ANTISEMITISMO
. Se la specialissima condizione in cui gli ebrei si trovano fin dall'inizio della loro dispersione nel mondo (v. diaspora) ha provocato ovunque e in tutti i tempi l'avversione, manifestatasi in forme e con accuse rimaste sostanzialmente identiche, il termine antisemitismo è invece moderno; come moderno è il tentativo di giustificare l'avversione di carattere sentimentale in maniera sistematica, su basi scientifiche, e prescindendo completamente da considerazioni teologico-religiose. Sotto questo aspetto, l'antisemitismo può essere considerato anche come un fenomeno culturale (di non scarsa importanza, pure astraendo dalle sue ripercussioni pratiche), manifestazione tipica della mentalità, prevalente in alcuni paesi nel corso del sec. XIX.
Il nome stesso ci illumina a tale proposito. Se di lingue e di nazioni "semitiche" s'incominciò a parlare sin dalla fine del secolo XVIII, a proposito dei popoli designati in Genesi, X, come discendenti da Sem (J. G. Eichhorn, Einleitung in das Alte Testament, I, 2ª ed., Lipsia 1787), queste espressioni non divennero d'uso corrente prima che il Bopp fondasse la linguistica comparata delle lingue indo-europee. Per una confusione facile allora, ed oggi ripudiata, si riteneva che unità linguistica significasse anche unità etnica. E la superiorità della stirpe aria (o, come si diceva, non senza intenzione, "indo-germanica") veniva proclamata non meno altamente di quella dei Germani sugli altri popoli di lingua indo-europea. Era il nazionalismo tedesco che si affermava, in contrasto con le idee della Rivoluzione e con il liberalismo anglo-francese che avevano cooperato all'emancipazione degli ebrei: i quali poi incominciavano, anche nei rapporti sociali, ad ottenere, o per lo meno a pretendere, uguaglianza di trattamento. Si aggiunga che, figlio dell'illuminismo del sec. XVIII, il razionalismo provocava l'indagine critica dei testi biblici, induceva a mettere da parte le considerazioni d'ordine teologico, e rendeva anche più facile l'accettazione di un determinismo antropologico fondato su presupposti naturalistici. Ma una specie semitica appare nella classificazione delle razze umane del Desmoulins (1825).
Delle critiche rivolte agli ebrei fin dall'antichità, un saggio è già nel libro di Esther, III, 8: "vi è disperso fra i popoli nelle terre del tuo regno un popolo peculiare, le cui leggi sono diverse da quelle di tutte le altre genti, e che non ubbidisce ai tuoi comandamenti, o re". La legge, sia scritta, sia orale, e di carattere religioso e civile al tempo stesso, era una rivelazione divina: difficile diventava quindi la convivenza fra gli altri popoli degli ebrei, che rifiutavano di violare il sabato, non prendevano parte al culto pubblico o agli spettacoli, negavano gli onori divini al sovrano ed alle sue immagini, non si cibavano delle carni di animali proibiti o non macellati secondo il rito, ecc. Perciò, in aggiunta al disprezzo greco-romano verso tutti i barbari, speciali accuse venivano rivolte agli ebrei: e specialmente si rimproveravano per l'isolamento (ἀμιξία) in cui vivevano, e per l'empietà" (ἀϑεότης). Di una copiosa letteratura antigiudaica ci sono testimonianza le citazioni, contenute per lo più in opere polemiche: delle quali segnaleremo il contra Apionem di Giuseppe Flavio. La folla espresse varie volte il suo malumore, e torbidi scoppiarono abbastanza di frequente in Alessandria. Gli storici si affrettarono ad accogliere dicerie calunniose, tra cui l'accusa di venerare l'asino e di praticare sacrifici umani. Nell'età imperiale, la presenza di numerosi giudei a Roma (attestata da documenti letterarî ed epigrafici), e la loro attività proselitistica in tutto l'Impero provocarono il risentimento di molti scrittori, già avversi in genere agli stranieri, soprattutto se orientali, venuti a stabilirsi nella capitale; citeremo tra questi Orazio, Tacito, e Giovenale (Sat., XIV, 96-106):
"Quidam sortiti metuentem sabbata patrem
nil praeter nubes et caeli numen adorant
nec distare putant humana carne suillam,
qua pater abstinuit, mox et praeputia ponunt:
romanas autem soliti contemnere leges
iudaicum ediscunt et servant ac metuunt ius,
tradidit arcano quodcumque volumine Moyses,
non monstrare vias eadem nisi sacra colenti,
quaesitum ad fontem solos deducere verpos.
