosse la generalità dei nobili macedoni, entrò in dimestichezza con Aristotele, negli anni che lo Stagirita passò alla corte di Macedonia, come educatore del principe ereditario.
Verso la fine dell'anno 347, lo troviamo al seguito di Filippo, nella spedizione che questi condusse in Tracia contro il principe Cersoblepte e le città alleate ad Atene. Mentre la flotta macedonica investiva Abdera, Antipatro, al comando di un forte distaccamento, si spingeva fino alla Propontide. Nel 346, fu, insieme con Parmenione, a capo dell'ambasceria macedonica che trattò in Atene per la stipulazione di quella pace che, dal nome del negoziatore ateniese, fu detta di Filocrate (Demostene, De legat., 143).
Dopo la battaglia di Cheronea e la pace che ne seguì fra Atene e Filippo (338 a. C.), Antipatro accompagnò ad Atene il suo principe Alessandro, che il re inviava nella città vinta, ma ch'egli desiderava a sé benevola, per accompagnarvi i resti degli Ateniesi caduti nella cruenta giornata: in tale occasione gli furono conferite, per decreto del popolo, la cittadinanza ateniese e la prossenia (Giustino, IX, 4, 5; Polibio, V, 10; Iperide, In Demad., fr. 77 Blass, 3ª ed.). Quando, pochi mesi più tardi, Filippo cadde sotto i colpi di un regicida (Pausania), al contegno fermo e deciso di Antipatro, all'autorità di cui egli godeva alla corte e nell'esercito dové il giovane Alessandro se la sua successione al trono poté avvenire senza indugi e senza tumulti e rapidamente consolidarsi. Se a lui in sommo grado (oltreché a Parmenione, a Clito, e ad altri) Alessandro fu debitore del trono, non meno preziosa e indispensabile gli fu l'opera di Antipatro durante il suo regno: a lui infatti il giovane re commise il geloso e difficilissimo incarico di governare la Macedonia e la Grecia durante la sua assenza per la guerra alla Persia; incarico che Antipatro assolse con mirabile perizia di generale e di statista, con immutata devozione verso il suo re.
I compiti di Antipatro, nella sua altissima carica, erano principalmente: governare la Macedonia, proteggendone i confini da qualunque eventuale assalto; curare i rapporti degli stati greci verso la Macedonia e sorvegliare l'applicazione del patto federale di Corinto; provvedere all'invio dei rinforzi e dei complementi necessarî all'esercito operante in Asia; compiti irti di difficoltà e di responsabilità, finché Memnone minacciava con la flotta persiana le coste stesse della Grecia e Farnabazo e Autofradate operavano a ristabilire il predominio persiano nell'Egeo.
Delle città greche, Sparta fu l'unica che non volle adattarsi a riconoscere la sovranità macedonica; anche dopo che Alessandro, conquistando la Fenicia e l'Egitto, ebbe spazzato via dai mari la flotta persiana, privandola delle sue basi (v. alessandro magno), il re spartano Agide non si dette per vinto; ma, ridottosi nell'isola di Creta, raccolse ivi nuove forze, e, sbarcatele nel Peloponneso, iniziò l'offensiva contro la Macedonia, traendo al suo fianco parecchi degli stati peloponnesiaci (primavera 331). Antipatro non poté venire che tardi in soccorso del Peloponneso rimasto fedele; poiché gli fu d'uopo appianare prima un grave conflitto sorto fra lui e Memnone, governatore della Tracia: frattanto Agide assediava Megalopoli, obbediente alla Macedonia, e levò l'assedio solo quando Antipatro gli fu dappresso con un esercito di circa 40.000 uomini in cui erano riuniti ai contingenti macedonici quelli dei confederati greci. La battaglia si combatté, nelle vicinanze di Megalopoli, nell'autunno del 331: gli Spartani, assai inferiori di numero, combatterono con grandissimo valore, ma furono sopraffatti; lo stesso Agide cadde con oltre 5000 dei suoi (Diodoro, XVII, 63; Curzio, VI, 1,1-16; Giustino, XII, 1, 8-12). Alessandro lasciò che Antipatro concedesse la pace a miti condizioni; e da questo momento fino alla morte di Alessandro non si ebbero in Grecia altri tentativi di scuotere la sovranità macedonica.
