Antipolitica
La politica, intesa come attività attraverso la quale si governa una collettività, porta necessariamente in sé il germe della sua opposizione, cioè l’attività di opporsi a essere oggetto di politica. L’opposizione contro la politica si può esprimere come critica di alcuni aspetti della politica, critica delle persone che fanno politica, fino al rigetto della politica. Solamente nell’ultimo caso si tratta di antipolitica. Dipende dal tipo di sistema politico come l’a. si realizza e si esprime. In democrazia, la critica alla politica è istituzionalizzata nella libertà di parola, nel diritto di associazione e nell’opposizione parlamentare. L’istituzionalizzazione della critica alla politica nei regimi democratici è un meccanismo per minimizzare le probabilità che l’a. si manifesti con modalità minacciose per il sistema politico. Nei regimi autoritari e totalitari, la critica alla politica è soppressa. L’a. vi si esprime come ritiro nella sfera privata oppure nel fenomeno conosciuto come dissidenza. Quindi, i costi individuali di opporsi alla politica sono diversi nei diversi regimi.
L’a. comprende una serie di atteggiamenti e dichiarazioni che vanno dalla ‘semplice’ critica verbale di qualsiasi attività politica e di coloro che la esercitano alla denigrazione pesante dei politici parassitari che danneggiano il Paese, fino all’opposizione violenta contro tutto ciò che viene considerato politico, ovviamente identificato in qualsiasi autorità e qualsiasi governo. Non tutta la critica della politica può essere confusa con o addebitata all’antipolitica. Spesso, la politica e i politici meritano le critiche, alcune delle quali, però, sono accompagnate da sentimenti antipolitici che mirano a fare a meno dei politici e della stessa politica. Talvolta le critiche giungono alla richiesta di sostituzione dei politici sia con un uomo solo al quale delegare tutto il potere e tutte le decisioni sia con persone competenti, i tecnocrati, e all’abolizione della politica poiché espressione e portatrice di conflitti e di divisioni nel sistema politico e fra i cittadini. Per lo più, è forte, talvolta irresistibile, la tendenza dell’a. a tradursi, in primo luogo, in antiparlamentarismo, successivamente in antipartitismo, da ultimo in antidemocrazia, e viceversa. Qui l’a. s’incontra con il populismo (un uomo solo che interpreta le opinioni e le preferenze di tutti), il quale rappresenta la degenerazione di una versione della democrazia che attribuisce incondizionato e sregolato potere al popolo contro i rappresentanti e contro i governanti.
Infine, quando i sentimenti e le mentalità antipolitiche sono numerosi e diffusi, diventa possibile la comparsa di movimenti e persino di partiti che utilizzano e strumentalizzano la protesta: da Occupy Wall Street a New York (e i suoi molti epigoni nei Paesi europei) agli Indignados spagnoli che talvolta sfociano proprio nell’antipolitica. Questi movimenti e i relativi partiti sono, al tempo stesso, effetto e causa dell’a.: un terreno di coltura che la loro comparsa e la loro attività consentono di dissodare ulteriormente e di allargare. L’a. può essere raccolta e incanalata anche in partiti tradizionali, prevalentemente di destra, che spesso esprimono una forte carica antipartitica e antiparlamentare pur operando nel quadro democratico per ragioni di convenienza, fintantoché quel quadro offre loro il massimo di opportunità politiche e comunicative. È stato ed è il caso in special modo di Paesi come la Francia, la Grecia e l’Italia, ma, di recente, anche la Romania e l’Ungheria.
Esistono componenti tradizionali nell’impasto dell’a., ma hanno fatto la loro comparsa anche elementi nuovi. Delle componenti tradizionali, che, pure, non scompaiono, le più significative continuano a essere l’antiparlamentarismo e l’antipartitismo. Il primo perché il Parlamento viene considerato un ostacolo che rende i processi decisionali lenti, farraginosi, opachi e perché i troppi parlamentari appaiono uomini e donne senza specifiche competenze che lavorano poche ore e pochi giorni la settimana; hanno emolumenti in assoluto e comparativamente esagerati; non si curano delle preferenze e delle necessità dei loro concittadini; sono complessivamente autoreferenziali. Queste diffusissime critiche rendono facile capire come nell’anno 2014 la drastica riduzione del numero dei senatori italiani e il declassamento del ruolo e dei compiti del Senato abbiano riscosso grande favore nell’opinione pubblica. Anche i partiti sono criticati perché autoreferenziali e produttori di una classe politica che non soltanto si perpetua, ma addirittura collude a scapito proprio degli interessi dei cittadini. A partiti burocratizzati e diventati indifferenziati l’a. vuole togliere le troppe risorse di cui si appropriano anche attraverso generose e incontrollate modalità di finanziamento statale.