Sed pater in causa, cui septima quaeque fuit lux
ignava, et partem vitae non attigit ullam."
Gli scrittori pagani, almeno dei primi due secoli d. C., non mostrano aver fatto distinzione tra cristiani e giudei. Ma i dissensi, e in qualche caso i disordini, scoppiarono ben presto. Il giudaismo ufficiale rese impossibile agli "eretici" il partecipare alle riunioni nelle sinagoghe, il cristianesimo ripudiò con S. Paolo le prescrizioni della legge mosaica, o respinse questa del tutto (correnti eterodosse: Marcione, gnosticismo). L'idea della "cecità" di Israele, che non ascolta i profeti e crocifigge il Figlio dell'Uomo, ispira discorsi di Gesù nei Vangeli sinottici, ed è uno dei motivi predominanti del IV Vangelo. Da allora in poi, la letteratura cristiana antigiudaica, fondata su motivi religiosi, si arricchì continuamente di nuove opere: citeremo solo il Dialogo con Trifone di Giustino martire, i numerosi Adversus (o: Contra) Iudaeos di Tertulliano, S. Cipriano, S. Agostino, ecc. Divenuto poi il cristianesimo religione ufficiale, le leggi imperiali colpirono tutti gli altri culti, l'eresia come il paganesimo, il manicheismo come il giudaismo: le limitazioni e i divieti (del proselitismo, sotto Costantino; dell'esercizio di diritti specie sotto Teodosio II, e Giustiniano con la Novella 146, del 553) vennero ribaditi dai concilî e accolti nelle leggi degli stati romano-barbarici.
Il Medioevo vide le persecuzioni contro gli ebrei, espulsi, richiamati, ricacciati nuovamente dai diversi stati; vide le limitazioni all'esercizio dei diritti, e il risorgere dell'accusa dell'omicidio rituale; ma conobbe anche qualche controversia condotta con ispirito di equanimità, e le discussioni intorno al Talmūd. Al materiale accumulato allora dagli apologeti cristiani (in particolare da Raimondo Martini, nel suo Pugio fidei) risale in gran parte la conoscenza del rabbinismo, di cui tanti scrittori fecero pompa più tardi (v. G. F. Moore, Christian Writers on Judaism, in Harvard Theolog. Rev., 1921). Né le condizioni degli ebrei migliorarono in seguito, finché non ebbe inizio, negli ultimi decennî del sec. XVIII, il movimento che doveva condurre alla loro emancipazione, attuata in varî momenti e in diversa misura dai singoli stati durante l'Ottocento (v. ebrei Storia).
Appunto negli anni della lotta contro Napoleone, e più ancora in quelli immediatamente successivi al congresso di Vienna, si assiste ad una fioritura di libri contro gli ebrei in Germania. Segnaliamo le opere di Chr. Friedrich Rühs, professore di storia a Berlino, Über die Ansprüche der Juden an das deutsche Bürgerrecht (Berlino 1816), di J. F. Fries, professore a Heidelberg, Gefährung des Wohlstandes und des Charakters der Teutschen durch die Juden (1816). Negli anni 1819, 1830 e 1848 si ebbero sommosse in varie città; del 1841 è l'"Ordine di Gabinetto" del re di Prussia, Federico Guglielmo IV, che impone varie restrizioni.