La nuova concezione monarchica, nella quale venne Alessandro dopo lo sfacelo del regno persiano, il suo progressivo allontanarsi dalle forme tradizionali della regalità macedonica, l'aver voluto piegare i suoi ufficiali e i suoi ministri all'etichetta delle corti orientali furono causa di un primo raffreddamento nei rapporti di Antipatro col re: maggiormente vi contribuirono il processo e l'esecuzione di Filota (v. alessandro magno e filota), cui si accompagnò quella del genero stesso di Antipatro, Alessandro di Lincestide; e la pretesa di Alessandro agli onori divini. Secondo una testimonianza di Suida, Antipatro fu il solo dei diadochi che sempre inflessibilmente rifiutò l'adorazione divina al suo re. Ciononostante, egli non venne mai meno alla fedeltà verso il sovrano; neppure quando la regina madre, autoritaria e gelosa dei suoi straordinarî poteri, cercò di metterlo in cattiva luce presso il figlio (Plutarco, Alex., 39; Diodoro, XVII, 118, 1). I sospetti gettati sopra di lui sembra facessero invece presa sull'animo di Alessandro, il quale, ritornato dalla spedizione indiana nel 324, giudicò opportuno di rimuovere l'ormai troppo potente Antipatro dal suo altissimo ufficio. Fu scelto a sostituirlo uno dei più provetti e fidati ulficiali dell'esercito, Cratero, il quale ricevette senz'altro dal re la nomina di governatore della Macedonia. Egli doveva mettersi subito in viaggio verso l'Europa, al comando dei veterani macedoni congedati; a sua volta, Antipatro ebbe ordine di venire in Asia, per condurre ad Alessandro nuovi contingenti di truppe fresche (Arriano, VII, 12; Plutarco, Alex., 74).
Ma, prima che Cratero fosse arrivato in Europa, Alessandro soggiaceva a violento morbo il 23 giugno del 323. Corsero più tardi voci calunniose che designavano Antipatro, insieme con Aristotele stesso, come gl'istigatori del supposto avvelenamento di Alessandro: dicerie senza base alcuna di verità, nate forse, come alcuno pensa (Kaerst), fra le maldicenze e le gelosie delle scuole filosofiche rivali e nei circoli di Olimpia e di Antigono. La notizia della morte di Alessandro sembrò dare alla Grecia il segnale di una sollevazione generale, della quale furono antesignani gli Ateniesi e gli Etoli. Atene, ben provvista di mezzi finanziarî mercé la sapiente amministrazione di Licurgo (338-326), fiduciosa nell'abilità del condottiero Leostene, prese senz'altro un'energica offensiva contro la Macedonia, appoggiata da Etoli, Locresi e Focesi. Dopo una prima sconfitta delle forze macedoniche e dei loro alleati presso Platea, Antipatro stesso fu battuto ad Eraclea tessalica e costretto a rinchiudersi in Lamia ("guerra Lamiaca"). Frattanto altri popoli della Grecia centrale si univano alla rivolta, mentre il Peloponneso veniva guadagnato alla causa ateniese dall'abile propaganda di Iperide e di Demostene. Ma ben presto cambiarono le sorti della guerra, quando Leostene morì e Antipatro, rinforzato dai veterani macedoni, si liberò dall'assedio. Dopo l'arrivo di Cratero in Grecia e l'insuccesso di Crannone (agosto 322), gli stati greci, demoralizzati, accettarono di trattare, uno dopo l'altro, col severo vincitore: ed anche Atene, dopo il disastro navale di Amorgo [luglio 322), dovette piegarsi alle dure condizioni imposte da Antipatro (settembre 322), rinunziando alla propria indipendenza e alla costituzione democratica, e abbandonandogli i responsabili della guerra, fra i quali Iperide e Demostene. Anche gli stati peloponnesiaci si arresero; e solo il forte popolo montanaro degli Etoli rimase in armi, grazie al conflitto scoppiato fra i diadochi (Diodoro, XVIII, 11-18; Plutarco, Phocion, 23-28; Demosth., 27-28).