Diversi sono i nuovi elementi che hanno contribuito alla diffusione di sentimenti e comportamenti antipolitici, non soltanto nelle democrazie europee. Alla politica è spesso, più o meno inconsciamente, affidato il compito di proteggere i cittadini, di consentire loro di perseguire i propri interessi e di attuare i propri piani di vita con il minimo di interferenze e di rischi. L’impetuosa irruzione della globalizzazione, rispetto alla quale la politica dei singoli Stati, seppure con notevoli differenze fra i diversi sistemi politici, non ha saputo garantire protezione e offrire soluzioni rapidamente praticabili, ha fatto crescere la sfiducia nella politica e la critica nei confronti dei politici e del loro status privilegiato. La stessa costruzione dell’Unione Europea con i suoi tratti sovranazionali e con il suo ‘governo’ lontano dai cittadini e affidato in parte ai tecnocrati ha acuito sentimenti e critiche di tenore antipolitico che hanno colpito anche la moneta unica, l’euro. In qualche caso, in Italia e in Francia, in parte anche in Spagna, l’a., nella sua versione di critica e distacco dalla politica tout court, è stata alimentata dall’enfasi posta sul fenomeno dell’immigrazione incontrollata, indicata spesso come uno dei fattori che destabilizzerebbero stili di vita consolidati, rappresentando una minaccia ai già insufficienti posti di lavoro. Il disgusto per la politica, la rabbia e la diffidenza nei confronti dei politici, già abitualmente i sentimenti più diffusi a sostegno dell’a., continuano a costituire lo sfondo sul quale si innestano i nuovi problemi e le nuove sfide.
A potenziare l’a. sono, naturalmente, le modalità con le quali si fa politica in ciascun Paese e le inadeguatezze delle rispettive democrazie. Infatti, i dati disponibili, che sono abbondanti e che offrono serie storiche, segnalano che l’a. è più sviluppata nei Paesi nei quali il funzionamento della democrazia non è buono, l’indice dello sviluppo umano è basso e il livello di corruzione è alto. In Italia, rivelano le statistiche quarantennali dell’Eurobarometro, solo eccezionalmente gli insoddisfatti per il funzionamento della democrazia scendono sotto il 40%. Per quel che riguarda l’Indice di sviluppo umano (composto da aspettative di vita, livello di istruzione, reddito pro capite), nel 2014 l’Italia si trovava al 26° posto dietro quasi tutte le democrazie europee. Nello stesso anno infine, ed è il dato più preoccupante, l’Italia si situava al 69° posto nella classifica mondiale relativa alla percezione della corruzione (v.). Sono questi dati duri che servono a spiegare perché l’a. ha radici abbastanza profonde in Italia, per restare al dopoguerra, dal Fronte dell’uomo qualunque del commediografo Guglielmo Giannini negli anni Quaranta fino al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che, grazie a un confuso impasto di a. e di democrazia del la rete, ha ottenuto oltre il 25% dei voti nelle elezioni del febbraio 2013.
Concludendo, l’a. è parte integrante della politica. Dunque, è ineliminabile nei sistemi politici contemporanei, in particolare in quelli nei quali la politica costituisce anche uno strumento per l’ascesa e l’affermazione sociale. Soltanto quando si presenta come una improvvisa e imprevedibile esplosione, l’a. potrebbe causare danni irreversibili alle democrazie. Con l’a., cercando di limitarla e di circo-scriverla e di sfruttarne gli elementi critici più dinamici, le democrazie hanno dimostrato di saper convivere. Talvolta, l’a. obbliga alla rivitalizzazione della politica quando riesce a imporre il ricambio nelle personalità politiche; impone riforme; ha successo nel costruire nuove forme di narrazione di una politica diversa, almeno in apparenza e inizialmente migliore. Se i ‘vecchi’ regimi riescono ad assorbire e integrare gli antipolitici, pacificandoli e (ri)politicizzandoli, diventano più robusti.
B. Crick, In defence of politics, London 1962, London-New York 20005 (trad. it. Difesa della politica, Bologna 1969); G.A. Almond, S. Verba, The civic culture. Political attitudes and democracy in five nations, Princeton 1963, London 19892; Disaffected democracies. What’s troubling the trilateral countries?, ed. S.J. Pharr, R.D. Putnam, Princeton 2000; M. Tarchi, L’Italia populista, Bologna 2003, 20142; A. Mastropaolo, La mucca pazza della democrazia. Nuove destre, populismo, antipolitica, Torino 2005; D. Campus, L’antipolitica al governo. De Gaulle, Reagan, Berlusconi, Bologna 2006; C.M. Lomartire, Il qualunquista. Guglielmo Giannini e l’antipolitica, Milano 2008; M. Truffelli, L’ombra della politica. Saggi sulla storia del pensiero antipolitico, Soveria Mannelli 2008; Il partito di Grillo, a cura di P. Corbetta, E. Gualmini, Bologna 2013; Challenges to democratic participation. Antipolitics, deliberative democracy, and pluralism, ed. A. Santos Campos, J. Gomes André, Lanham-Boulder-New York-Toronto-Plymouth 2014.