Molti scrittori (H. H. E. Paulus, Jüdische Nationalabsonderung, 1830; A. Th. Hartmann, professore a Rostock, Gegen Gleichberechtigung der Juden, 1834; K. Streckfuss, Über das Verhältnis der Juden in den Christlichen Staaten, 1843; Bruno Bauer [v.], Die Judenfrage, 1843; H. Wagener, Das Judentum und der Staat, 1857) considerarono la "questione ebraica" dal punto di vista dell'ideale dello stato nazionale etico, ritenendo gli ebrei elemento inadatto a partecipare della vita di questo. Ma già si manifesta nei loro scritti la tendenza a ricercare le caratteristiche degli ebrei o dei semiti in genere, ritenuti di gran lunga inferiori agl'indo-germani. Esprimevano sostanzialmente lo stesso giudizio Chr. Lassen, (Indische Alterthamskunde, I, Bonn 1847, p. 414 segg.) ed E. Renan (Histoire génerale des langues sémitiques, Parigi 1855). Il primo accusava gli ebrei di egoismo, radicale e insanabile (anche la loro poesia, egli osservava, è lirica, perciò soggettiva); il secondo, riconoscendo ai semiti il genio religioso, negava loro attitudini per le forme più alte dell'attività spirituale, scienza e filosofia. Renan (per quanto dichiarasse di considerare gli ebrei suoi contemporanei come semplici "uomini moderni": Le Judaïsme comme race et comme religion, Parigi 1883) fornì le armi a molti antisemiti: e, in particolare, all'antropologo Friedrich von Hellwald (Zur Charakteristik des jüdischen Volkes, in Ausland, 1872, pp. 901 segg. e 957 segg).
L'avversione contro gli ebrei ebbe dunque incremento, in Germania, negli anni della riscossa nazionale e della formazione dell'impero. Qualche cosa di simile si verificò in Russia, con il sorgere del movimento panslavo: nell'ebreo si vide il rappresentante tipico della civiltà occidentale e delle sue istituzioni economiche e politiche. Sorsero giornali antisemiti ed una letteratura molto diffusa. Si cercò di far passare per opera di ebrei l'assassinio dello zar Alessandro II (1881); ed emissarî della polizia russa, a Parigi, sfruttando il fatto che Adolphe Crémieux aveva fin dal 1860 istituito l'Alliance Israélite Universelle, immaginarono un complotto ebraico per lo stabilimento di una dominazione universale, e incominciarono la falsificazione di documenti, da cui doveva uscire un famoso libro, i Protocolli degli Anziani di Sion. Basterà ricordare le famose "Leggi di maggio" del 1882. E quando i Rothschild di Londra ebbero rifiutato alla Russia un prestito, chiedendo che cessasse la politica antisemita, il governo dello Zar si rivolse a banchieri francesi: non ultimo tra i fattori che condussero alla conclusione della Duplice alleanza.
In Germania, l'attività svolta dagli ebrei e la loro influenza non solo nel campo politico, ma in quello letterario e artistico (Richard Wagner, Das Judentum in der Musik, 1869) parevano eccessive a parecchi. Né bisogna dimenticare la situazione economicopolitica del giovane impero vittorioso. Predetta, a dir vero, da due ebrei, Edward Lasker e Ludwig Bamberger, la crisi economica del 1873 attrasse l'attenzione del pubblico sugli uomini di finanza, tra cui gli ebrei erano numerosi; i partiti conservatori si schierarono contro il partito nazionale-liberale, a cui molti ebrei aderivano, e contro il liberismo economico: "l'ebraismo è la scuola di Manchester messa in pratica e portata all'estremo" (Das Judentum ist das angewandte, bis zum Extrem durchgeführte Manchestertum: O. Glagau). L'insuccesso del Kulturkampf, il mutamento d'indirizzo della politica del Bismarck e altri fattori politici fecero il resto: specialmente quando, sotto la guida del predicatore di corte Adolf Stöcker, si formò il partito "cristiano-sociale" (luterano). Per di più, i pogrom, frequenti in Russia ed in Polonia provocavano l'emigrazione di molti ebrei, contro i quali si ritenne necessario prendere delle misure. L'agitazione si diffuse anche nell'impero austro-ungarico, dove August Rohling, professore di teologia cattolica a Praga, risollevava (Der Talmudjude, 1874; Fünf Briefe über den Talmudismus und den Blutritual der Juden, Praga 1883; Die Polemik und das Menschenopfer des Rabbinismus, Paderborn 1883) l'accusa dell'omicidio rituale, impressionando la mentalità popolare, sulla quale non potevano fare impressione le confutazioni scientifiche