Il compito che s'era presentato ad Antipatro in Grecia subito dopo la morte di Alessandro, gli aveva impedito di partecipare, insieme con gli altri diadochi, al regolamento della reggenza del regno; resa ora la tranquillità alla Grecia, specie con l'introduzione ovunque di reggimenti oligarchici, Antipatro, che aveva iniziato insieme con Cratero la campagna per la sottomissione dell'Etolia, dovette interromperla durante l'inverno 322-1, per prepararsi a portare, insieme con lui, le armi in Asia contro Perdicca e in sostegno di Antigono (v. antigono e perdicca).
La guerra, che Antipatro combatté specialmente in Cilicia per indebolire la posizione militare di Perdicca in Egitto, finì dopo che questi fu ucciso dai suoi stessi soldati e Cratero perì in battaglia contro Eumene. A Triparadiso, in Siria (321 a. C.), ebbe luogo un convegno fra i diadochi e una nuova spartizione e sistemazione delle provincie dell'Impero: quivi Antipatro, il più anziano e il più benemerito dei generali macedoni, fu meritamente dai soldati acclamato reggente. Dopo aver guidato, con Antigono, una spedizione attraverso l'Asia Minore, per sloggiare Eumene dalle sue posizioni, e dopo avere meglio a sé legato Antigono sposando al figliuolo di lui Demetrio la propria figlia Fila, vedova di Cratero, Antipatro fece ritorno in Macedonia col figlio Cassandro e con le persone della famiglia reale, poste ora sotto la sua protezione.
In Grecia la pace era stata intanto di nuovo turbata, per opera degli Etoli, istigati da Perdicca: Atene si agitava per ottenere il richiamo della guarnigione macedonica. Antipatro, già gravemente ammalato, non poté trattare personalmente queste gravi faccende e dovette affidarne il disbrigo a Cassandro: e di lì a poco, nel 319 a. C., moriva, designando a succedergli nella reggenza, non il figlio Cassandro, ch'egli giudicava incapace di sì alta e difficile missione, ma il vecchio generale macedone Poliperconte. Scompariva così l'ultimo dei grandi Macedoni di antico stampo, dimostrando, con l'ultimo atto della sua vita, com'egli sapesse - in ciò profondamente diverso dagli altri diadochi - posporre gl'interessi personali e famigliari a quelli della patria e della dinastia.
Fonti: Per la biografia di Antipatro servono anzitutto le fonti stesse alle quali dobbiamo risalire per il periodo di Filippo e Alessandro Magno (v.). Per gli anni dopo il 323, perdute le opere degli storici contemporanei (e le più importanti erano le Storie di Ieronimo di Cardia e le Storie di Duride di Samo), la più antica narrazione continuata di cui possiamo oggi usufruire è contenuta nel libro XVIII della Biblioteca Storica di Diodoro Siculo. Di altre due notevolissime e pregevoli esposizioni di questi fatti, quelle di Arriano e di Trogo Pompeo, non ci son giunti che estratti; dell'opera che Arriano aveva composto, in dieci libri, sui successori di Alessandro, giungendo fino al 320 a. C., ci rimangono gli estratti di Fozio; delle Storie Filippiche di Trogo non abbiamo che il magro compendio di Giustino (libri XVII-XVIII). Di Plutarco, si vedano le Vite di Alessandro, Demostene, Focione, Eumene.
Bibl.: Delle opere moderne, sono anzitutto da consultare quelle relative al periodo di Filippo e di Alessandro di Macedonia; si vedano poi: J. G. Droysen, Histoire de l'Hellénisme (trad. franc. di A. Bouché-Leclercq), Parigi 1883-1885; B. Niese, Gesch. der griech. u. makedonisch. Staaten seit der Schlacht bei Chairoponeia, Gotha 1893, I; J. Kaerst, Geschichte des hellenist. Zeitalters, 2ª ed., Lipsia 1926-1927, 2 voll. e, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, 2501 segg.; H. Berve, Das Alexanderreich auf prosopographischer Grundlage, Monaco 1926; J. Beloch, Griech. Geschichte, 2ª ed., IV, Lipsia e Berlino 1925-27.