di semitisti cristiani del valore di Franz Delitzsch e Theodor Nöldeke. Accusarono gli ebrei di macchinazioni contro la sicurezza dello stato Otto Glagau (Der Börsen- und Gründungsschwindel in Berlin, 1876), H. v. Scharff-Scharffenstein (Das entlarvte Judenthum der Neuzeit, Zurigo 1871, voll. 2) che nella presenza in essa di ebrei convertiti vide la ragione per cui la Compagnia di Gesù è ritenuta pericolosa per i governi, Moritz Busch, un agente giornalistico del Bismarck (Israel und die Gojim, 1880) e Wilhelm Marr (Judenspiegel, 1862; Der Sieg des Judenthum über das Germanenthum, che ebbe 12 edizioni dal 1873 al 1879: la "vittoria" era appunto la crisi del'73), sostenendo la necessità d'eliminare gli ebrei, elementi stranieri non assorbibili nello stato nazionale. Al Marr si deve probabilmente la creazione del termine "antisemitismo" (Antisemitische Hefte, Chemnitz 1880: la parola è dichiarata di origine recente nell'Allgemeine Zeitung des Judenthums, 1881, p. 138; nell'annata successiva, p. 489, si dice che ha meno di tre anni). Sotto l'influenza di questa letteratura, della "petizione antisemita" presentata al cancelliere dell'Impero il 13 aprile 1881, di sommosse popolari, si adottarono varie misure limitanti i diritti degli ebrei. E l'agitazione non cessava, cresceva anzi, dopo l'accessione al trono di Guglielmo II (15 giugno 1888) e il ritiro del Bismarck (20 marzo 1890). Un tal Ahlwardt (Judenflinten, 1890) accusò la ditta L. Loewe e C. di fornire al governo tedesco artiglierie deficienti, essendo pagata a questo scopo dall'Alliance Israélite Universelle; Karl Paasch (Eine jüdisch-deutsche Gesandtschaft, voll. 2, 1891) accusava il Bismarck di essersi posto al soldo degli ebrei. Gli eccessi medesimi provocarono una reazione: l'Ahlwardt venne abbandonato, benché rimanesse abbastanza popolare fino al 1909, nel quale anno un processo mise fine alla sua riputazione; lo Stöcker, dimesso dalla carica di predicatore di corte e sconfessato dall'imperatore; il barone von Hammerstein, uno dei capi del partito conservatore e redattore della Kreuzzeitung (il quale aveva contribuito a far cancellare dal programma del partito una frase deplorante gli eccessi antisemiti nel dicembre 1892) era schiacciato da una condanna penale (1896); la cattolica Germania (1° luglio 1894) sconfessava anch'essa gli agitatori antisemiti. E il partito antisemita perdeva terreno nelle elezioni del 1898, e più ancora nelle successive.
Nell'Impero austro-ungarico, il movimento guadagnava terreno nel medesimo torno di tempo. Mentre il 27 novembre 1880 il ministro Trefort poteva dichiarare al parlamento ungherese che non era da temere negli stati della corona di S. Stefano un'agitazione simile a ouella che si manifestava in Germania, il 18 febbraio 1882 veniva presentata una petizione antisemita e si formava un partito, che contava 17 deputati dopo le elezioni del 1884. Ma i liberali ungheresi resistettero: il momento più grave fu nel 1894, quando la questione dell'antisemitismo provocò una serie di crisi ministeriali. Il movimento si diffuse in altre parti dell'impero. In Boemia si risollevò l'accusa dell'assassinio rituale: tra coloro che a questa replicarono vivacemente fu il prof. Masaryk, allora dell'università di Praga, attuale presidente della Repubblica cècoslovacca. Nell'Austria propria, si formò un partito cristiano-sociale antisemita, paragonabile al tedesco; gli antisemiti trovarono un capo nel von Schönerer, ed un portavoce nel famoso borgomastro di Vienna, Karl Lueger, noto anche per manifestazioni anti-italiane. Ebbe il suo giornale (Deutsches Volksblatt) e trovò un ambiente favorevole nella piccola borghesia, soprattutto viennese. In Romania, malgrado il trattato di Parigi del 1856 e la convenzione del 1858, gli ebrei furono dichiarati stranieri. Le potenze firmatarie del trattato di Berlino del 1878 riuscirono solo, dopo una nota collettiva di protesta, ad ottenere una molto parziale esecuzione dell'art. 44 del trattato medesimo, che assicurava agli ebrei uguaglianza di diritti. Nel 1895 i professori Tura e Jorga fondarono una Alianôa antisemitica universala: le persecuzioni provocarono, nel 1902, con l'esodo di numerosi ebrei, anche una protesta del governo degli Stati Uniti d'America.
Anche in Francia, dove nel 1880 Adolphe Crémieux aveva avuto solenni pubblici funerali, il movimento antisemita non tardò a diffondersi, trovando aderenti tra coloro che avversavano i democratici al governo e la loro legislazione anticlericale. Il fallimento della banca Union Générale (1882; 212 milioni di franchi di passivo), fondata da P. Bontoux, già impiegato dei Rothschild ed ora fervente antisemita, fu attribuito a manovre di finanzieri ebrei. Il 18 dicembre 1881 comparve il primo giornale dal titolo l'Antijuif, che pubblicò solo quattro numeri, fino all'8 gennaio 1882. Fu seguito da altre otto pubblicazioni dello stesso titolo, in Algeria, in provincia, e a Parigi, fino al 1899. L'ultimo, uscito appunto a Parigi, ebbe a direttore quel Jules Guérin, noto per la sua resistenza armata di 38 giorni (fino al 20 settembre 1899) alla polizia nella casa di Rue Chabrol, 51 (Fort Chabrol). Ad essi è da aggiungere l'Anti-Youtre (dal nomignolo dispregiativo ch'ebbe anche una certa fortuna letteraria) pubblicato a Parigi e a Lilla nel 1891 (marzo-maggio) e soprattutto La libre parole, fondata nel 1892 da Édouard Drumont, che fino dal 1886 aveva iniziato la campagna con un libro, La France juive. Lo scandalo della compagnia del Canale di Panama, in cui erano implicati varî ebrei, tra i quali il barone de Reinach, zio di Joseph Reinach (già segretario di Gambetta e avversario accanito del gen. Boulanger), contribuì a dar forza al movimento, che doveva raggiungere l'acme durante il ben noto Affaire Dreyfus.
Da questo antisemitismo politico-finanziario giova tuttavia distinguere il movimento svoltosi, pure con un'abbondante letteratura, nel campo culturale. Esso mirava a dare all'avversione sentimentale una base ed una giustificazione teorica: benché in realtà anche qui d'ordine sentimentale rimanessero i motivi degli scrittori, e benché la loro opera avesse una risonanza ed un'efficacia pratica quale per solito non riescono ad ottenere le opere di pura scienza. Uno storico, oltre che un filosofo della politica, fu lo scrittore nazionalista tedesco von Treitschke, che in Ein Wort über unser Judenthum (Berlino 1880) proclamava: "Gli ebrei sono la nostra sventura" (Die Juden sind unser Unglück), provocando la risposta di Th. Mommsen (Auch ein Wort über unser Judenthum, Berlino 1880). Non meritano di essere considerate opere storiche le falsificazioni, quali uno pseudo "proclama di Crémieux" la cui origine fu rivelata dallo stesso editore, e la "lettera di un gran rabbino", tratta da un romanzo di John Retcliffe, Gaeta Warschau und Duppel (Berlino 1868).
Più significative, le opere che si fondavano sulla teoria delle razze. Abbiamo accennato a Renan e von Hellwald. Sfruttando idee espresse dal francese conte de Gobineau (Essai sur l'inégalité des races humaines, Parigi 1855), si spiegò l'asserzione della superiorità della stirpe aria a un'affermazione del primato tedesco. L'orientalista Paul de Lagarde negò agli ebrei la genialità e l'originalità; un altro orientalista, Adolf Wahrmund, professore a Vienna (Das Gesetz des Nomadenthums und die heutige Judenschaft, 1887), li considerava popolo nomade, interessato, egoista. Si attaccò, per la sua origine palestinese, anche il cristianesimo (Eugen Dühring, Die Judenfrage als Frage des Rassencharakters, 5ª ed., Berlino 1901). Le stesse idee manifestò Federico Nietzsche. L'espressione più completa di questo antisemitismo pangemianista è nei libri di H. St. Chamberlain: solo dei Germani è il merito di tutto ciò che di grande è stato detto o fatto nella storia, germani di stirpe tutti i genî dell'umanità, germano lo stesso Gesù. È compito dei buoni Tedeschi eliminare le impurità contratte dalla razza, in primo luogo attraverso la convivenza con gli ebrei, a loro volta miscuglio etnico di razze inferiori. Segnaliamo ancora Th. Fritsch (Der falsche Gott, 1911), Friedrich Delitsch, professore di assiriologia a Berlino e figlio di Franz (Die grosse Täuschung, 1920) e il banditore del "neo-paganesimo" tedesco, A. Steiger (Die neudeutsche Herde im Kampfegegen Christen und Juden, 1924).
Cessato infatti con l'unione nazionale attuatasi durante la guerra, il movimento antisemita riprendeva vigore notevole dopo la sconfitta, fra il disastro finanziario, la delusione, e la reazione nazionalistica (in ispecie durante l'occupazione del bacino della Ruhr e per opera del partito deutsch-völkisch ["populista"]). Spunti antisemitici si trovano anche nell'opera di O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes (1924).
Patria, si può dire, dell'antisemitismo, la Germania è nella stesso tempo il paese in cui la difesa degli ebrei, anche ad opera di cristiani, è meglio organizzata. Fin dal 1880 protestarono, con un manifesto, numerose personalità eminenti, quali il Mommsen, il von Gneist, il Droysen; si fondò un Verein zur Abwehr des Antisemitismus, al quale si devono opuscoli di propaganda e altre pubblicazioni, che sono anche una preziosa fonte d'informazione bibliografica (Mittheilungen, dal 1891; Abwehrblätter, dal 1926).
Non mancarono agitazioni antisemitiche, dopo la guerra mondiale, anche in altri paesi. Nella Repubblica cèco-slovacca ricordiamo quelle manifestatesi nella Slovacchia, già ungherese, e fra i Tedeschi, quelle contro il rettore dell'università di Praga, Samuel Steinherz. In Romania, le clausole protettrici delle minoranze nei trattati di pace ebbero applicazione parziale con la legge del 30 agosto 1920, ma le manifestazioni continuarono anche dopo (The Jewish Minority in Roumania. Correspondence with the Roumanian Government concerning the grievances of the Jews, Londra 1927). In Russia, dove il governo zarista riteneva gli ebrei responsabili di tutti i moti rivoluzionarî, si ebbero pogrom violentissimi nel 1905, e una vivace campagna negli anni successivi, che culminò in una ristampa dei famosi Protocolli nel 1907; dopo la rivoluzione, si ebbero pogrom in Ucraina. In Polonia, l'antisemitismo e le persecuzioni contro gli ebrei non cessarono dopo la costituzione liberale del 1921; e in Ungheria la reazione contro il governo rivoluzionario di Béla Kun attuò provvedimenti contro gli ebrei, esclusi praticamente dalle università (legge sul numerus clausus del 1920, modificata in parte nel marzo 1928).
Anzi, negli anni successivi alla guerra, il movimento antisemita si diffuse anche dov'era quasi sconosciuto. In Inghilterra i conservatori avevano difeso l'opera del governo russo e un certo risentimento era stato provocato dall'immigrazione di numerosi profughi ebrei: fallirono tuttavia i tentativi di scuotere l'opinione pubblica, fatti anche durante la guerra da J. H. Clarke e da H. H. Beamish con l'associazione The Britons e il periodico Jewry über alles (molti ebrei inglesi hanno nomi tedeschi). Più chiasso fece una serie di 17 articoli pubblicati nel luglio 1920 sotto il titolo The Cause of World Unrest dal giornale conservatore The Morning Post e la traduzione dei Protocolli degli Anziani di Sion, diffusi in quel torno di tempo in molti paesi. Lo strano documento, che si presenta come un piano per lo stabilimento di un dominio mondiale degli ebrei, approvato nel congresso sionista di Basilea (1897), contiene fra l'altro il progetto di far saltare in aria le maggiori capitali, approfittando delle ferrovie sotterranee. La sua falsità fu dimostrata da tre articoli del Times (16, 17, 18 agosto 1921); tra le sue fonti è un opuscolo polemico di M. Joly contro Napoleone III. Anche negli Stati Uniti l'antisemitismo (che vi si accompagna con un più generale sentimento di ostilità verso gli emigranti, specie se non provenienti dall'Europa settentrionale) ebbe manifestazioni clamorose. Basterà ricordare il famoso Ku Klux Klan, del resto non meno antisemita che anticattolico. Tra coloro che alimentarono la campagna di stampa contro gli ebrei è il noto industriale Henry Ford.
E anche in Italia il dopo-guerra diede luogo a qualche pubblicazione antisemita. Si tratta per lo più di traduzioni o rimaneggiamenti di opere straniere. Ché alla diffusione dell'antisemitismo tra noi osta la tradizione del nostro Risorgimento nazionale, al contrario di quanto accadde in Germania, tutto favorevole, per ragioni nazionali, all'emancipazione degli ebrei ed al loro incorporamento nello stato: ricorderemo solo gli scritti del Cattaneo (Interdizioni israelitiche, Firenze 1836), del Giorgini (La causa israelitica e Sulla emancipazione degli ebrei, in L'Italia di Pisa, luglio e agosto 1847), di Massimo d'Azeglio (Sull'emancipazione civile degli Israeliti, Firenze 1848). Mancano del resto in Italia i motivi economici e sociali che, se non giustificano, spiegano in parte la fortuna dell'antisemitismo in altri paesi: scarsi di numero gli ebrei italiani e quasi tutti stabiliti da secoli nel paese, sì da essersi completamente italianizzati; lunga tradizione di pacifica convivenza tra ebrei e cristiani, specialmente in quelle provincie, come la Lombardia, la Venezia, la Toscana, nelle quali la tolleranza è stata largamente praticata anche dagli antichi governi; mancanza di un'alta banca e di un'oligarchia finanziaria specificamente ebraiche.
Bibl.: Una storia completa e imparziale dell'antisemitismo moderno manca; d'altronde, di provvedimenti, condizioni guiridiche, economiche ecc., parlano le varie storie degli ebrei. Per il mondo antico, v. E. Schürer, Geschichte des Jüdischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, III, 3ª ed., Lipsia 1898; Th. Reinach, Textes d'auteurs grecs et romains relatifs au Judaïsme, Parigi 1895; J. Juster, Les Juifs dans l'empire romain, Parigi 1914, voll. 2, fondamentali; F. Stähelin, Der Antisemitismus des Altertums, Basilea 1905; e cfr. alessandria. - Per il Medioevo, J. Abrahams, Jewish life in the Middle Ages, Cambridge 1896; Fr. Wiegand, Agobard von Lyon und die Judenfrage, Erlangen e Lipsia 1901. Per le polemiche moderne, oltre le opere indicate nel testo, B. Lazare, Contre l'Antisémitisme, Parigi 1896; id., Le fumier de Job, ibid. 1928; A. Leroy-Beaulieu, Isräel chez les Nations, Parigi 1893; J. Royce, Roe questions, provincialism and other American problems, Londra-New York 1908; Jos. Schrattenholz, Antisemitenhammer, eine Anthologie, Düsseldorf 1894; R. Kittel, Judenfeindschaft oder Gotteslästerung, Lipsia 1914: P. Fiebig, Juden und Nichtjuden, Lipsia 1921; Ed. König, Das antisemitische Hauptdogma, Bonn 1914; id., Fr. Delitzsch "Die grosse Täuschung", kritisch beleuchtet, Güterloth 1920; A. Röder, Reaktion und Antisemitismus, 3ª ed., Berlino 1922; J. Goldstein, Rasse und Politik, 4ª ed., Lipsia 1925; Fr. Steffen, Antisemitismus und deutschvölkische Bewegung im Lichte des Katholicismus, Berlino 1925. V. ancora: Mittheilungen des Vereins zur Abwehr des A., citate; J. Jacobs, The Jewish Question 1875-1884, A bibliographical Handlist, Londra 1885; Schneider, Grundlage einer Bibliographie der antis. Literatur, in Weltkampf, 1925 segg.; Bulletin of the New York Public Library, XVII (1913). Utili indicazioni negli articoli di H. L. Strack, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, I, Edimburgo (1908), s. v.; e in quelli, naturalmente polemici, di G. Deutsch, in Jewish Encyclopaedia, I, s. v.; e di varî, in Encyclopaedia Judaica, II, Berlino 1928, s. v. Infine: I. Schapira, Der A. in der französischen Literatur, Berlino 1927. V. anche Ebrei: Storia.